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martedì 20 marzo 2018

Il parcheggio vuoto

Il parcheggio senza le auto è soltanto una grande spiazzo triste, incastrato fra una strada stretta e il palazzetto dello sport. Sulla superficie rugosa di catrame sbiadito, una serie di pozzanghere celano alla vista quelle che dovrebbero essere buche. L’asfalto pare proprio aver perso la sua personale guerra contro lo scorrere del tempo.

La giornata sta velocemente cedendo il posto alla notte, mentre il cielo grigio, attraversato da nuvole piccole e morbide, simili ai batuffoli di zucchero filato bianco mangiato da piccolo alle giostre, sembra osservare dall’alto la vita degli uomini. 
Mi guardo intorno immerso nel silenzio, poi rammento che anni fa da queste parti ci parcheggiavano davvero il Luna Park; se chiudo gli occhi, mi pare di avvertire ancora l’odore dei popcorn mentre sullo sfondo girano le canzoni di Gigi d’Agostino. Con le sue mille luci colorate, arrivava tutti gli anni verso maggio e restava in città per un mese. Pensare alla primavera oggi, che manca poco a Natale, mi sembra così strano. Eppure sono convinto che prima o poi tornerà anche il caldo, anche se adesso sembra così distante.
Accendo una sigaretta litigando con l’accendino. La fiamma divampa soltanto al quarto tentativo. Poco prima di arrivare allo stadio, dovrò ricordarmi di infilarlo nelle scarpe, altrimenti la polizia mi obbligherà a lasciarlo fuori dal cancello. Sto pensando seriamente di farla finita con questo stupido vizio del fumo, ma ad anno nuovo sarò babbo e per il momento i pensieri e le paure si stanno accavallando troppo velocemente per restare sereno. E poi fumare mi aiuta a pensare. A quattordici anni credevo di sembrare più grande con la sigaretta in mano. In realtà ero soltanto molto più stupido. Una volta, addirittura, i miei me l’hanno anche suonate di santa ragione. Sarà stato metà anni '90 o giù di lì. La Robur giocava ancora in Serie C, anche se questa storia di utilizzare il Siena per misurare il passato mi fa sembrare ancora il solito sfigato. 
Gli anni '90 sono finiti e il millennio è finalmente iniziato. Da quest’anno abbiamo smesso di pagare le trasferte con le lire. Non so perché, ma al pensiero di aver abbandonato la moneta dei miei nonni un pochino mi dispiace ancora. La busta paga non pare più ricca come prima e nei negozi la roba sembra rincarata. Ci hanno detto che la moneta unica sarà un bene di tutti e grazie a lei potremo girare indisturbati per tutta Europa. Solo l’Inghilterra non ha aderito. Mi chiedo se sia normale questa cosa. E poi, vista da questo parcheggio semi deserto, l’Europa sembra così lontana. 
A me per il momento interessa soltanto salire sul pullman e raggiungere Livorno. Il mio orizzonte è piuttosto limitato, ma quel che ho mi basta. Forse ha ragione quel mio amico: per stare bene è necessario sapersi accontentare. E a me in questo momento non manca niente. Dall’alto dei miei ventiquattro anni, quasi venticinque visto che l’anno sta finendo, non credo di avere molti rimpianti. Il cuore batte ancora al pensiero di un nome e sono in pace con me stesso. Oggi va così e non voglio lamentarmi; domani chissà! Ai tempi delle superiori il 1° dicembre restavamo a casa perché la scuola rimaneva chiusa per la festa del patrono. Sono trascorsi soltanto quattro anni dall’esame di maturità, eppure sembra passata una vita. Anche il concetto di festa muta con la fine della scuola. Adesso francamente non so nemmeno quale sia il patrono del paese dove lavoro. Quest’anno Sant’Ansano è caduto di domenica, quindi gli studenti immagino non siano stati felici. La cosa brutta di quando il 1° dicembre viene di domenica è che lo sarà anche l’8. E questa festa purtroppo me la perderò anche io. Ma chi se ne frega, dai! E poi oggi è lunedì 2 e a meno che tu non sia malato non ci sono buone ragioni per non essere al lavoro. Ma questo lunedì 2 è un po’ diverso da quelli passati o futuri, perché fra qualche ora il Siena giocherà a Livorno e noi la seguiremo. 
Ho scelto con cura le parole per informare la mia compagna: la gravidanza scorre tranquilla, ma non vorrei si preoccupasse. E poi vai a capire quando sarà la prossima volta che potrò tornare in trasferta. Diventare babbo mi dicono sia una grande responsabilità e io non mi sento affatto pronto. Ma, considerato che non sarò pronto nemmeno fra vent’anni, allora tanto vale smettere di aspettare. Non so perché, ma dentro di me ho la convinzione che invecchiando potrò soltanto peggiorare. Quindi è meglio che i miei figli si godano un babbo giovane. E poi preferisco farli nascere - uso il plurale, perché saranno due - con la Robur prima in classifica, piuttosto che dispersa in qualche paludoso campionato di terza serie. Dove mangia uno ci mangiano in due, mi ha un detto un tale qualche giorno fa. Facile a dirsi, tanto sono io che mi frugo in tasca...
Sono arrivato al punto di ritrovo un po’ prima degli altri. Mi godo l’attesa. Presto tutt’intorno sarà un ribollire di bandiere e sciarpe bianconere. I pullman sono già schierati. Non so ancora qual è il mio. Nell’attesa, controllo il cartello appeso al parabrezza: Chiocciola, Civetta, Fedelissimi 1, Robur Alcool, U.F.S. Da qualche parte noto due ragazzi che parlano ad alta voce. Le parole sono sbiascicate, le frasi confuse. Dal colore delle loro guance mi accorgo che la bottiglia di birra che stringono in mano non è la prima. Uno dei due esclama: "Sampdoria" proprio mentre gli passo accanto. L’altro, osservandomi con uno sguardo acquoso e leggermente spento, mi saluta con un cenno del capo. Non so chi sia, ma ricambio il saluto. Una nuvola di fumo denso mi inghiotte: le canne non mi sono mai piaciute e non provo nemmeno a nascondere il mio fastidio. Improvvisamente ritorno con la mente a sette giorni prima e alla partita vinta contro la Sampdoria, giocando in 9 contro 11. Quando saranno grandi parlerò di questi mesi ai miei figli, nei quali tutto ha cominciato a girare veloce veloce, come se il mondo di tutti i giorni, normale e piatto, fosse finalmente esploso. 
Controllo lo schermo luminoso del mio cellulare, nel quale noto il lampeggiare di una bustina. Digitando in rapida serie una breve combinazione, sblocco la tastiera: "Dove sei fava? Sto parcheggiando. Arrivo. Livorno merda". Rapido, breve, conciso e tutto condensato in 160 caratteri: il mio amico è così. Chissà se una volta nati i bimbi continuerà a starmi vicino o scapperà via lontano, atterrito dall’idea di una vita troppo seria. 
Stringendomi nel bomber scuro, controllo ancora una volta il borsello, dove da qualche giorno riposa il mio biglietto. E per l’ennesima volta, un attimo prima di veder comparire il tagliando di cartoncino bianco stretto fra la carta di identità e la patente di guida, mi assale il terrore di averlo perso. 
Adesso il parcheggio è pieno zeppo di gente. Facce conosciute, amici, estranei e qualche curioso. Alla mia destra rimbalzano previsioni sulle effettive presenze: chi dice 1500, chi sostiene 2000. La Serie A per il momento è più un’idea che un traguardo. Certe sere, quando poco prima di addormentarmi provo a pensarci, mi sembra di essere dentro ad un film americano, di quelli che terminano con un lieto fine e ti lasciano col dubbio di cosa ci sarà dopo. E allora, dopo aver impostato la sveglia sul telefono, provo ad immaginarmi come potrebbe essere giocare a San Siro o al Delle Alpi. E mi vengono le lacrime. All’Olimpico di Roma ci siamo già stati lo scorso anno in Coppa Italia. Perdemmo, ma fu comunque una grande emozione. Certo, niente a che vedere con quella che provammo a Genova qualche mese più tardi, dopo aver raggiunto la salvezza. Il presidente ce lo aveva promesso e lui le promesse le mantiene sempre! Adesso ci ha chiesto di stringerci intorno alla squadra e seguirla fino alla fine, perchè vuole vincere il campionato. A me vengono i brividi soltanto a pensarci. Ma forse è soltanto quest’aria fredda di dicembre, che s’infila sotto i panni e pizzica la pelle.

