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giovedì 13 ottobre 2016

"Hai figu?" - Le figurine dei calciatori nel (semiserio) profilo antropologico dell'Homo Paninicus. Introduzione


Da oggi e per tre giorni consecutivi, Wiatutti stacca, entrando nel mondo del ricordo, della nostalgia, della Bellezza della nostra infanzia.
Il Sig. Lorenzo ci ha inviato un piccolo capolavoro, che a me ha fatto piangere, smuovendomi ricordi, odori, vecchie mura, ginocchia sbucciate sull'asfalto. Consiglio: prendetevi qualche minuto solitario per leggere questo breve racconto diviso in tre parti, senza altri pensieri o occupazioni che possano affollare i vostri pensieri. Iniziamo.

Benedetti i fratelli Panini e la loro geniale intuizione. Benedetto Maciste Bolchi, capitano dell’Internazionale e prima figurina stampata dagli stessi fratelli Panini. Benedetto il disegno di Wainer Vaccari, ispirato alla celebre respinta in rovesciata di Carlo Parola in un Juventus-Fiorentina archiviato tra gli scaffali polverosi del campionato italiano di calcio di serie A del 1949-1950: il disegno più visto e stracciato senza rimorsi, ma non per questo meno amato, da generazioni di giovani italiani a partire dalla stagione 1965-1966, anno del suo primo comparire sulle bustine di figurine.
Insomma, benedetta la longeva e fortunata collezione di figurine Calciatori Panini, punta di diamante de Le grandi raccolte per la gioventù, come recitava il cartiglio che compariva sulla copertina degli album sino all’inizio degli Anni Settanta. La collezione (raccolta) Calciatori, ha ufficiosamente ma di fatto costituito in concreto uno dei caposaldi formativi per generazioni di italiani di sesso maschile, surrogando in modo fantasioso e in linea con il profilo un po’ arrangiato tipico nazionale le carenze strutturali e di contenuti che affliggono da tempi non sospetti la Scuola italiana. Ruolo mai riconosciuto ufficialmente, ma per questo non meno vero. Affermazione esagerata? Niente affatto. E questo scritto, che non vuole essere un peana ma una riflessione semiseria sulla psicologia del figurinomane in età preadolescenziale, si pone lo scopo di dimostrarlo in via definitiva. 
Scrivere oggi di figurine, e di quelle dei calciatori Panini, in special modo, è purtroppo diventata una cosa seria. Della materia si sono impossessati, sfoggiando la tipica prepotenza dei più grandi, gli adulti, con le loro manie di collezionismo a tutti i costi che sono ricerca di punti fermi di fronte alle incertezze del presente: almeno, così ci dicono gli psicologi. Fatta la tara alle operazioni di nostalgia (sempre da evitare, odorano di sconfitta già scritta con l’aggravante di venire accettata quasi con compiaciuta rassegnazione), a quelle di pura speculazione economica (esecrabili: i sogni non hanno prezzo e quindi non si possono comprare), resta, assieme allo sguardo triste ma volitivo di ragazzo del sud in cerca di affermazione di Angelo Mammì effigiato a mezzo busto in tenuta di calciatore del Catanzaro (1970-1971), l’avvilente rigore da ragioniere privo di qualsiasi fantasia di certi scritti tendenti ad ammantare di serietà qualcosa che seria non è. Importante sì, se considerata come sforzo per capire meglio un aspetto particolare della formazione umana delle generazioni dei cinquantenni e sessantenni di oggi, ma non seria. Ci mancherebbe altro. Per favore, lasciamo le figurine dei calciatori là dove devono stare: in quella vasta area felice fatta di gioco e di spensieratezza, zeppa di cose della vita appena abbozzate che non appaiono subito per quello che sono e che invece si apprezzano più tardi, quando poco per volta tutto o quasi va al proprio posto e insieme alle vittorie si iniziano a contare con serenità anche le sconfitte. E ciò vale per i bambini di ieri come, e forse anche di più, per quelli di oggi.
In senso più ampio, attraverso le varie annate degli album dei Calciatori la sociologia potrebbe leggere con facilità e non senza qualche sorpresa la lenta ma progressiva evoluzione di un Paese che non è mai stato capace (o non ha mai voluto?) di trovare veramente se stesso, rimanendo più per colpe proprie che per sfortuna congiunturale alla bicicletta, ossia a metà strada tra la civiltà del carretto e quella dell’automobile, come scriveva Indro Montanelli in uno dei suoi memorabili reportage al seguito del Giro d’Italia 1947.
Ma anche questo approccio, per quanto senza dubbio interessante, avrebbe un vago sapore di posticcio, di asettico sforzo accademico. Alla creazione del mito delle figurine Panini, alla loro trasformazione in oggetti bramati e contesi alla sorte e ai fortunati legittimi possessori, hanno partecipato con gioioso entusiasmo, divertimento e impegno instancabile, solo e solamente tanti ragazzini che oggi sono uomini o che domani lo diventeranno. La raccolta dei Calciatori Panini è roba loro e di nessun altro, così come loro è il merito della creazione delle regole di una specie di mondo parallelo (per una volta sia detto in accezione positiva) imperniato sempre e comunque su quelle benedette figurine mancanti e che mai capitava di trovare. Senza essere legislatori, condottieri o banchieri. La cosa fa pensare...

