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mercoledì 8 novembre 2017

L'invito

La prima vera giornata di autunno, condizionata da nuvole grigie dense e spumose che per tutta la giornata avevano nascosto l’azzurro del cielo, stava malinconicamente spegnendosi, mentre nelle vie del centro la gente rincasava tranquilla, godendosi il gradevole intervallo di quiete generosamente regalato dalla perturbazione. Un paio di tacchi a spillo picchiettavano sull’asfalto, battendo il tempo come i rintocchi delle campane di San Domenico.

Dalla gonna sfacciatamente corta spuntavano due gambe lunghe ed affusolate, che richiamavano gli sguardi dei passanti e turbavano la stabilità ormonale di un gruppetto di ragazzini, che incrociandole avevano finalmente alzato lo sguardo dagli schermi dei loro telefonini. La ragazza sapeva di essere bella e non lo nascondeva. Una volta le citte si chiamavano col fischio, pensò malinconico Maso osservando la scena, adesso a malapena si guardano. Poco distante, un grosso cane scuro annusava l’odore di una siepe, in cerca delle tracce del suo predecessore mentre lì vicino la sua padrona parlava al cellulare di un qualcosa che aveva a che fare con dottori e ambulatori. Come una specie di cordone ombelicale artificiale, la spessa corda del guinzaglio collegava il collo dell’animale alla mano della donna, limitando la libertà di entrambi.
Intorno alla stadio regnava un silenzio spettrale, rotto soltanto dal rumore dell’acqua piovana inghiottita dai tombini. "A guardarlo oggi chiuso e vuoto, non sembra nemmeno lo stesso posto di ieri", realizzò Maso procedendo spedito lungo Via dei Mille, con le braccia incrociate dietro le schiena e la testa incassata dentro al collo. Il sabato precedente aveva accompagnato i suoi vecchi amici Dante e Pancino a vedere la partita della Robur: era dai tempi della Serie A che non rimetteva piede al Rastrello, eppure rivederlo finalmente vivo ed illuminato lo aveva emozionato, facendogli scattare dentro un qualcosa di caldo che non sentiva da anni. Al secondo goal del Livorno, per la prima volta in vita sua, aveva provato una chiara sensazione di dispiacere, come se quella cosa lo avesse riguardato da vicino. Vedere la delusione dipinta negli occhi degli amici lo aveva colpito e a niente erano valse le solite battute goliardiche scambiate successivamente davanti ad una pizza prosciutto e funghi. Rincasando, poi, aveva trovato sua figlia in lacrime seduta davanti al portone di casa, con le guance arrossate ed un evidente livido sopra all’occhio sinistro. E la sua vita era scivolata ancora più giù. Con il cuore spezzato, l’aveva aiutata a rialzarsi e una volta fatta entrare in casa le aveva chiesto cosa ci facesse la fuori. 
La giovane donna, ancora bella come nella foto del giorno del matrimonio appesa in soggiorno, aveva cercato di sorridere, limitandosi a rispondere: "Ho suonato il campanello, ma mamma non deve aver sentito". Il resto della conversazione aveva avuto l’effetto di una vera e propria coltellata allo stomaco per Maso: suo genero aveva alzato le mani ancora una volta e a questo giro i segni erano ben impressi sui delicati lineamenti della ragazza.
"Amore mio, cosa hai fatto all’occhio, dimmelo ti prego", aveva chiesto Maso, tremante.
"Niente babbo, te l’ho detto, ho sbattuto contro l’anta dell’armadio", fu la risposta. Nonostante le violenze, lei continuava a proteggere la bestia.
Ricacciando indietro una lacrima amara, dopo aver oltrepassato Piazza del Sale, Maso continuò per Via Garibaldi, scendendo fino alla stazione. Per poi risalire dalle scale mobili del centro commerciale. Adorava passeggiare da solo, perdersi nei vicoli o percorre i lunghi viali. "Non sarà una ‘ville lumiere’ ma questo ho e questo devo farmi bastare". Passando accanto al suo vecchio posto di lavoro, per un secondo tornò il ragazzo sereno ed entusiasta della vita che un tempo era stato. Ma la sensazione di piacere tuttavia durò giusto il tempo di arrivare all’angolo e cambiare strada. Nella tasca della giacca il telefonino iniziò a vibrare impazzito mentre sullo schermo lampeggiava la parola "Pancino". Controvoglia Maso afferrò l’apparecchio, aprendo la comunicazione con la pressione del pollice sullo schermo. 
Semi-coperta dai soliti rumori del barre, la voce dell’amico arrivò a stento alle sue orecchie: "O finocchio, dove sei?", chiese il Pancio.
"Buonasera anche a te, Pancino", rispose Maso.
"In città. Facevo due passi. Te sei da Graziella, sento". 
L’amico rispose: "Sì, sono qui con Dante che si pensava alla partita di ieri. Uno sformato buffo! Non ti s’è nemmeno ringraziato per la pizza".
