Fissando senza guardare, lasciò che lo sguardo vagasse lungo i binari, fino ad incontrare la coda del treno che, con sadica lentezza, si stava portando via per sempre un frammento prezioso della sua vita: felice fino a ieri, sconvolta e sottosopra da qualche minuto.
Poco prima che il convoglio sparisse per sempre alla sua vista, inghiottito dalla galleria, girò le spalle al suo passato e tirando in su col naso provò a farsi forza. Il macigno che campeggiava sul suo stomaco tuttavia non ne voleva sapere di spostarsi. Il suo primo, grande ed unico amore era ufficialmente concluso e con lui era terminata anche la primavera che da mesi si portava dentro. La ragazza dei suoi sogni, la sola in grado di farlo sentire speciale e importante, lo aveva abbandonato.
Nella tasca destra dei blu jeans, una chiavetta usb sfregava contro la stoffa ruvida. Al suo interno decine di file mp3 riassumevano in musica tutti i giorni passati insieme, durante i quali anche il tempo pareva fermarsi ad osservarli, incuriosito dal loro amore.
"Penso di essere malato, perché mi fa paura vivere senza di te", le diceva lui nei giorni felici.
"Non ti preoccupare", rispondeva lei. E guardandolo dritto negli occhi aggiungeva: "Io ti curerò".
Seduto sul molo del porto di Tangeri, fumando pesanti sigarette turche, che ad ogni boccata rilasciavano nell’aria salmastra un fumo grigio e denso, il vecchio incantatore di serpenti fissava senza interesse le sporche vele di un piccolo trealberi marrone ancorato al largo. Al suo fianco, illuminata dalla fioca luce dell’alba, la cesta di vimini colorata, che per anni aveva custodito i suoi due cobra sdentati, giaceva capovolta tra i rifiuti di un cestino stracolmo, finalmente libera del suo pericoloso contenuto. A pochi metri dalla riva, un pezzo del suo lungo flauto di legno, memoria storica della famiglia, galleggiava pacifico sul pelo delle tranquille acque della rada. La parte mancante, appesantita dall’elegante incisione in argento che ingentiliva la testa intorno alla zona del fischietto, era immediatamente sparita al contatto con la limacciose superficie del mare, attratta per sempre verso un fondale sabbioso e sconosciuto. Stringendo il tizzone incandescente della tra indice e pollice, il vecchio spense la sigaretta, ripensando per un secondo alla sua vecchia fidanzata, perduta tanti anni prima al termine di una calda serata di aprile, quando aveva preferito restare in Marocco ad intrattenere turisti, piuttosto che salire sul piroscafo diretto a Genova e da lì proseguire per Como assieme a lei. I serpenti ed il flauto lo avevano incatenato in quella striscia di terra compressa fra mare e deserto e adesso, per la prima volta, guardando i rottami distrutti dalla sua furia, si sentì libero. I serpenti tuttavia, storditi dall’improvvisa libertà e incerti sul dove andare, si arrotolorano vicino alle gambe pelose dell’uomo ed attesero.
Tutti noi ci ricordiamo, chi più o chi meno, il primo amore. Il profumo dei suoi capelli, il colore dei suoi occhi, il timbro della sua voce. Il primo bacio incerto, durante il quale le labbra, toccandosi per la prima volta, si aprono su di un mondo nuovo ed inesplorato. La voglia di scoprirsi e la paura di perdersi. Il tempo che smette di scorrere, mentre tutto il mondo diventa scenario.
Ma c’è ancora chi, del primo amore, ricorda la fine? La fine del primo amore del mio migliore amico arrivò per telefono, dopo un Siena – Como 0 a 2 del 1999. Era una fastidiosa domenica di settembre, grigia e noiosa come soltanto l’autunno sa fare. Noi ce ne stavamo tornando verso casa dopo una brutta sconfitta casalinga. Il Siena quell’anno era partito forte e in giro si cominciava ad avvertire un inaspettato interesse verso i bianconeri. Durante la settimana, al pensiero della classifica, che per una volta in vita nostra aveva finalmente iniziato a sorriderci, le gambe cominciavano a tremare già dal mercoledì: l’infatuazione della gente di Siena per la Robur stava velocemente diventando amore. In realtà il mio amico aveva riposto troppa speranza in quella storia: la tipa proprio non faceva per lui. Perché fra tutte le ragazze del mondo, lui aveva scelto, come diceva Max Pezzali, "quella con quegli occhi grandi che anche tu, mi diresti è troppo bella". Non abitava in zona e francamente dopo quella domenica non l’abbiamo mai più sentita. Chissà che fine avrà fatto. Era la classica cotta estiva nata per caso, che non avrebbe sfondato l’inverno nemmeno per caso. Invece per il mio amico era diventata qualcosa di più: un punto di partenza, un miraggio, un regalo da custodire, un cucciolo da difendere. Immobile dentro l’auto ferma nel parcheggio del Sarrocchi (certo che a volte la disperazione fa fare cose stupide! Che ci si faceva davanti al Sarrocchi di domenica?), con l’orecchio incollato al telefono, abbruttito dall’antenna telescopica e dai tasti grandi come pistacchi, il mio amico attese in silenzio che la voce più bella del mondo smettesse di parlare. Lo stava massacrando, ma a lui non importava. In quel momento per lui contava soltanto cercare di non farla smettere. Il silenzio successivo fu di gran lunga peggio, mi confidò qualche giorno dopo. Non pianse quella sera il mio amico. Non ha mai pianto in vita sua, lui. Ricordo che mi guardò dritto negli occhi e posandomi una mano sulla spalla mi disse: "Fa male dirlo, ma oggi ho perso due volte". Qualche mese dopo, festeggiando la promozione della Robur in Serie B, ci abbracciammo forte alla Croce del Travaglio e senza attendere la mia domanda mi confessò: "Sto bene adesso: anche se il ricordo ogni tanto bussa alla mia testa, finalmente non fa più male".
