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venerdì 14 ottobre 2016

"Hai figu?" Le figurine dei calciatori nel (semiserio) profilo antropologico dell'Homo Paninicus. Le bustine


Quando vedeva entrare in edicola un bambino, l’edicolante già sapeva con quasi assoluta certezza che cosa gli avrebbe chiesto: cinque, dieci, venti bustine...


[...] L’elemento centrale della raccolta erano naturalmente le figurine. Nel periodo della raccolta le edicole ne smerciavano a tonnellate. Sia gli acquisti fossero giornalieri (per i più fortunati) sia più diluiti nel tempo, il momento dell’acquisto delle bustine rivestiva insieme un significato di soddisfazione, di obiettivo raggiunto, e speranza. Quando vedeva entrare in edicola un bambino, l’edicolante già sapeva con quasi assoluta certezza che cosa gli avrebbe chiesto: cinque, dieci, venti bustine. Solo bustine, non era necessario specificare altro. Che si trattasse di Calciatori Panini era ampiamente sottinteso. 
Tra le mani, le bustine scottavano. Sotto il sottile strato di carta sul quale campeggiava il disegno immaginifico della rovesciata di Parola, si celava la speranza. Quella figurina che mancava, quell’altra che, se trovata di nuovo, avrebbe consentito lo scambio con l’amico che a sua volta aveva doppia quell’altra che mancava a te... 
Giubilo e delusione si alternavano aprendo le bustine e scorrendo rapidamente e con occhio esperto le figurine contenute. La continua consultazione dell’album consentiva infatti di individuare senza errore le mancanti, subito separate dalle altre che andavano ad ingrossare il mazzo delle doppie. Cacce felici seguivano o precedevano cacce deludenti, dalle quali si sperava di riprendersi con il colpo messo a segno con qualche scambio fortunato. Chi “inventò” la narrazione del calcio mercato, intendendo con ciò quello che da un punto di vista giornalistico conosciamo oggi, per certo se non era un collezionista accanito, almeno a tale attività si è obbligatoriamente ispirato. Di fatto noi si faceva calcio mercato. Senza soldi e con fotografie al posto dei giocatori veri, ma quello si faceva, tra fortuna, costanza, strategia di scambio ed estenuanti trattative con controparti attente a tutelare i propri interessi. 
Ciò che era sempre immutabile, indipendentemente dal fatto che la sorte fosse stata benigna o meno, era l’odore delle figurine non appena la bustina veniva aperta. In special modo quello degli scudetti delle squadre laminati in oro o argento era particolarmente intenso. Un qualcosa di indefinibile, non di stampa tradizionale: l’odore delle figurine nuove, appunto, uguale solo a se stesso e indicatore olfattivo di un gioco appassionante. 
Le figurine mancanti avevano ovviamente il proprio posto assicurato sull’album, ma anche quelle doppie non erano trascurate, tanto è vero che la loro vita futura, se poi non finivano nei famosi mazzi smaltiti all’inizio dell’estate dalla furia iconoclasta della mamma, poteva essere di alto valore strategico, in ossequio ai principi di quella mai superata civiltà contadina che permane nel tessuto collettivo italiano nonostante la costruzione degli stabilimenti di Mirafiori. 
Le figurine doppie non erano tutte uguali e il loro valore sul “mercato” poteva essere sensibilmente diverso. Non saprei dire esattamente attraverso quali meccanismi astrusi ciò avvenisse, ma di fatto tutti quanti sapevano quali erano le più rare da reperire, quelle difficili. Così, esse finivano in un mazzetto separato dalle altre, dedicate agli scambi più importanti. Un altro mazzo separato era dedicato alle valide e alle più rare bisvalide ambite dai collezionisti puri, ossia quelli che alla fin fine raccoglievano le figurine principalmente per partecipare alla raccolta a premi che l’editore bandiva ogni anno proponendo palloni, magliette ed altri articoli di ambito calcistico dietro invio di un certo numero di figurine appartenenti alla categoria e riconoscibili per il retro differente rispetto a quello delle altre. Infine vi era il mazzo, di solito molto voluminoso, di quelle senza particolari attributi, utili per gli scambi con chi aveva iniziato la raccolta da poco ma, chissà, forse possedeva un pezzo pregiato da scambiare, o per giocare.
