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venerdì 3 novembre 2017

Pancino e il barre

"Solo tre cose non puoi scegliere nella vita: il cognome, la contrada ed i clienti del bar. Nasci e tutte e tre sono già lì ad aspettarti. E io purtroppo di queste cose non ne ho azzeccate nemmeno una.
Il mi' poro babbo, pace all’anima sua, prima di andarsene al camposanto ha visto bene di farmi di una contrada che non vince mai, per poi caricare di debiti 'sto buco di locale sperduto in fondo al niente, dentro al quale da vent’anni a questa parte si vede sempre la solita gente.

Tutti i giorni vengono qua, consumano poco e sporcano il bagno. I più fortunati a casa hanno una moglie, che li aspetta per cena e piega loro le mutande. Tutti gli altri sono come me: non hanno nessuno; ad eccezione di una valigia di rimpianti e un corredo di rimorsi. Passano la giornata a parlare di pallone, di politica e di caccia al cinghiale. Bevono gotti di vino rosso e divorano le noccioline, sbriciolando sopra al bancone. E a me tocca asciugare il bagno di continuo. Pisciano sempre di fuori, non capendo che la mano che pulisce il cesso è la stessa che gli fa il caffè. Sembrano personaggi usciti da un libro di Stefano Benni e l’altra sera ridevano divertiti guardando alla televisione "I delitti del Bar Lume"; io invece li osservavo in silenzio. Mi sembrava di vederci loro dentro allo schermo. E forse da qualche parte dietro a quel vetro c’ero anch’io, perché in verità loro sono tutto ciò che mi rimane".
Le voce amara di Maldestro graffiava l’aria densa del bar, intrisa dell’aroma di caffè e di cornetti con la marmellata. 
"Tra un po’ sarà ora di pranzo e quelle paste rimarranno invendute". Graziella la barista scacciò il pensiero, alzando il volume della musica per riemergere faticosamente dalla spirale di pensieri malinconici nella quale era precipitata. Le parole di "Canzone per Federica" le stavano arrivando dritte al cervello, provocandole un leggero senso di disorientamento, dentro al quale per un attimo si sentiva vuota e vulnerabile. 
Ma mentre l’oblio sembrava chiudersi sopra di lei, giunse alle sue orecchie la voce di Pancino, ciclista pescatore e tuttologo dell’Oca - che non metteva più piede in Fontebranda da almeno dieci anni, ma parlava lo stesso della contrada come se fosse di sua proprietà - riportandola definitivamente alla realtà. "Nemmeno la musica è decente in questo schifo di barre. O chi sarebbe ‘sto scemo che canta?", chiese con fare antipatico.
"Oh, se 'un ti garba, sai come fare", rispose Graziella, "E ritorni dove sei stato finora, che qui si faceva benissimo anche senza di te".
Dal retrobottega un grido improvviso lacerò l’aria: "Quando pensi di giocarlo quel tre!? Contadino!". 
Pancino sorrise e guardando Graziella domandò: "Hanno belle cominciato?". 
"Zitto zitto, sono due ore che giocano. Avranno mangiato venti pacchetti di semi. In terra non si vedono più nemmeno le mattonelle". 
Dall’altra parte del bar, un tizio appoggiato al frigo dei gelati sfogliava annoiato un quotidiano locale: "Pancino, ma sabato c’è il Livorno e non ci dici niente? Il biglietto almeno l’hai comprato?".
"Eccoci", pensò Graziella fra sé e sé, "ora s’attacca". 
Pancino si voltò con calma, cercando di individuare il responsabile di quella frase e dopo aver appoggiato un gomito sul bancone e inghiottita l’ennesima nocciolina, replicò con calma, scuotendo la testa: "Ma te sai una sega chi arriva domenica. Te sei un altro di quelli venuti con la piena ai tempi della Serie A e spariti subito dopo il fallimento, manco dentro al Rastrello ci fosse passata la peste". 
