Tirando su con il naso, il giovane girò lo sguardo sul pacchetto di carta marrone abbandonato sul sedile passeggero e una morsa di terrore gli strinse lo stomaco. Venerdì si stava avvicinando e con lui si avvicinava il momento di tornare in campo. Con un misto di tristezza e malinconia tornò con la mente al suo passato, mentre la radio passava la pubblicità di un birra.
Fin dall’adolescenza era stato considerato una promessa del calcio. Aveva segnato goal a raffica nei campetti di provincia, vincendo coppe, tornei e medaglie. Un idolo per i compagni e un demonio per gli avversari. Poi un giorno di maggio era stato notato da un signore alto con un inquietante sguardo austero ed un mento appuntito, che lo aveva avvicinato dopo una delle tante triplette segnate senza fatica al malcapitato portiere di turno. Da lì a trovarsi a giocare nelle giovanili del Napoli il passo era stato breve ed in poco tempo il ragazzo di provincia si era trovato nel giro della Primavera. Pur non avendone ancora l’età.
I fari di una macchina proveniente in direzione opposta lo riportarono alla realtà, rompendo quel momento di malinconia dentro al quale si stava nascondendo. Il sogno della Serie A tuttavia s’infranse qualche giorno prima del suo esordio, durante uno scontro fortuito con il portiere di riserva. Ginocchio in pezzi e addio al miraggio di segnare in Coppa dei Campioni. Risalire dall’infortunio e ritornare a giocare a calcio sarebbe stato durissimo, dissero i dottori. A male pena camminerai, aggiunse il medico sociale della squadra, guardandolo con costernazione da dietro un paio di occhiali spessi con la montatura di osso.
I fari di una macchina proveniente in direzione opposta lo riportarono alla realtà, rompendo quel momento di malinconia dentro al quale si stava nascondendo. Il sogno della Serie A tuttavia s’infranse qualche giorno prima del suo esordio, durante uno scontro fortuito con il portiere di riserva. Ginocchio in pezzi e addio al miraggio di segnare in Coppa dei Campioni. Risalire dall’infortunio e ritornare a giocare a calcio sarebbe stato durissimo, dissero i dottori. A male pena camminerai, aggiunse il medico sociale della squadra, guardandolo con costernazione da dietro un paio di occhiali spessi con la montatura di osso.
Nonostante tutto, però, lui si era fatto forza e giorno dopo giorno aveva capito che il lavoro, la fatica e la sofferenza potevano dare i loro frutti. Nel giro di pochi mesi era tornato a muoversi con sufficiente agilità e a calciare la palla con la classe di sempre. Ma per molti non era più quello di prima e a niente serviva la rabbia con la quale costringeva il suo fisico a durissime sedute di allenamento. Alla fine di una tribolata primavera, il Napoli rescisse il suo contratto. Di colpo la sua vita ebbe un tracollo. E velocemente la sua avventura nel calcio che conta diventò presto una filastrocca triste, buona soltanto per raccontare qualcosa agli amici del bar, guardando la partita davanti ad un cognac.
Ma in fondo la sua storia era una storia come tante altre. Proprio come quella di Daniele, suo compagno di camera ai tempi del Napoli, che dopo la rottura del crociato aveva abbandonato il calcio per dedicarsi allo studio e diventare medico sportivo. Col tempo si erano persi di vista, separati da uno stile di vita completamente diverso: uno perso a cercare se stesso nei campi della Serie D, l’altro impegnato a collezionare 30 in una facoltà del nord. E per anni avevano praticamente perso le tracce l’uno dell’altro. Almeno fino alla sera precedente.
La voce metallica del navigatore preceduta da un fastidioso bip lo distolse nuovamente dai suoi pensieri, annunciandogli l’imminente uscita. Anche se conosceva perfettamente la strada, utilizzare il navigatore gli dava un forte senso di sicurezza. E poi gli serviva per sentirsi meno solo. Ad est cominciava ad albeggiare, mentre la notte stava finalmente terminando. Il dolore al ginocchio, basso e costante come un lamento, contribuiva a tenerlo sveglio.