Coscenziosamente raccolte con elastici, i mazzi trovavano posto nelle tasche della blusa nera che costituiva la divisa del collezionista-scolaro a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Tasche scucite, deformate, sfondate, ma pur sempre utili a contenere il tesoro dal quale non ci separava mai. Ed ecco qui, a posteriori, trovata anche la giustificazione per l’esistenza della tanto odiata blusa nera. A volte, basta pensarci un attimo e tutti i perché trovano soddisfacente risposta. 
Il collezionista-scolaro si aggirava nel cortile della scuola o negli altri luoghi in cui vi erano coetanei sempre pronto a tentare uno scambio possibilmente proficuo. Si scambiava tra compagni di classe, amici ma anche con altri ragazzini estranei al proprio giro. Non poche amicizie nascevano in capo a scambi con qualcuno che prima non si conosceva se non di vista. Ci si incontrava casualmente, oppure ci si cercava. Ci si dava appuntamento, magari nel pomeriggio, ma ad ogni modo il luogo di scambio preferito restava il cortile della scuola prima dell’inizio delle lezioni o immediatamente dopo. Anzi, la scuola era il punto naturale di incontro, l’agorà degli scambi, poiché tutti la frequentavano e lo scambio di figurine favoriva a modo suo il contatto e l’aggregazione tra ragazzi di età diversa che altrimenti avevano poco in comune, a parte l’obbligo di studio. 
"Hai figu?". Con questa domanda iniziava di solito una possibile sessione di scambio. Era praticamente automatico che dall’altra parte si rispondesse affermativamente: non collezionare i Calciatori Panini equivaleva ad essere poco meno che degli esclusi, estranei al rito collettivo che non era una sfida tra pari, ma piuttosto una tenzone collettiva, sia pur giocata singolarmente, contro le Edizioni Panini e quello che a torto, credo, alcuni pensavano fosse una precisa volontà dell’editore di impedire il completamento della raccolta non mettendo in vendita a bella posta alcune figurine. Con questo poco lusinghiero retropensiero, esempio di cultura del sospetto che non teneva minimamente in considerazione il più realistico calcolo delle probabilità, lo scambio iniziava. E che la sfida fosse contro l’editore e non contro un altro collezionista, è dimostrato dal fatto che, alla fine, quasi tutti i tentativi di scambio andavano in qualche modo a buon fine. Magari con un risultato di consolazione, ma a buon fine. Portarsi a casa cinquanta figurine doppie in cambio di una ceduta non arricchiva certo la collezione personale, ma aumentava le opportunità di scambio futuro soprattutto per chi aveva meno possibilità di acquistare figurine in edicola. Diverso il caso dei bulimici da figurine, sempre in possesso di mazzi enormi di doppie. Ma questo è un caso limite, come limite era il caso dei collezionisti compulsivi, impegnati a scambiarsi figurine sotto il banco anche durante l’orario di lezione incuranti dei rischi che ciò poteva comportare (gli insegnanti usavano volentieri e con sadica disinvoltura la bacchetta, in quei tempi eroici...). 
Più o meno come facevano i cassieri di banca con le banconote, anche i mazzi di figurine venivano sfogliati con incredibile rapidità, e non è vero che chi valutava quelle di un altro snocciolasse la litania ce l’ho, ce l’ho, manca. La velocità di scorrimento era troppo alta, quindi ci si limitava ad un o un no. Oppure un vai per incitare ad uno scorrimento ancora più veloce in attesa di adocchiare, fra le molte altre, la figurina mancante. A volte si stava addirittura in silenzio e concentrati su quelle che scorrevano sotto gli occhi attenti dell’osservatore, limitandosi a pronunciare un secco no di fronte ad una figurina di interesse. Ad ogni no pronunciato la figurina indicata veniva, con altrettanta rapidità e gioco di dita degno di un borseggiatore, estratta dal mazzo e messa da parte per la successiva parte del rito, ovvero la transazione. 
