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mercoledì 11 settembre 2019

Smalto giallo

Unghie laccate, mani da fata. Un lampo di luce gialla nel buio triste di una domenica pomeriggio, buona soltanto per separare il sabato dal lunedì, nella quale tutto sembra andare nella direzione contraria alla nostra. 

Ti vedo comparire all’improvviso come comparsa dal nulla; non ti avevo mai notato prima. Oppure sono soltanto molto distratto, che forse è soltanto un modo più carino per definirsi cafone. Prendi posto vicino a me, troppo vicino per non notare le tue mani, troppo lontano per poterle toccarle. Insieme a te c'è il tuo ragazzo, anche se per un secondo spero sia soltanto un amico che hai accompagnato a vedere la Robur in un giorno in cui non avevi di meglio da fare. Non riesco a vederti il volto, tuttavia sono troppo grande per non capire che fra voi due c’è qualcosa di più intimo che una semplice amicizia. Improvvisamente mi sento di troppo, mentre la palla sbatte sul palo e rotola fuori dopo un tocco sciagurato e maldestro del nostro numero 18. O forse è il 10, non lo so. Da qui non vedo bene. Di sicuro non è il numero 11, lui si riconosce bene visto che pare in stato interessante (Campagnacci stai tranquillo: se ti fanno una foto non vieni mosso!). Da qui noto solo quelle dita lunghe e rosa, abbellite da un sottile strato di vernice gialla steso sulle unghie. Sappi che il tuo ragazzo, nemmeno lo conosco e già mi sta antipatico. Chissà con quale diritto poi penso queste cose. La partita ansima a scatti, ma il mio sguardo è rapito dal giallo. Vorrei potermi avvicinare a te per dirti qualcosa di spiritoso, ma sarei tremendamente fuori luogo e inaspettato, come il goal di Maccarone, che arriva nel silenzio inverosimile di uno stadio ammutolito, troppo distratto dalle tue mani. Sai, vorrei dirti, quel signore pelato con la maglia numero 7, un giorno era uno dei nostri. E lasciando che i tuoi occhi posandosi sulle mie labbra trovino conforto, come a cercar riposo dopo tanta incredulità, ti parlerei di un tempo antico e di un mondo distante, nel quale lo stadio era pieno e una palla gialla come le tue unghie entrava all’incrocio dei pali dopo una traiettoria impossibile, consegnandoci per sempre la seconda vittoria contro la Fiorentina. Poi, al raddoppio degli avversari, senza aspettare il fischio finale e tutte le farneticazioni sconsiderate del dopo gara, avrei stretto le mie mani contadine intorno alle tue dita curate e colorate per portarti via per sempre dal tuo uomo. "Parla ora o taci per sempre, giovane", gli avrei sussurrato. E lui avrebbe capito. 
Il Siena perde e un’altra settimana finisce in un tramonto aranciato, mentre nel cielo l’autunno disegna un addio da regalare all’estate. Uscendo dallo stadio capirei che fa meno male la sconfitta, se condivisa con le tue mani. Mi perderei nella sensazione di acetone e smalto che aleggiava nella tua stanza, mentre giudicavi il tuo lavoro, osservandoti il dorso delle mani con le dita stese. Un giorno prenderemo un cane, ti direi salendo sulla ruota panoramica della Lizza, come a volerci separare dalla tristezza delle cose terrene. Sarà un meticcio marrone chiaro, metà Jack Russel e metà Pinscher, di quelli intelligenti e dispettosi. Sarà un lui, anzi una lei. E tu la vorrai chiamare Penelope mentre io Scozia. E nel libretto del veterinario faremo riportare Penelope Scozia, ridendo come matti. Arrivati in cima alla ruota, nel punto più alto della nostra domenica, le tue dita dalla punta gialla sembreranno aquiloni sparsi nel cielo, pronti a trasformarsi in stelle luminose. E seguendo la loro scia, troverò una te serena, impegnata a cercare fra tanti tetti rossi, quello di casa mia, che presto sarà nostra. E senza volerlo ti ritroverai a canticchiare una bella canzone di Coez, indicando un punto preciso ai margini della campagna, illuminato dalle luci della città. E quando la ruota tornerà a scendere, nasconderai un velo di tristezza dietro ad un sorriso. Mentre io capirò dopo 40 anni che un momento del genere vale una vita di attesa. E che non fa niente se la Robur ha perso, se la società farnetica, se la squadra sbanda, se non abbiamo un capitano. Penserei alle tue dita dalla punta gialla impegnate a pigiare il campanello di casa mia, senza capacitarmi di come abbia fatto in tutti questi anni quel pulsante a fare a meno del tuo tocco. 
Il freddo del 90° ci prende all’improvviso. Non so tuttavia se la temperatura esterna dia più fastidio del vuoto che abbiamo dentro. In silenzio, come alla processione del Venerdì Santo, la gente gira le spalle al campo con la testa altrove e mestamente torna a casa. Ti vedo alzarti dal tuo seggiolino, mentre guardi il tuo ragazzo con occhi sognanti. La brezza di metà settembre ti ha costretto a riparare le mani all’interno delle tasche dei pantaloni. Vorrei ti chiamassi Lisa: come la ragazza con gli occhi blu della canzone o come la stoffa dei jeans, strappata all’altezza delle ginocchia. In un secondo il mio mondo ideale, me, te e le tue unghie laccate di giallo, sparisce. Mi passi accanto senza guardarmi. Forse nemmeno le nostre anime si toccano. In un’altra vita, forse, un giorno vedremo insieme la Robur tornare a vincere. Ma non oggi, non adesso. La gente mormora nonostante il paese non sia così piccolo come il proverbio vorrebbe. Un vento di burrasca spira sul nostro campionato. Un faro nella notte prova a guidare la mia traversata mentre, perso in un mare amaro e salato, percorro quel che resta del pomeriggio, ripensando ad un lampo giallo che squarcia la tristezza, ricordandomi che lassù, da qualche parte, c’è un cielo azzurro sopra le nuvole grigie.

