"L’Ionio non è mare nostro: spaventa. Appena partito da Reggio - città estremamente drammatica e originale, di una angosciosa povertà, dove sui camion che passano per le lunghe vie parallele al mare si vedono scritte Dio aiutaci - mi stupiva la dolcezza, la mitezza, il nitore dei paesi sulla costa. Così circa fino a Porto Salvo. Poi si entra in un mondo che non è più riconoscibile. Vado verso Crotone, per la zona di Cutro. Illuminati dal sole sul ciglio della strada, due uomini mi fanno segno di fermarmi. Mi fermo li faccio salire. Mi dicono - questa è zona pericolosa, di notte è meglio non passarci. Due anni fa, qui, in questo punto hanno ammazzato a uno, un ricco signore, mentre tornava in macchina da Roma - ecco, a un distendersi delle dune gialle in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio. È, veramente, il paese dei banditi come si vede in certi western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello. Nel sorriso dei giovani che tornano dal loro atroce lavoro, c’è un guizzo di troppa libertà, quasi di pazzia. Nel fervore che precede l’ora di cena l’omertà ha questo forma lieta, vociante: nel loro mondo si fa così. Ma intorno c’è una cornice di vuoto e di silenzio che fa paura". Così scriveva Pasolini.
Il Sindaco di Cutro sporse querela, iniziarono polemiche a non finire, fino alle precisazioni di Pasolini su quanto da lui riferito con il termine "bandito". Bandito, per l'intellettuale, voleva dire escluso dalla società, come ebbe a riferire con la famosa "Lettera sulla Calabria" apparsa su Paese Sera sempre nel 1959: "Anzitutto, a Cutro, sia ben chiaro, prima di ogni ulteriore considerazione, il quaranta per cento della popolazione è stata privata del diritto di voto perché condannata per furto: questo frutto consiste, poi, nell’aver fatto legna nei boschi della tenuta del barone Luigi Barracco. Ora vorrei sapere che cos'altro è questa povera gente se non «bandita» dalla società italiana, che dalla parte del barone dei suoi servi politici".
Oggi la costa jonica sta cambiando, in alcuni tratti è definitivamente cambiata (costa nord, zona Catanzaro), Crotone ha un centro storico interessante, pulito e davvero carino, anche Cutro sta trovando una propria collocazione turistica con la rievocazione della sfida degli scacchi fra Leonardo Di Bona ed il vescovo Ruy Lopez de Segura (un quadro che ricorda l'evento è all'interno della Rocca montepaschina).
Tuttavia, se si vuol ritrovare in pieno, ancora oggi ben inoltrati negli anni '2000, lo spirito con cui Pasolini scriveva queste righe ben sessanta anni fa, a mio avviso si deve visitare Cosenza.
Il centro storico di Cosenza, assai ampio, si fa fatica a descriverlo. Intere zone degradate, palazzi fatiscenti in odore di crollo, vetrine chiuse, assenza totale di manutenzione, sporcizia diffusa. Un tesoro, composto di grandi palazzi settecenteschi, destinato presto a scomparire. Ripetuti sono stati gli appelli in questi ultimi venti anni per mettere mano a questo vero e proprio scempio, tutti rimasti pressoché inascoltati.
Nel centro storico di Cosenza stanno i banditi della Calabria moderna, invisibili, nascosti all'epoca contemporanea, perché contemporanei non lo sono più.
Ed a pochi metri, da poco più di un anno è stato eretto ed inaugurato il ponte più alto d'Europa, un'opera mastodontica del fuffaro architettissimo Calatrava, costato circa 20 milioni di euro. Roba inutile, visto che unisce il Nulla al Nulla, una sponda e l'altra del fiume Crati. Simile ad un'arpa gigante in quanto simbolo di armonia, la cazzata di Calatrava si caratterizza per un pilone inclinato che, nella scelta concettuale dell'architettissimo, vuol sottolineare il legame fra ponte e centro urbano della città.
Una presa di culo, un danno oltre la beffa, per i banditi di Cosenza. Ai quali, come Pasolini fece per quelli di Cutro, va il nostro incondizionato sostegno.
Nel centro storico di Cosenza stanno i banditi della Calabria moderna, invisibili, nascosti all'epoca contemporanea, perché contemporanei non lo sono più.
Ed a pochi metri, da poco più di un anno è stato eretto ed inaugurato il ponte più alto d'Europa, un'opera mastodontica del fuffaro architettissimo Calatrava, costato circa 20 milioni di euro. Roba inutile, visto che unisce il Nulla al Nulla, una sponda e l'altra del fiume Crati. Simile ad un'arpa gigante in quanto simbolo di armonia, la cazzata di Calatrava si caratterizza per un pilone inclinato che, nella scelta concettuale dell'architettissimo, vuol sottolineare il legame fra ponte e centro urbano della città.
Una presa di culo, un danno oltre la beffa, per i banditi di Cosenza. Ai quali, come Pasolini fece per quelli di Cutro, va il nostro incondizionato sostegno.
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