La voce metallica del navigatore preceduta da un fastidioso bip lo distolse nuovamente dai suoi pensieri, annunciandogli l’imminente uscita. Anche se conosceva perfettamente la strada, utilizzare il navigatore gli dava un forte senso di sicurezza. E poi gli serviva per sentirsi meno solo. Ad est cominciava ad albeggiare, mentre la notte stava finalmente terminando. Il dolore al ginocchio, basso e costante come un lamento, contribuiva a tenerlo sveglio.
"Non gridare che lì c’è quel vecchio, che ci ha bucato già un pallone". Emergendo dal fondo nero della sua mente riconobbe la canzone e sorrise. Era un vecchio pezzo di Luca Barbarossa, che sua madre lo aveva obbligato ad ascoltare per anni, durante i lunghi pomeriggi d’inverno, mentre facendo finta di studiare sognava di essere Filippo Inzaghi. Erano mesi che non la vedeva, pensò.
Dopo l’infortunio, aveva deciso comunque di provare a non smettere col pallone e, dopo un lungo peregrinare nei campi di provincia della Serie D, era finalmente giunta la chiamata del Siena. Con essa era tornato il calcio importante ed un minimo di speranza. Il passaggio dai dilettanti ai professionisti era stato traumatico e la fatica degli allenamenti, mischiata alla paura di non farcela, avevano pesantemente influito sul suo rendimento, che nonostante il primo posto in classifica della squadra, era stato piuttosto altalenante. Dopo tre giornate di panchina tuttavia, il mister gli aveva confidato che venerdì sera, in casa contro la Pro Piacenza, lo avrebbe schierato dal primo minuto. Mentendo, il ragazzo aveva evitato di parlare del riacutizzarsi del dolore al ginocchio e dopo essere tornato a casa aveva chiamato il suo vecchio compagno Daniele, attuale medico sociale di una squadra di basket ad alti livelli, per chiedere un consiglio. L’amico, senza mentire, lo aveva messo di fronte ad un bivio: o ti tieni il dolore e giochi con le infiltrazioni oppure… Oppure c’è una sostanza, vietata, illegale e facilmente riscontrabile, che ti rimette al mondo in due minuti. Se la prendi, devi soltanto cercare di trovare il modo per evitare i controlli antidoping. Non serve ad andare più forte, cura soltanto il dolore. Ma è vietata lo stesso.
Dopo l’infortunio, aveva deciso comunque di provare a non smettere col pallone e, dopo un lungo peregrinare nei campi di provincia della Serie D, era finalmente giunta la chiamata del Siena. Con essa era tornato il calcio importante ed un minimo di speranza. Il passaggio dai dilettanti ai professionisti era stato traumatico e la fatica degli allenamenti, mischiata alla paura di non farcela, avevano pesantemente influito sul suo rendimento, che nonostante il primo posto in classifica della squadra, era stato piuttosto altalenante. Dopo tre giornate di panchina tuttavia, il mister gli aveva confidato che venerdì sera, in casa contro la Pro Piacenza, lo avrebbe schierato dal primo minuto. Mentendo, il ragazzo aveva evitato di parlare del riacutizzarsi del dolore al ginocchio e dopo essere tornato a casa aveva chiamato il suo vecchio compagno Daniele, attuale medico sociale di una squadra di basket ad alti livelli, per chiedere un consiglio. L’amico, senza mentire, lo aveva messo di fronte ad un bivio: o ti tieni il dolore e giochi con le infiltrazioni oppure… Oppure c’è una sostanza, vietata, illegale e facilmente riscontrabile, che ti rimette al mondo in due minuti. Se la prendi, devi soltanto cercare di trovare il modo per evitare i controlli antidoping. Non serve ad andare più forte, cura soltanto il dolore. Ma è vietata lo stesso.
E così, dopo due notti insonni, era partito alla volta del nord e adesso stava rincasando alle prime luci dell’alba, trasportando il suo carico di paura.
