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mercoledì 12 dicembre 2018

Il mare d'inverno

Dalle parti del vecchio molo sul lungomare spazzato dal vento, una vecchia cabriolet rallenta la marcia fino ad arrestarsi. All’interno una coppia di ragazzi pare discutere animatamente.

Lui aspira con nervosismo una sigaretta appena accesa, disperdendo nell’aria candidi sbuffi di fumo bianco. Protetta da occhialoni di plastica, lei alza gli occhi al cielo, esausta e svuotata, mentre anche questa storia le sta mestamente scivolando verso il fondo classifica delle cose importanti. Perché la vita non vai mai come dovrebbe? Eppure sarebbe tutto così semplice, se non venisse inutilmente complicato con parole sciocche e atteggiamenti sbagliati, questioni di principio e inutili convinzioni. La portiera del lato passeggero si apre di quel tanto che basta per farla scendere, jeans stretti e tacchi alti, prima di richiudersi con uno schianto secco, che immediatamente si perde nel vento rabbioso di una domenica di dicembre, quasi Natale. 
Il mare d’inverno è solo un film in bianco e nero visto alla Tv. Monticelli di foglie secche si accumulano agli angoli delle strade, mentre l’aria carica di polvere e salsedine, blandamente scaldata dai raggi di un sole spento e timido, sbatte contro il viso e impasta la bocca. Il sacco di un cestino strappato da un gatto, un foglio bianco che danza nel vuoto: forse un scontrino, magari una lettera. Sulla spiaggia punti invisibili, rincorsi dai cani. Nel cielo stanche parabole di vecchi gabbiani. Il mare sembra nascondersi sotto il cielo nuvoloso, che asseconda l’orizzonte di quel tanto che basta per far rimpiangere l’estate. Eppure da queste parti un tempo siamo stati sereni, sembra pensare la ragazza, guardandosi attorno con aria smarrita. Adesso invece è tutto così fintamente calmo. Niente traghetti che attraccano, poche auto di passaggio. Alberghi chiusi, manifesti già sbiaditi. La sabbia della battigia, sollevata dal respiro di Poseidone, colpisce gli occhi, arrossandoli all’istante come una specie di castigo. Nel punto esatto in cui il mare incontra la costa, qualche tronco abbandonato dall’alta marea decora un panorama triste e desolato come un paesaggio lunare, rozzamente imbruttito da un paio di solchi profondi lasciati dal fuoristrada della capitaneria di porto. Il tempo pare fermarsi intorno alla donna, ferma in mezzo alla spiaggia. Una ciocca di capelli scuri le è sfuggita dal foulard colorato legato stretto intorno alla testa e adesso pare danzare nel vento, impigliandosi capricciosa negli occhiali da sole. Se non fosse la sua vita quella che vede sfuggirle davanti al naso, sarebbe ben contenta di trovarsi al centro della scena finale di un film drammatico, dal sapore vagamente retrò. La superficie lucente del mare, appena increspata dal onde leggere, sembra invitarla a buttarsi. La giovane scuote la testa, come Ulisse di fronte al richiamo delle sirene. È soltanto domenica, ma con questo vento, pare lunedì. Mare mare, qui non viene mai nessuno a trascinarmi via. Poco distante, le grida delle gente assiepate sulle tribune delle stadio arrivano nitide alle orecchie della donna, che, sospesa fra l’autunno ed il capodanno, aspetta. La partita di calcio riempie il pomeriggio domenicale di molti. A lei invece non interessa . Cammina lungo l’arenile compatto, lasciando che il tacco affondi nella sabbia bagnata, mentre dal cielo qualche nuvola si butta giù. Domani sarà di nuovo lunedì. Il lavoro manca soltanto quando non c’è. Dopo diventa un peso, necessario e imprescindibile, ma comunque un peso. Forse basterebbe soltanto avere coraggio. Saltare su uno di quei maledetti aerei bianchi e rumorosi che ogni giorno arrivano dal cielo e per esso ripartono e abbandonare l’isola, con i suoi profumi e le sue contraddizioni. Abbandonare l’immensità del mare, il verde della macchia