"Ma ci sei stata poi o no a letto con quel tizio sposato?". La domanda arrivò inaspettata, mentre le due ragazze a bordo delle biciclette si apprestavano a costeggiare la villa della signora bionda, prima di proseguire su per la collina ricoperta da ciliegi, dalla cui sommità avrebbero ammirato la città ancora addormentata, immersa nell’alba di un piacevole settembre, dopo che per giorni agosto rosso aveva tremato sull’asfalto senza curarsi di dare un minimo di tregua ai cittadini.
Nell’udire quelle parole, Federica, la più piccola delle due, si girà di scatto verso Agnese, la cugina molto più grande, rientrata per le ferie da Firenze dove insegnava all’Accademia delle Belle Arti e la fulminò con lo sguardo: "A parte che non è sposato! E poi no, non ci sono stata, anche se da qualche giorno tutti i ragazzi di Corso San Giorgio non fanno altro che parlare di me. Ho letto anche alcune chat di whatsapp nelle quali si sostiene che ci sia persino un video di me a letto con lui". Agnese, sbuffando per il disappunto e la fatica dovuta alla leggera salita, annuì con la testa e guardando la ragazzina chiuse l’argomento: "Lasciali perdere, sono solo malelingue. Maledette malelingue. Lascia che siano palle di gomma che rimbalzano contro i muri di una stanza, ma che in realtà non rompono niente".
E con la mente tornò al putiferio di qualche tempo prima, quando aveva lasciato il Ivan, il suo storico fidanzato, per un tizio irlandese, studente al quarto anno di filosofia, conosciuto per caso una sera in Piazza Santa Spirito. Come se la cugina avesse intuito i suoi pensieri, interruppe il silenzio affermando: "L’altro giorno ho visto Ivan. Sai che si è fidanzato, vero?". E senza aspettare la risposta proseguì: "Sta insieme ad una ragazza di Lugano, conosciuta in spiaggia, tra barche, rete al sole e pescherecci in alto mare". "Come si chiama?", le chiese Agnese incuriosita, mentre un brivido di sana gelosia le percorreva la schiena e un lampo rosso di imbarazzo le colorava le guance. "Non lo so di preciso. Chi dice Marta, chi dice Paolina, boh!", le rispose prontamente la cugina, decisa a far rimanere la conversazione sul binario di questo argomento e dimenticare la storia con l’uomo forse sposato.
Che effettivamente c’era stata, anche se in realtà non avevano fatto praticamente niente. E per un secondo ripensò ai pomeriggi dopo palestra, quasi sempre verso le sei, quando saliva da quell’uomo maturo e restava per ore ad ascoltarlo mentre le accarezzava i capelli, parlandole di miti greci, di contrabbandieri e di laghi. E improvvisamente si sentì triste, come le tutte le canzoni che le ricordavano quei momenti. Come a cambiare discorso, mentre la strada piegava bruscamente su stessa, disegnando sulla collina verde una specie di U grigia, aggiunse: "Beata te che sei scappata a Firenze! Qui in città non c’è più nessuno". "Che le parli ancora un po’ di lei", aggiunse l’altra, canticchiando una vecchia canzone, famosa negli anni in cui era nata sua mamma. "Oh, ma ancora stai in fissa con questo cantante?", le chiese la piccola, con aria schifata, mentre rallentava la marcia per guardare la cugina negli occhi, spostandosi verso la banchina per lasciare lo spazio ad un anziano ciclista di sorpassarle. "Capirai...", le rispose la più grande: "Mia mamma si sposò nel 1980, stesso anno di uscita di "Firenze Canzone Triste". E me lo avrà ripetuto centomila volte. Il testo praticamente parla di me e Ivan si chiamava in quel modo perché i suoi sostenevano di averlo concepito dopo il famoso concerto allo stadio. E lui per qualche motivo sosteneva pure di assomigliargli. Certo, pigro era pigro, ma con la chitarra era veramente scarso. Con la batteria non era male ma la musica diciamo che non faceva per lui. E infatti adesso fa il guardiano in un museo". "E a letto invece com’era?", le chiese impertinente la cugina. "Taci, che sei ancora piccola", replicò fintamente stizzita l’altra, ripensando all’odore delle lenzuola fresche di bucato del letto di camera di Ivan. E senza darle il tempo di una replica, continuò: "A proposito di stadio, ci vieni con me stasera a vedere la partita?". E utilizzandolo il nomignolo che le aveva affibbiato da bambina concluse con: "Mia piccola Monnalisa?". Incredula, Federica sgranò gli occhi e ridendo chiese: "Ma la partita del Teramo? Certo che sei strana eh! Segui il Teramo e ascolti Graziani. Che è morto da anni. Praticamente sei una donna distrutta. Ma almeno posso dire che siamo una famiglia di svitati?". Puntuale come una grandinata a mezza estate, la replica non si fece attendere: "Innanzitutto Graziani era di Teramo, quindi ascoltarlo mi fa sentire a casa e poi questa sera il Teramo gioca contro il Siena". "E ‘sti cazzi", la interruppe ironica l’altra. "Hai detto c’è la Juve... E che avrebbe ora di così speciale il Siena? Non dirmi che vuoi andare a vedere il derby del rock Graziani/Nannini solo perchè ti appassiona mischiare il calcio con la musica, vero?". "Non fare la stupidina Monnalisa", la interruppe la grande. "Da qualche tempo mi vedo con un ragazzo di Siena che questa sera sarà in tribuna, una specie di tifoso della curva, che da settimane mi ha fatto una ‘capa tanta’ raccontandomi del suo Battaglione, il gruppo di matti che frequenta in curva, formato da tutta gente con qualche rotella fuori posto. Anche perché farsi 340 km per vedere una partita di serie boh e tornare a notte fonda: o sei un citto strullo, come dicono loro, oppure non hai un cazzo da fare". E sorrise, mentre l’idea di rivedere dopo qualche settimana il citto strullo del Battaglione le infondeva una strana euforia e un malizioso formicolio le faceva vibrare la pelle sopra alla bocca dello stomaco.
"Ho fame", disse più a se stessa che all’altra, per calmare quell’insolita sensazione. "Andiamo a fare colazione". Ma quella non era certo fame. E per una volta si ritrovò ad amare il calcio di provincia, scusandosi per tutte le volte che lo aveva detestato. E improvvisamente avvertì un grande desiderio di baciare il citto strullo, come se tutto il resto, finalmente, non importasse più niente.
Teramo - Siena: secondo capitolo del nostro libro, seconda puntata della nostra nuova storia. In casa come in trasferta, rispetto per tutti ma paura di nessuno. Siamo il Siena e stiamo tornando: facciamo in modo che tutti se ne accorgano!
…su quei gradoni (FINALMENTE), lì ci troverai!
Mirko
Sei un mito.
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