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venerdì 5 gennaio 2018

La vita dell'uomo occidentale

Sabato pomeriggio di fine anno. Da ore lassù, in alto, un cielo grigio tristezza minaccia pioggia. Viste dalla terra sembra che le nuvole stiano soltanto aspettando il momento giusto per scaricarci addosso il loro carico di rabbia. La gente sugli spalti si saluta sorridendo, scambiandosi auguri e pacche sulle spalle, nell’attesa che il 2018 arrivi in fretta e si porti via tutte le scorie del 2017.
Sabato pomeriggio di fine dicembre: tempo di bilanci e buoni propositi. 
A volte il presente mi pare serva soltanto per dividere il passato dal futuro. 
In basso la luce asettica dei riflettori ci proietta verso la sera, allungando le ombre e ricordando a tutti che in fondo l’inverno è appena cominciato. E noi siamo più vecchi di un anno. 
La pioggia alla fine arriva - l’avevo detto, mormora qualcuno alle mie spalle - e inizia a farsi sentire che il primo tempo non è ancora finito, accompagnata dall’inesorabile balletto degli ombrelli, che si aprono tutti assieme come i fiori nelle mattine di primavera. Pioggia strana, quasi nebbia: infradicia ancor prima di bagnare. All’improvviso ho come l’impressione di essere intrappolato dentro ad una di quelle brutte palle di vetro col Babbo Natale dentro - normalmente piazzate sopra la televisione in casa della nonna (e che con l’avvento degli schermi piatti sono cadute drammaticamente fuori moda) - che, se capovolte, davano per qualche secondo quel sinistro effetto di neve polverosa. Soltanto che nel mio caso (mio e delle altre persone occorse allo stadio, nonostante il tempo, il ponte, il freddo, le ferie, etc. etc) l’atmosfera non è abbellita da uno sciame di romantici fiocchi bianchi, ma da una pioggerella nebulizzata e gelida, il cui fastidio è secondo soltanto al ricordo malinconico dei riflessi del sole in un pomeriggio d’estate. 
Non so perché, ma gli anni che finiscono in 8 mi hanno sempre fatto paura. Forse perché, essendo del ‘78, mi scandiscono il tempo che passa, riproponendosi ogni dieci anni, come dei peperoni giganti fermi nello stomaco. E proprio nel momento esatto in cui la palla calciata da Sbraga rimbalza sul palo e torna in campo anziché adagiarsi in fondo alla rete, realizzo che forse è arrivato il momento di iniziare a preoccuparmi. Anche perché, se quella palla fosse entrata, avremo potuto festeggiare San Silvestro con una bella vittoria. Ed invece niente! No, gli anni che finiscono in 8 proprio non mi piacciono. 
E di questo, addirittura me ne accorsi che ero ancora dentro la pancia, perché al pronti/via, capii subito che qualcosa era andato storto. Sono nato alle 8 di un lunedì mattina di metà mese: giorno 15, riportò l’ostetrica nel grande librone. Più che una nascita parve una presa di servizio, tanto che all’anagrafe del comune nel documento scrissero "assunto il" al posto della data di nascita. Quarant’anni anni fa tuttavia feci in tempo a nascere nell’ospedalino dentro Porta Tufi. Quindi, nel mio piccolo, potrei anche millantare di essere nato nelle lastre. Anche se dieci minuti dopo il parto già mi rispedivano nel profondo della provincia. Forse è per questo che esprimo il mio spirito di appartenenza mangiando i cavallucci la sera della vigilia di Natale. 
La partita nel frattempo è finita, il Siena ha pareggiato (e di conseguenza lo ha fatto anche il Pisa), ma dentro la mia capoccia continuano ad alternarsi pensieri sconnessi da ultimo dell’anno. E non ho nemmeno bevuto. Anzi, sono mesi che non lo faccio. Chi non bacia e non beve è peggio che è morto, disse un giorno qualcuno (certo che Sbraga avesse fatto goal, vi avrei risparmiato un monte di seghe mentali, che nel corso di questo pezzo ritroveremo anche più avanti). Mi sforzo, ma come suggeriva la mamma dello specchio al proprio figlio, quando gli ripeteva "rifletti, primi di agire!", anche a pensarci bene non riesco a trovare nemmeno un motivo per bere. Ma poi cosa bevo, che in casa mia ho ospitato così a lungo la miseria, che da quanto ci si è trovata bene mi ha anche messo cinque pallini su TripAdvisor... E poi diciamocela tutta, i tempi sono cambiati, adesso c’è talmente povertà in giro che la barista della discoteca accetta anche i buoni pasto. Mica come ai nostri tempi, quando la moneta girava e Babbone elargiva, che con i pezzi da centomila ci s’accendeva il fuoco nel camino. Allora sì che si beveva! Gotti di qua e gotti di là. 