Siena – Como: via un capitano, se ne farà un altro. Ciao Mendicino, per quel che mi riguarda, a non rivederci mai più. Per il tutto resto, vi prego, interrompiamo lo squallore e ritorniamo a sorridere. Vincere! Tutto il resto non conta.
Tutti uniti insieme avanzeremo.
Seduto sul molo del porto di Tangeri, fumando pesanti sigarette turche, che ad ogni boccata rilasciavano nell’aria salmastra un fumo grigio e denso, il vecchio incantatore di serpenti fissava senza interesse le sporche vele di un piccolo trealberi marrone ancorato al largo. Al suo fianco, illuminata dalla fioca luce dell’alba, la cesta di vimini colorata, che per anni aveva custodito i suoi due cobra sdentati, giaceva capovolta tra i rifiuti di un cestino stracolmo, finalmente libera del suo pericoloso contenuto. A pochi metri dalla riva, un pezzo del suo lungo flauto di legno, memoria storica della famiglia, galleggiava pacifico sul pelo delle tranquille acque della rada. La parte mancante, appesantita dall’elegante incisione in argento che ingentiliva la testa intorno alla zona del fischietto, era immediatamente sparita al contatto con la limacciose superficie del mare, attratta per sempre verso un fondale sabbioso e sconosciuto. Stringendo il tizzone incandescente della tra indice e pollice, il vecchio spense la sigaretta, ripensando per un secondo alla sua vecchia fidanzata, perduta tanti anni prima al termine di una calda serata di aprile, quando aveva preferito restare in Marocco ad intrattenere turisti, piuttosto che salire sul piroscafo diretto a Genova e da lì proseguire per Como assieme a lei. I serpenti ed il flauto lo avevano incatenato in quella striscia di terra compressa fra mare e deserto e adesso, per la prima volta, guardando i rottami distrutti dalla sua furia, si sentì libero. I serpenti tuttavia, storditi dall’improvvisa libertà e incerti sul dove andare, si arrotolorano vicino alle gambe pelose dell’uomo ed attesero.
Tutti noi ci ricordiamo, chi più o chi meno, il primo amore. Il profumo dei suoi capelli, il colore dei suoi occhi, il timbro della sua voce. Il primo bacio incerto, durante il quale le labbra, toccandosi per la prima volta, si aprono su di un mondo nuovo ed inesplorato. La voglia di scoprirsi e la paura di perdersi. Il tempo che smette di scorrere, mentre tutto il mondo diventa scenario.
Ma c’è ancora chi, del primo amore, ricorda la fine? La fine del primo amore del mio migliore amico arrivò per telefono, dopo un Siena – Como 0 a 2 del 1999. Era una fastidiosa domenica di settembre, grigia e noiosa come soltanto l’autunno sa fare. Noi ce ne stavamo tornando verso casa dopo una brutta sconfitta casalinga. Il Siena quell’anno era partito forte e in giro si cominciava ad avvertire un inaspettato interesse verso i bianconeri. Durante la settimana, al pensiero della classifica, che per una volta in vita nostra aveva finalmente iniziato a sorriderci, le gambe cominciavano a tremare già dal mercoledì: l’infatuazione della gente di Siena per la Robur stava velocemente diventando amore. In realtà il mio amico aveva riposto troppa speranza in quella storia: la tipa proprio non faceva per lui. Perché fra tutte le ragazze del mondo, lui aveva scelto, come diceva Max Pezzali, "quella con quegli occhi grandi che anche tu, mi diresti è troppo bella". Non abitava in zona e francamente dopo quella domenica non l’abbiamo mai più sentita. Chissà che fine avrà fatto. Era la classica cotta estiva nata per caso, che non avrebbe sfondato l’inverno nemmeno per caso. Invece per il mio amico era diventata qualcosa di più: un punto di partenza, un miraggio, un regalo da custodire, un cucciolo da difendere. Immobile dentro l’auto ferma nel parcheggio del Sarrocchi (certo che a volte la disperazione fa fare cose stupide! Che ci si faceva davanti al Sarrocchi di domenica?), con l’orecchio incollato al telefono, abbruttito dall’antenna telescopica e dai tasti grandi come pistacchi, il mio amico attese in silenzio che la voce più bella del mondo smettesse di parlare. Lo stava massacrando, ma a lui non importava. In quel momento per lui contava soltanto cercare di non farla smettere. Il silenzio successivo fu di gran lunga peggio, mi confidò qualche giorno dopo. Non pianse quella sera il mio amico. Non ha mai pianto in vita sua, lui. Ricordo che mi guardò dritto negli occhi e posandomi una mano sulla spalla mi disse: "Fa male dirlo, ma oggi ho perso due volte". Qualche mese dopo, festeggiando la promozione della Robur in Serie B, ci abbracciammo forte alla Croce del Travaglio e senza attendere la mia domanda mi confessò: "Sto bene adesso: anche se il ricordo ogni tanto bussa alla mia testa, finalmente non fa più male".