A pochi metri da casa, arrestò la macchina vicino ad un bar, decidendo che era finalmente giunto il momento di fare colazione. La voce calda della barista lo raggiunse non appena varcata la soglia. "Buongiorno" gli disse, esibendo un sorriso onesto, impreziosito da labbra delicatamente pallide e denti piccoli e perfetti. Alle pareti le maglie della Robur dei tempi buoni si alternavano a foto e poster. Per un secondo sognò di vedere anche il suo 90 affisso un giorno accanto alle casacche che erano state di Mignani, Vergassola e Chiesa. "Venerdì si vince, vero?", domandò la giovane senza vergogna, mentre apparecchiava sul bancone piattino e cucchiaino, dopo averlo riconosciuto. La domanda gli parve arrivare da un’altra galassia. Incerto, strusciò i piedi e arrossì. "Beh sì, speriamo. Noi ce la metteremo tutta". E subito dopo aver parlato si sentì uno stupido. Senza curarsene, lei proseguì: "Mi porti la tua maglia? Almeno la appendiamo là" e con il dito teso indicò uno spazio vuoto fra due grandi foto in bianco e nero della Curva Jolly nel giorno della storica promozione in Serie B. Il ragazzo sorrise euforico, mentre dentro di sé tornava a riaccendersi la fiammella della speranza. Dopo aver pagato, tornò verso l’automobile con passo svelto, ma prima di avviare il motore afferrò il pacchetto marrone dimenticato sul sedile e lo scagliò con violenza dentro al cassonetto della spazzatura. Nel bene o nel male, pensò, quello che farò lo farò con le mie forze. E ricordando le parole del suo primo mister esclamò ad alta voce: "Siamo grandi uomini, prima che ottimi giocatori". Ed ingranando la marcia, ebbe giusto il tempo di notare nello specchietto retrovisore il sorriso della barista, che, ferma sulla porta, lo stava salutando.
Siena - Pro Piacenza: tre punti per continuare la corsa e impreziosire ancora una classifica che si fa sempre bella domenica dopo domenica. Tre punti per un fine settimana da capolista. Tre punti perché in casa nostra comandiamo noi. Tre punti per dichiarare al mondo: qui siamo e qui vogliamo restare. Avanti a testa alta.
Tutti insieme uniti avanzeremo.
A pochi metri da casa, arrestò la macchina vicino ad un bar, decidendo che era finalmente giunto il momento di fare colazione. La voce calda della barista lo raggiunse non appena varcata la soglia. "Buongiorno" gli disse, esibendo un sorriso onesto, impreziosito da labbra delicatamente pallide e denti piccoli e perfetti. Alle pareti le maglie della Robur dei tempi buoni si alternavano a foto e poster. Per un secondo sognò di vedere anche il suo 90 affisso un giorno accanto alle casacche che erano state di Mignani, Vergassola e Chiesa. "Venerdì si vince, vero?", domandò la giovane senza vergogna, mentre apparecchiava sul bancone piattino e cucchiaino, dopo averlo riconosciuto. La domanda gli parve arrivare da un’altra galassia. Incerto, strusciò i piedi e arrossì. "Beh sì, speriamo. Noi ce la metteremo tutta". E subito dopo aver parlato si sentì uno stupido. Senza curarsene, lei proseguì: "Mi porti la tua maglia? Almeno la appendiamo là" e con il dito teso indicò uno spazio vuoto fra due grandi foto in bianco e nero della Curva Jolly nel giorno della storica promozione in Serie B. Il ragazzo sorrise euforico, mentre dentro di sé tornava a riaccendersi la fiammella della speranza. Dopo aver pagato, tornò verso l’automobile con passo svelto, ma prima di avviare il motore afferrò il pacchetto marrone dimenticato sul sedile e lo scagliò con violenza dentro al cassonetto della spazzatura. Nel bene o nel male, pensò, quello che farò lo farò con le mie forze. E ricordando le parole del suo primo mister esclamò ad alta voce: "Siamo grandi uomini, prima che ottimi giocatori". Ed ingranando la marcia, ebbe giusto il tempo di notare nello specchietto retrovisore il sorriso della barista, che, ferma sulla porta, lo stava salutando.
Siena - Pro Piacenza: tre punti per continuare la corsa e impreziosire ancora una classifica che si fa sempre bella domenica dopo domenica. Tre punti per un fine settimana da capolista. Tre punti perché in casa nostra comandiamo noi. Tre punti per dichiarare al mondo: qui siamo e qui vogliamo restare. Avanti a testa alta.
Tutti insieme uniti avanzeremo.
Mirko
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