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martedì 7 febbraio 2017

La buccia di banana

Domenica pomeriggio di metà inverno, umida e triste come soltanto febbraio sa regalare.
Sciami di goccioline nebulizzate, portate da un vento obliquo ed intermittente, colpiscono la pelle screpolata delle guance, creando tuttavia più fastidio che disagio.

Seduto al mio solo posto, incurante della plastica bagnata del seggiolino scolorito, che impregnando la stoffa dei pantaloni diffonde nella schiena una ragnatela di piccoli brividi simili a brevi scosse elettriche, scivolo lentamente dentro pensieri scostanti, mentre un vecchio ombrello senza punta mi ripara dalle lacrime del cielo. Come a non voler affrontare la realtà catturata dagli occhi, il cervello vaga lontano, recuperando da qualche scantinato celebrale momenti del passato. Guardando i miei abituali vicini di curva, con i quali credo – dopo tutti questi anni - di avere più cose in comune che con molti parenti, mi soffermo a pensare a quanto, inesorabilmente, il tempo lasci su di noi il segno del suo passaggio: capelli ingrigiti, passi svogliati, voci arrochite. Solo gli sguardi sembrano quelli di sempre.
Come un secchio legato ad una fune, recupero dal pozzo della memoria una canzone perduta alla fine dell’adolescenza e aspetto che le emozioni avvolgano la mia sera, distraendomi dal presente. Dopo un'empasse iniziale, la musica prende forza e le parole divampano con violenza, come un tizzone di sigaretta lanciato sopra un tappeto di foglie secche. Senza opporre resistenza, lascio che le strofe scorazzino libere ed indisturbate all’interno della scatola cranica. Piano piano una serie di ricordi iniziano ad affiorare dal profondo, come piccole bollicine in un bicchiere di Coca Cola. Sulle familiari parole di "Aspettando il Sole" di Neffa, ascoltata per anni da una musicassetta Sony da 64 minuti, osservo la partita in silenzio. Il cuore batte svogliato, anche per quest’anno siamo forse già arrivati al punto in cui arrabbiarsi o restare immobili non fa più differenza. 
"La tele resta spenta e non la guardo più, ho un nodo in gola che è difficile da mandar giù". Ripenso al video della canzone, registrato un giorno d’estate su una VHS usata direttamente da Mtv, e visualizzato centinaia di volte su You Tube, ma solo allo scopo di leggere i commenti e scoprire magari di conoscerne l’autore! Improvvisamente ho voglia di caldo.
"Chi lo calciò il rigore a Sansepolcro?". Soltanto dopo aver finito di pronunciare la domanda, mi rendo conto di averlo fatto a voce troppo alta. Il panico mi assale: "Oh Dio, adesso passo da scemo!". Dopo un secondo di silenzio, nel quale anche il portiere del Como si gira incuriosito a fissarmi, da qualche parte dietro di me arriva nitida la risposta esatta: "Minicleri". Mi volto in cerca di un volto a cui abbinare la voce. Raggiungo il mio obiettivo nell’immagine di un signore di mezza età, avvolto in un larghissimo impermeabile giallo griffato Romagest, feticcio storico di un tempo passato. Mi guarda e indicando la panchina del Siena, aggiunge: "Lui almeno chiese scusa". L’immaginazione non deve nemmeno sforzarsi troppo perché l’allusione al nostro attuale numero 7 e alla sua sfortunata serata appare subito chiara. Neffa continua a rombarmi nelle orecchie mentre l’immagine di Minicleri che si avvicina al settorino per scusarsi, al termine della partita vinta 3 a 1 contro il Bastia, si sostituisce alla realtà. Anche per chiedere scusa occorre essere signori, credo.