Siena - Carrarese 0 a 2: e alla fine tutti i nodi vennero al pettine. Inutile aggiungere altro. Avete sbagliato tutto voi e adesso cercate di dare la colpa a NOI. Come se fosse nostra colpa per i due goal presi ad ogni partita, per i venti milioni spesi, per tutti i chili persi o presi, per gli orribili baffetti, per un campionato vinto e poi sciattato (due volte), per i giocatori mandati via perché avevano dato il 120 per cento, per tutte le pagliacciate che vi hanno coperto di ridicolo negli ultimi anni. Noi saremo qui anche fra dieci anni, ad applaudire chi farà bene a fischiare chi sbaglia. Abbiamo mandato in culo Paganini col microfono dello stadio (mi sbaglio o riera contro la Carrarese?), contestato Paolo De Luca (perdonaci, non sapevamo cosa stavamo facendo!) e fischiato Roque Junior (vai in culo un’altra volta!) campione del mondo e d’Europa, quindi non cambieremo certo adesso. Voi però non lo so se ci sarete fra dieci anni. E questa, per fortuna, è l’unica notizia buona in una domenica da schifo.

Saluti, baci, cordialità e sempre forza Siena!


Mirko

4 commenti:

  1. Posto che leggere Mirko è come ... mettersi comodo e trovare la pace dei sensi (grazie di metterci a disposizione il tuo talento gratis... non so come non so quando, ma un giorno spero di renderti almeno in parte per quello che ci dai...) credo che nel giorno della festa della Nobile Contrada dell'Aquila, trovare una ragazza con lo smalto giallo non sia poi stato cos'ì difficile... (ahahaha!!!).. detta la cavolata del giorno, la parte finale con il commento alla partita dovrebbe essere stampata e fatta imparare a memoria a questa sorta di "nuovi colonizzatori " che pensano di insegnarci a come vivere la nostra passione... Una cosa la aggiungo io: spero quest'anno di andare in serie B, poi l'anno dopo anche in serie A con questa dirigenza... ma non avranno mai il mio cuore! (Franz)

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  2. Caro signor Mirko godibile il prologo del suo pensiero, molto più bello l'epilogo. Ecco, ricordiamoglielo ogni tanto a questi camalli che noi a fischiare ed applaudire (non certo per lecchinismo) ci saremo sempre. Loro,visto il reiterato blaterare, senz'altro no! E questo,me lo auguro fortemente,molto prima dei dieci anni da lei citati.
    P.s. non è per caso che quei 20 milioni buttati lì a cavolo siano indice di qualche pensieraccio?

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  3. Gne gne gne ---> si
    14 volte cazzo ---> no

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