mediterranea, il mirto, l’alloro, l’euforbia e il corbezzolo. Staccarsi dallo scoglio per non rimettervi più piede, se non per pochi giorni caldi e soleggiati durante la bella stagione. Una coppia di signori le sfila accanto: parlano di calcio, ma non hanno parole da spendere. Nella loro voce non c’è allegria, né tantomeno rabbia o rammarico. La partita allo stadio - quello lungo la strada, che da bambina vedeva tutti i giorni andando a scuola, così vicino da sentirne il respiro ma totalmente invisibile ai suoi occhi, proprio come il suo compagno, ancora fermo sul ciglio della strada - non si è giocata. Una partita non giocata è come un amore non vissuto. Niente emozioni da conservare, niente di bello da raccontare. Qualche foto dimenticata in un cassetto, un biglietto strappato che nessuno mai rimborserà, tanti rumori e pochi suoni; e questa sensazione di tempo perso appiccicata addosso come il sale sugli scafi delle barche. Ad un tratto è automatico sentirsi soli. Ma è una solitudine strana. Un moto di rabbia le esplode in petto, in mezzo alle costole, appena sotto al cuore. Beati i soli che lo sono davvero, pensa, risalendo le scalette verso il centro. In cima il suo ragazzo la sta aspettando. I lineamenti del viso dell’uomo, solitamente distesi, sembrano stravolti da un’ondata di stati d’animo diversi: paura, amarezza, malinconia. Forse il terrore di essere lasciato è più grande del sogno di poter amare. Ma non c’è sollievo nel vedere quel volto conosciuto, un tempo amico, un tempo amante. Una piccolissima goccia di odio cade nel mare dell’indifferenza che la circonda. La presenza dell’uomo negli ultimi mesi le ha negato il conforto della solitudine senza mai donarle il tepore della compagnia. Adesso lei si sente confusa. Ma confusa forse non è l’aggettivo giusto. La macchina ferma con le quattro frecce accese intralcia il traffico E dietro velocemente si sta formando una lunga coda. Utilitarie, suv, coupé. Il solito traffico della domenica. All’improvviso, il possente suono di un clacson squarcia il silenzio. La ragazza distoglie lo sguardo dai suoi pensieri. Un pullman grigio e nero attende di passare. L’autista fa chiari segni con le braccia. Le vetrate oscurate celano la vista dell’interno. Sulla fiancata si legge chiara la scritta Robur Siena accompagnata da un logo ovale bianco e nero. Esattamente come i colori dei suoi ultimi due mesi. Il grosso automezzo, accompagnato da due potenti folate di vento riesce finalmente a passare. Siena è un posto indefinito, al di là del mare. La sua vita invece è qui. Terminati i gradini, si ritrova di fronte il suo uomo, così vicino da poter distinguere chiaramente il profumo di tabacco nel suo alito. Come in preda a violenti spasmi, accompagnate da fragorosi schiocchi, le bandiere del porto sventalono nell’aria. Il ragazzo pare agitato, quasi perso nel vento di maestrale. Lei abbassa lo sguardo: "Amore, non ti posso guardare così, perché, questo vento agita anche me".

Olbia - Robur Siena: niente a niente. L'impero del male o vince o dà noia! Tanto che vuoi, già la stagione era quella che era, ora c’è anche questa da recuperare. Ma tanto a questo punto, una più o una meno, che differenza fa? Meno male è quasi Natale via, almeno si mangia il panforte.

Robur Siena - @|b!§§#|@: fermo restando che far giocare alle 18.30 di un lurido mercoledì lavorativo è da emerite teste di cazzo, avrei tanto bisogno di capire questi adesso chi sono, anche perché, memore di Gozzano e Arzachena, comincio un po’ a preoccuparmi. Cos’è l’Albissola? Un piatto tipico, un uccello marino o una danza in costume? Ve lo chiedo con l’orecchi sotto i ginocchi: per il futuro facciamo in modo di non doverci giocare più. Siamo il Siena e, nonostante tutto, non ci meritiamo tutto ciò.

Saluti, baci, cordialità e sempre forza Siena!


Mirko

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