Minicleri e Castiglia non hanno molto in comune. O forse sì... In realtà sono quasi coetanei, visto che il primo è nato nel 1989 ed il secondo nell’anno precedente. Vengono entrambi dal Meridione e di mestiere fanno i calciatori. E come tutti noi, anche i calciatori, ogni tanto scivolano. Magari lo fanno su di una ridicola e simbolica buccia di banana, ma scivolano. Scivolare in fondo è cosa umana. Scivolano via sul sentiero della rabbia, sui capricci di una personalità straripante che sfocia in maleducazione reiterata, sui dubbi della frustrazione di un corpo che non fa quello che la testa vorrebbe. Scivolano come i tifosi della Robur sulle insidiose scalinate di metallo della curva, che non hanno più niente a norma di legge. Scivolano sui resti di una società buona a definirsi professionistica soltanto a parole. Scivolano nella distrazione tragicomica di un staff tecnico e dirigenziale, totalmente incapace di comprendere il momento del ragazzo e di tutelarlo, anziché lasciarlo solo per lunghi minuti, durante i quali, per ben tre volte (palle non hai fatto un gesto stupido, ne hai fatti tre, sia ben chiaro) ha sentito il bisogno di difendersi da solo contro i fischi prima e i cori poi di una curva imbestialita. Che molto probabilmente (io compreso) lo ha utilizzato come capro espiatorio di una serie di problemi diversi e connessi soltanto in minimissima parte alla sua persona. Forse chissà, anche questo è un segnale di quanto gli atleti si sentano tutelati dalla società. Scivolano, mentre tutto intorno affonda. No, io non credo che Ivan Castiglia da Cosenza (che reputo comunque più simpatico dei suoi concittadini visti più volte nel settore ospiti del Rastrello) sia uno stupido o uno sprovveduto. Magari non gode tra i tifosi bianconeri della stessa simpatia mostrata a Minicleri, magari lui c’ha messo del suo, con prestazioni sciatte, partite incolori e forma fisica precaria. Magari è soltanto scarso o forse non ha voglia di correre e sudare per una squadra che reputa mediocre. Tuttavia in altri tempi, con altri dirigenti, non sarebbe rimasto in panchina nemmeno un secondo, ed avrebbe evitato di erigersi a protagonista di una brutta pantomima, durante la quale tutti siamo scivolati verso un abisso nero, per riemergere dal quale (sempre che un giorno rigiochi ancora con la nostra amata maglia) serviranno prestazioni, sudore, fatica e silenzio. Chiedere scusa e basta non è mai sufficiente, anche se un coccio rotto in tanti pezzi è sempre difficile da incollare. Peccato, perché doveva fare la differenza, ci dissero…
Nel pomeriggio triste e piovoso d’inizio febbraio, ancora una volta abbiamo avvertito il silenzio assordante di una società latitante, unica e vera responsabile di questa ennesima orribile domenica. Nella quale, per inciso, s’è perso un’altra volta. Anche se, ormai, ciò comincia a non fare più notizia. Ma al timone della barca, c’è sempre qualcuno?

Siena – Como 0 a 1: gli avversari vengono, vedono e vincono. Noi li lasciamo fare, incapaci di reagire, se non solo dopo aver preso goal. Salviamoci velocemente, non mi piace questa deriva. Parliamo di sfortuna, pali, traverse e parate, ma viviamo sempre alla giornata dicendo: “Va bene così!”. Progettare un futuro senza costruire le fondamenta è da stupidi: gettiamo prima la base, vi prego. Poi casomai penseremo all’altezza. Oppure, se si può dire, fatevi da parte.

Tutti insieme uniti avanzeremo.


Mirko

2 commenti:

  1. per colpa tua ho letto i commenti al video e ho scoperto che è Giuliano Palma a cantare il ritornello nel video! Che sensazione strana.

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  2. Meno male via... Mi rallegro sapendo che non sono l'unico a farlo. Si è vero. Era proprio Giuliano Palma. Che prima di diventare famoso se non erro era il cantante dei Casino Royale.
    Mirko

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