Nel frattempo all’interno del bar era calato il silenzio: quando parlava Pancino tutti volevano ascoltare. Anche perché a volte ne sparava talmente di grosse che la metà sarebbe bastata. 
Un tizio sulla settantina rincalzò: "Pancio, ma te non eri abbonato?". 
"Vedrai", ribadì fiero quest’ultimo. "È dai tempi di Nannini che lo sono. Dovrebbero regalarmelo a me l’abbonamento.
"Eeeeeeeeh", fece eco un altro: "Ma se fino a qualche anno fa la domenica andavi a vedere il Buonconvento". 
Risate generali. Anche Graziella adesso pareva divertita. 
"A parte che i colori so' gli stessi, a Buonconvento c’andavo quando ci giocava il mi' figliolo. Ma io so' sempre stato della Robur! Anche perché io non sono di certo come voi che dite di amare il Siena e la sera gli mettete le corna tifando la Juve su Sky. A me non è mai riuscito mischiare il sesso con l’amore". 
Dal silenzio si levò un mormorio. "Perché la tu' moglie non l’hai mai toccata?", chiese divertito Dante il professore, ex docente del Sarrocchi in pensione da poco. 
"No, al contrario: non l’ho mai amata".
E giù risate a non finire. 
"Graziella, ce l’hai un prosecchino con le bollicine?", chiese un ragazzo appena uscito dal lavoro. "Quello di ieri sembrava aperto da un mese". 
"Ascolta cretino", rispose acida la donna, "in piazza l’hanno appena stappato". 
Intanto Pancino continuava la riflessione: "Io ho sempre amato soltanto la Robur. E c’ho fatto l’amore anche in Serie D. Che brutta fine s’era fatto... Ma ora vedrete cambierà tutto! Sabato si vince uno a zero con un goal di Teglia". 
Silenzio di tomba. Fermo sull’uscio, un signore corpulento con un filo di pane sottobraccio e un cappellino rosa del Giro d’Italia calato sulla fronte ribatté immediatamente: "Neglia, Pancino. Si chiama Neglia. Teglia è l’unità di misura della pastalforno".
Scroscio di applausi. Appena fuori dal bar, seduti ad un tavolino di plastica bianca, un ragazzo ed una ragazza si scambiavano effusioni. Pancino interruppe il suo pensiero e voltandosi verso Graziella chiese: "Ma quei due ora stanno insieme?". 
"Sì", rispose Graziella. "Lei è la figliola di quella che lavora alla Coop e lui...".
"Lui è quello scemo che va in giro con quel motorino fracassone", intervenne Maso, capelli bianchi e fisico asciutto, proprietario dell’immobile del bar e noto frequentatore di prostitute. "Quando parte di casa lo sentono da Montalcino", chiudendo poi la frase con una bestemmia, prima di tornare immediatamente a concentrarsi sul cruciverba del giornale. 
"A me garberebbe rivince’ come nel ’98", aggiunse qualcuno seduto fra i tavoli, più per provocare Pancino che per altro. 
Che velocissimo rispose: "E perché te c’eri quel giorno vero? Ma levati di culo vai, babbeo. Io sì che c’ero! Se non ci credi, domandalo a coso..." e schioccando le dita della mano destra continuò, "... a quello della Tartuca che c’ha il tabacchino in Vallerozzi". 
"Ma chi dici Pancino?", chiese qualcuno. 
"Come chi dico, contadino! Noi di Siena ci si conosce tutti per contrada, villano. A Poggibonsi dovresti andare a stare, no qui".
"Sì, ho capito Pancino", continuò Dante ridendo sotto i baffi. "Ma a Siena siamo in 50.000 e le contrade solo diciassette: o ci dici il nome o si rischia di fare un po’ di confusione". 
Pancino proseguì: "Sì dai... Sergio, Simone, Sandro... ovvia non me lo ricordo! Era quello che aveva affittato la casa a Mobili quando venne a giocare qui. Ve lo ricordate?". 
Maso alzando lo sguardo dal giornale confermò immediatamente: "Come no! Anzi io più che lui, mi ricordo la su’ moglie. Che fica era! Chissà che fine avrà fatto. Pancino te lo sai?". 