Monza - Siena: se i Brianzoli giocassero sempre contro la Robur, sarebbero in Serie B da un paio di mesi. Vista la sconfitta del Livorno, non ho ancora avuto modo capire se ci è andata di lusso o se abbiamo perso un’altra occasione.

Livorno - Siena: dopo sedici anni, torniamo a Livorno per un turno infrasettimanale. Se il passato ed il presente fossero i due capi di un sottile e lucido filo di seta, la matassa apparirebbe talmente intricata da nascondere tutto quello che c’è stato in mezzo. Tonfi, trionfi, sorrisi e sospiri. Addii, ritorni e cazzotti sopra il tavolo. Siamo saliti in cielo e precipitati in terra. Qualcuno ha messo la testa a posto, altri hanno chiuso col calcio ma sono pronti a tornare e altri ancora sono dovuti partire per un viaggio lunghissimo ma ci aspettano dall’altra parte del campo. Dopo sedici anni siamo di nuovo dentro ad un presente imperfetto, dove il passato non vale più ed il futuro è tutto da costruire.

Oggi conta un po’ di più, pertanto: tutti insieme uniti avanzeremo.

Ieri, oggi e domani, per sempre, FORZA ROBUR!

Mirko

3 commenti:

  1. ...altri altri ancora sono dovuti partire per un viaggio lunghissimo ma ci aspettano dall’altra parte del campo....E CHE STASERA,A VINCERLA,CI AIUTINO LORO!

    A parte S.AnZano,che non conosco,questa è un'immagine sublime e spero che...

    Cuorenero.

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    1. E' vero, pardon. E' dai tempi dei dalle scuole elementari che scrivo Sant'Ansano con la Z. Praticamente sono 35 anni che continuo a sbagliarlo!!! La maestra Lealma me l'avrà segnato di rosso almeno 15 volte!! Addirittura, ora che ci ripenso, anche il correttore di Word me l'aveva evidenziato come errore, ma non gli ho dato ascolto! Scusate la mia villaneria...
      Avanti bianconeri!!
      Mirko

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