"Figurati", lo interruppe Maso come a volersi scusare. "Dopo tutto quei soldi era meglio se non li vincevo, no? Te com’è?".
"Mah, dopo la ringollata di ieri sera mi devo ancora riprendere, ma insomma… Meno male mercoledì si rigioca subito. Come sta la tu’moglie?". 
La depressione della donna era di oramai di dominio pubblico, ma l’argomento restava comunque un tabù. Una vampata di calore raggiunse immediatamente le tempie di Maso, mentre i peli dietro al collo si drizzarono elettrizzati. In un primo momento fu sul punto di raccontare una balla, come tutte quelle volte in cui aveva finto di essere qualcun altro. Ma poi sentì che aveva bisogno di parlare: "Ma come vuoi che vada… Quando prende le pasticche ride sempre, ma se non le prende piange a dirotto. Va a fare la spesa sorridente e poi quando ritorna, invece di rimetterla a posto, comincia a singhiozzare e la butta via. Poi c’è la mi' figliola che ne busca quante ne regge dal su' marito".
"Quel bastardo", intervenne Pancino. "L’ho visti insieme oggi pomeriggio, mira. Mi è sembrato avesse un occhio più scuro, però lì per lì non c’ho fatto caso".
"Sì! M’ha raccontato di aver picchiato contro una porta. Ma ieri notte, dopo la partita, l’ho trovata sul pianerottolo di casa mia che piangeva", concluse amaro Maso. 
Dall’altro capo del telefono, Pancino per un secondo, e per la prima volta in vita sua, non seppe cosa dire. Guardando Dante seduto all’altro lato del telefono scosse la testa, desistendo dal vero intento che aveva innescato la telefonata. "Niente scherzi questa sera", pensò fra sè e sè.
"Dice che i tuoi amici del PD in Sicilia stavolta prendano una bella legnata, vero?", disse più per riempire il silenzio che per altro. 
"Ma facciano pure quel che vogliono! Io oramai la mi' pensione ce l’ho! E nè Renzi, nè Gentiloni me la leveranno. È il mi' nipotino il problema! Piccinino che brutta vita l'aspetta".
Messo a disagio da tanta tristezza, Pancino la buttò la: "Maso, mercoledì il Siena gioca a Pistoia e con Dante si pensava di andare a vederla". 
Vicino a lui, il professore saltò sulla sieda, strabuzzando gli occhi, mentre muovendo le labbra senza emettere suoni chiedeva: "Che cazzo dici?", mostrando il palmo della mano destra. 
Pancino intimò all’amico di tacere prima di continuare: "Se magari mercoledì sera sei a casa e non sai che fare, noi si partirebbe verso le 17.30 dal barre. Ci farebbe piacere se venissi anche tu, anche se Dante mi aveva chiesto di non dirtelo perché sostiene che tu possa portare male. È capace si vede anche una bella partita: loro sono una squadretta tosta, allenata da quel volpone di Indiani, che anno scorso era a Pontedera, ricordi?".
"Come no", l’interruppe l’amico. "Siena-Pontedera anno fu l’unica partita che vidi nel computer! Erano amaranto come i Livornesi".
"Dai dai", continuò Pancino. "Magari questa volta scommetti sulla Robur e ripaghi al cena! E poi dopo ti si porta a quel localino a Firenze dove ci sono le rumene con le poppe di fori". 
Maso si guardò intorno stordito: erano mesi che non riceveva un invito. La prospettiva di un pomeriggio lontano da tutto e da tutti lo attraeva come una calamita, anche perché ultimamente il sesso a pagamento con donne dell’Est Europa era stata la sua unica fonte di svago. Tradimento terapeutico a scopo medico, lo chiamava. Puttaniere sì, ma per legittima difesa, si ripeteva. Un secondo prima di declinare l’invito, tuttavia, colse nella vetrina di un negozio il riflesso del suo volto tirato: la linea dolce del mento ed il taglio degli occhi gli riportarono immediatamente alla mente l’immagine del viso di sua figlia marcato dalle botte, intrappolata come lui in una vita troppo "stretta". "Ma sì", pensò. "Tanto la felicità è come i funghi: chi la trova non ti dice dove". 
"Va bene, Pancio: tutti a Pistoia allora".
E interrompendo la comunicazione, riprese a camminare.

Pistoiese - Siena: ricominciare da Viterbo, cancellando velocemente tutto. Abbiamo perso una prima volta con una squadra lombarda, come nel '99/00. Abbiamo perso una seconda volta contro una squadra amaranto, come nel '99/00. Chi voleva trovare delle analogie, si accomodi pure. Avanti Robur, dopo due indizi, vogliamo la prova. Ritornare a macinare, subito!

Tutti insieme uniti avanzeremo.


Mirko

2 commenti:

  1. Pancino,Dante e Maso secondo me portano male.

    Stasera la riprova...

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    Risposte
    1. Prima cieco che indovino. Pancino, Dante e Maso ti vanno (bonariamente) in culo

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