"La su’ moglie non lo so, ma lui secondo me gioca sempre".
Nemmeno il tempo di finire la frase che un coro di disapprovazione lo investì frontalmente: "Ma ti zitti, stolto? Quando lui giocava nella Robur era sempre viva la pora principessa Diana", scherzò qualcuno. 
"Guardate che io Stefano (chiamandolo per nome soltanto per darsi un tono) 'unnè tanto che l’ho sentito. Ma poi voi che volete saperne del Siena? Nel ’98 per esempio, si vinse un derby col Livorno che se ci ripenso c’ho ancora le convulsioni". 
"Dio bono", esclamò uno, fintamente preoccupato.
"Alla rete di Bresciani", continuò Pancino, "Gigi Rossetti fece un gooooooool talmente lungo che durò mezz’ora. Più lungo di quello fatto dopo il colpo di testa di Voria col Pisa, qualche anno dopo. Quel pomeriggio c’era un sole che spaccava le pietre e lo stadio era pieno zeppo di gente. Da Livorno saranno arrivati in 5.000". 
"Sieee 5.000", lo interruppe ancora Dante. "Al tempo manco c’entravano 5.000 dentro allo stadio".
"Noe", continuò Pancino, "c’entravano sì: c’erano macchine, pulmi e pulmini dappertutto. E un monte di poliziotti". 
"E i poliziotti per chi tifavano?", chiese un ometto tarchiato con un bel paio di baffi neri sopra una faccia scura bruciata dal sole, con un presente da ortolano ed un passato da vigile urbano. 
"Per quella lorda della tu’ mamma", rispose secco Pancino, che incurante di tutto continuò: -"Quel giorno si sembrava veramente indiani contro cawboy! Loro ricchi e primi in classifica e noi ultimi e poveracci. Bombardarono per 90 minuti che sembrava di essere a Belgrado - e voi amici di D’Alema sapete bene di quel che parlo - ma non trovarono il verso di farci goal. Mareggini pareva l’Omo Ragno e davanti alla porta sembrava ci fosse un vetro. Poi al novantesimo Bresciani segnò e noi si mandarono tutti a cacare, quei sudici. Mi ci vollero du’ settimane per ritrovare la voce. Che poi dopo s’inventarono che un su’ giocatore n'aveva buscate dai noi tifosi prima della partita. Bene, troppo poche, peccato quelle che andarono di fori". 
Ad un tratto, un tizio chiese: "Pancino, ma secondo te qual è il giocatore più forte che c’ha il Siena?". 
L’uomo, dopo averci pensato un attimo, s’illuminò: "Panariello". E giù ancora risate. "Se non altro perché è di queste parti, come Bellugi, Meroni o Mazzola". 
Dai tavoli si alzò un boato. Incuriositi dal frastuono, un paio di viaggiatori fermi sulla soglia fecero capolino: "Sì, perché Meroni e Mazzola erano di Siena vero, fava?", chiese un tizio dandosi di gomito col vicino, che divertito sghignazzava senza respirare.
"Come no", rispose serio Pancino. "Uno è nato in Valli e l’altro dalle parti di Torre Fiorentina. Il Mazzola e il Meroni secondo voi scienziati, perché si chiamano così sennò, duri? Ma sapete una sega! A voi vi basta ride' e mangia' le noccioline a sbafo. A forza di ingurgita' Campari, vi siete bevuti il cervello. Fate una cosa sabato sera, invece di stare qui a dire le cazzate e a parlar male di me, mangiate presto e venite allo stadio: c’è una partita da vincere e un’altra avventura da raccontare".

Siena - Livorno: ci sono partite che si presentano da sole. Contese che non hanno bisogno di tante parole. Duelli all’ultimo sangue dai quali tutti vorrebbero uscire vincitori. Momenti di tensione che ognuno vive come meglio crede, riti scaramantici da ripetere, amicizie da rinsaldare, frustrazioni da curare e tensioni da smaltire. Un goal per continuare a sognare, tre punti per tornare più in alto di tutti. Avanti Robur! 
Ieri, oggi e domani, sempre forza SIENA!

Tutti uniti insieme avanzeremo


Mirko

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