Siena – Como: via un capitano, se ne farà un altro. Ciao Mendicino, per quel che mi riguarda, a non rivederci mai più. Per il tutto resto, vi prego, interrompiamo lo squallore e ritorniamo a sorridere. Vincere! Tutto il resto non conta.
Tutti uniti insieme avanzeremo.
Mirko
Vincere vincere vincere
RispondiEliminaE vinceremo per cielo terra e mar
E'la parola d'ordine della senese vanita'
Per vincere ci vogliono i milioni
Che babbo monte non vi darà più
Questa sulle note della marcia di un certo cranioleso di Predappio
Poi secondo nota tradizione toscana
Ancor rimpiangon la novelletta
Che mentre rapinavano la banca
Per distrarre la gente meschinetta
La misero seduta sulla panca
A fare tifo per la loro squadretta
Ora a sentirli qui poco ci manca
Che svenga per la grande commozione
Ma rido perché non son senesone
Fu quando comincio la spoliazione
Che vi lascio' tutti senza prebende
Che con undici fave in mutandoni
Sull' occhi vi misero le bende
Le date a guardar parlano chiaro
Ma qualchedun ancora non l'intende
Così ragiona il popolo somaro
Che l'ignoranza ha'l sapor amaro
Saluti besciolini
Concordiamo in toto. Tant'è che su questo blog (non in rima) lo diciamo da anni. Che si deve fa', Cucuteni? Che ci consigli?
EliminaConsigli da un Fiorentino? Sete messi così male?
RispondiEliminaUn ci voglio crede'comunque così, tanto pe' ragiona'
Ite pe' campi colle vostre citte,
A favvi l' orti pe'mangiare sano
Po' dopo le mettete prone o ritte
E gni fistiate quarche be'gambano
Lasciando Robur e altre ditte
Vu' smettereste di favvele a mano
Consiglio di facchino fiorentino
Tornato a fare il contadino
Effettivamente chiedere consigli a chi ha esportato Renzi... Forse non è la mossa giusta. Comunque grazie per il consiglio. Però una cosa non mi torna: gambano, what si gambano?
EliminaDa Isolotto fino a Recenza
Eliminacome Renzi importasti deficienza.
A mezzavia in piazzola ti fermasti
col Nigeriano poi ti dileguasti.
Fiorenza cantò lodi a Batistuta
e ad Antognoni leccò anche i coglioni.
Solo a pigliallo in culo siete boni,
in zona Camollia foste MERDONI(2005 docet...).
Walter d'Astimberga.
Nomasi gambano la parte basale del fungo edibile
RispondiEliminaBoletus aerus meglio conosciuto come moreccio
O scopaiolo che si caratterizza per essere fornito
Di un "pedano" o gambano di diametro pari o superiore a quello
Della cosiddetta "cappella" .La consistenza della parte basale e' maggiore di quella
Di altri boleti idem le proporzioni,il carpoforo in questione si trova come simbionte
Nei boschi mesofili in associazione con Quercus Robur/petrae/cerris/pubescens/ilex/suber,trovasi altresì in boschi di Castanea sativa
O in associazione con arbutus unedo ma quasi sempre in presenza nel sottobosco di
Erica arborea ,da qui il nome di scopaiolo,moreccio invece a causa del colore del cappello dal nero al marrone testa di moro con a volte sfumature chiare se crescente in zone ombrose.
Il lemma viene dal volgo fiorentino spesso usato come sinonimo
Del termine latino mentulae in accezione, quando così appellato
Essenzialmente della funzione copulatoria.
Te sei un cittadino e bisogna dirti ogni cosa
Ma qui semo nella città de georgofili e della crusca sicché s ha tanta pazienza anche
Perché i vostro vocabolario di lingua senese vi si requisi' e poi gni si dette foco
In piazza dopo le tristemente note vicende ,da lì in poi vi sete buttati sull' italiano e noi vi se lo lascia volentieri.
Saluti pentiti per come vi concio' il medeghino che era dimorto lezzo
E con lui ci si ragionava malino ,per questo vi si mando'.
II in
Meno male ci requisisti il vocabolario, perché a parla' e scrive' come te c'era da sta' freschi...
EliminaCucuteni ma tettù tifi l'emma villasse?
RispondiEliminavaia vaia vaiaaa