Eppure ce l’avrei l’idea in grado di farmi svoltare per sempre, basterebbe soltanto trovare una banca disposta a finanziarmi. Se avessi un po’ di sano spirito imprenditoriale e qualche fiuto per gli affari (ma purtroppo la mamma mi ha fatto più bello che intelligente) mi lancerei immediatamente nella produzione industriale di vibratori di sughero. Perfetti per lei e - ahimè - anche per certi tipi di lui, naturali, atossici, ipoallergenici e riciclabili, disponibili in varie misuri e colori. E se rimangono incastrati da qualche parte, basta un cavatappi per tirarli fuori. Eh sì, a volte sono proprio le piccole cose a cambiarci la vita... Magari fra qualche mese guiderei una Porsche, godendomi finalmente la vita come i ricchi signori del centro. 
Una volta ne conobbi uno in spiaggia a Follonica. Mi venne vicino col passo di chi non ha mai lavorato, mentre dal bagno asciuga tiravo i sassi nell’acqua, contando i rimbalzi. Senza salutare mi disse: "Oh Nini, ma che hai da ride'?". Io mi limitai a guardarlo pensieroso. Senza darmi il tempo di rispondere aggiunse: "La vita è proprio un brutto periodo, sai? Crescendo te ne accorgerai". "Perchè?", gli chiesi visibilmente preoccupato. E lui, mi disse: "Perché? Allora, da zero a dieci anni non capisci niente, segui i genitori (se hai la fortuna di averceli) e ruzzi tutto il giorno come un demente. Da dieci a venti invece vai a scuola e sei sempre senza soldi. Ti piace la fica ma non sai da che parte rifarti e di conseguenza ti fai un sacco di seghe (mentali e non solo!), sprecando il tuo tempo a crearti quei fantasmi, che in seguito ti accompagneranno per tutta la vita. E ancora continuano a chiamarla l’età della spensieratezza... A venti, quando saresti pronto per distruggere piramidi e costruire santuari, chiappi la prima disonesta che passa e te ne innamori. Ignorando che ti romperà i coglioni di continuo, per i prossimi decenni. Ti convinci di amarla, anche se le preferirai sempre il calcetto. Nonostante tutto ci rimarrai insieme, aggrappandoti a lei come se fosse l’ultima donna rimasta sulla terra, e malgrado amanti, capodanni e comunioni arriverai ai sessanta. Nel mezzo qualche palio vinto (pochi in verità, a meno che tu non sia della Selva), un paio di promozioni in serie A e un concerto di Vasco. A quel punto comincerai ad essere stanco, realizzando finalmente che tuo nonno aveva ragione quando difendeva le pensioni. Se sarai tra i pochi eletti che riusciranno ad andarci, organizzerai una bella cena, i colleghi ti regaleranno il solito orologio di merda e il giorno dopo… Non ti cambierà nulla, perché i tuoi nipoti si sostituiranno immediatamente al capo ufficio, iniziando da subito a dettare l’agenda, scandendoti gli orari da mattina a sera manco fossero orfani, con la scuola, il calcio, la piscina, il catechismo e i compleanni. Arriverai alla sera che sarai più stanco di quando lavoravi, ma nessuno ti riconoscerà un centesimo. Verso i settantacinque poi, a seconda di quanto avrai straviziato da giovane, comincerai a sentirti strano. Dentro di te inizierà quell’inesorabile processo di decadimento senile, inarrestabile come le sgroppate di Luca Cavallo, e passerai gli ultimi quindici anni della tua vita a sbavare su una sedia a rotelle dentro ad una commenda (figuriamoci se i tuoi figli ti vorranno fra i coglioni in casa, nella TUA casa per giunta), con un terribile plaid a quadretti disteso sulle gambe. Mi dicono che l’aspettativa di vita si sia allungata... che fortuna! E pensare che tutto il mondo invidia il meraviglioso stile di vita dell’uomo occidentale". 

Siena - Pisa: 0-0. La storia non sempre si ripete. Anche perché a questo giro ci sarebbe un Livorno 12 punti più avanti. E vabbè, se ripenso a come s’era messi dodici mesi fa, il bicchiere è quasi pieno. Buona pausa invernale a tutti. Che tristezza però questo calcio moderno! Quasi quasi mi do al volley. Femminile, però. Almeno lì qualcosa di bello lo vedo. A nooo?

Tutti insieme uniti avanzeremo.


Mirko

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