Lo scambio avveniva in genere senza discussioni, in rapporto 1:1. Ma se per qualsiasi ragione tale possibilità veniva a mancare, allora trovavano spazio le soluzioni più fantasiose. Le combinazioni possibili erano praticamente infinite: scambio alla cieca contro un numero molto alto di altre figurine, scambio contro un certo numero di valide, scambio con un numero prefissato di altre figurine scelte una a una dal possessore delle figurina di interesse. Si poteva arrivare a riaggiornarsi con il patto non scritto di non cedere nel frattempo ad altri la figurina contesa, oppure arrivare a tentare raffinate triangolazioni coinvolgendo amici di cui si conosceva la disponibilità di pezzi interessanti. Comunque, in un modo o nell’altro, la figurina ambita si riusciva alla fine ad ottenere. Anche perché nel frattempo si poteva scoprire che anche altri la possedevano... 
Un altro modo per scambiare le figurine, sia pur poco romantico, era quello della verifica separata delle disponibilità reciproche. Personalmente non l’ho mai praticato: denotava freddezza e scarsa fantasia, roba da contabile. E inoltre dimostrava la poca fedeltà al rito irrinunciabile di sfogliare l’album, esercizio indispensabile per imprimersi nella mente i volti dei giocatori già trovati e propedeutico all’emozione impagabile di scovare una figurina mancante durante una operazione di scambio. 
Ma di che cosa si trattava? Semplicemente ci si scambiava un foglietto contenente i numeri di riferimento delle proprie mancanti (ogni tipo di figurina aveva un numero di riferimento), dopo di che a casa si verificava con tutta calma la lista della controparte con le doppie disponibili. Si evidenziava sulla lista il numero delle figurine di interesse disponibili e altrettanto faceva il compagno di scambio, dopo di che si procedeva alla transazione. Poco intrigante, vero? Certo, ma in questo modo, fatto salvo il tempo necessario a compilare e duplicare la lista, diventava possibile scambiare, se così vogliamo dire, con più collezionisti contemporaneamente. 
Le figurine facevano talmente parte del quotidiano che per loro si trovavano e inventavano gli usi più disparati. Segnalibro, elemento decorativo per la personalizzazione delle copertine di libri e quaderni. Soprattutto dopo l’introduzione delle figurine autoadesive, se ne trovavano appiccicate un po’ ovunque, quasi a voler delimitare con la dichiarazione della propria passione spazi e oggetti considerati personali, di proprietà, sia nell’ambiente domestico sia in quello scolastico (personalmente ricordo una sonora fila di scapaccioni rimediati per aver appiccicato lo scudetto dell’Inter sul campanello di casa...). 
Ma, più prosaicamente, la figurina valutata non più interessante per gli scambi, ossia in teoria non più sfruttabile per incrementare la raccolta personale, trovava nuova vita e una ragione di essere come elemento di gioco. Ciò a meno che non si fosse appena iniziata la collezione, nel qual caso l’abilità nel gioco poteva trasformarsi in un buon sistema di pesca a strascico per raccogliere materiale interessante. 

(continua...)

3 commenti:

  1. oh...abbiamo anche l'esperto in figurine,a Sienina...porannoi si può dire o si fa lesa maestà?

    El Cinico

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    1. No, non si può dire. Perchè lo scrivente non è di Siena...

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    2. infatti la "punzina"...immaginavo!
      blog multirazziale!
      olè

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