 Chi ci è passato e ha vissuto gli anni ruggenti dell’epopea Panini, lo sa. L’Homo Paninicus ha caratteri molto ben definiti e una storia che vale la pena raccontare. Una storia in cui, anche chi è bambino oggi e colleziona le figurine dei calciatori Panini con immutato entusiasmo, potrà forse un giorno riconoscersi con accettabile approssimazione. L’Homo Paninicus, specie di ominide in miniatura arroccato nella sua specialissima Via Pal, è probabilmente cresciuto e cresce ancora oggi meglio dell’Homo Elettronicus, altra specie di ominide in miniatura sconosciuto alla scienza sino a pochi anni fa e che già desta serie preoccupazioni tra chi di infanzia e pubertà si occupa a livello professionale.
 Per le femminucce, mondo del tutto sconosciuto, erano in voga certamente altri passatempi, ma per i maschietti la raccolta Calciatori segnava lo spartiacque simbolico tra la fine delle vacanze estive e la lunga stagione dell’impegno tra i banchi di scuola. La raccolta assumeva in tal senso anche la valenza di ancora di salvataggio in una mare che, insomma, non si era poi così entusiasti di navigare. Lo spazio dedicato alle figurine era un’oasi di serenità tra le sudate carte di leopardiana memoria zeppe di gerundi, re di Roma e tabelline. Eh sì, perchè la raccolta, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, era popolarissima tra gli scolari delle scuole elementari.  
Ciò almeno succedeva dalle mie parti, realtà che è bene non prendere a modello su scala nazionale. Non possiedo dati in proposito, ma propenderei per pensare che diffusione e popolarità delle figurine Panini fossero variabili, in funzione di elementi specifici presenti nelle varie zone d’Italia. Certamente l’interesse dei ragazzi era il medesimo ovunque, ma l’ostacolo rappresentato dalla disparità di condizioni economiche tra aree diverse giocava probabilmente un ruolo fondamentale nella diffusione della raccolta, facendo assaggiare sin dalla più tenera età la differenza tra teoria dei diritti e condizione pratica di applicazione di tali diritti.  
La totale esclusione delle ragazze dal mondo della figurina non era un fatto casuale: l’avvicinarsi delle donne allo sport è conquista tutto sommato recente. Non si era mai vista una ragazzina seguire il calcio e il mondo che vi ruotava attorno: forse qualcuna ci avrebbe provato volentieri, ma contro le convenzioni in voga non si andava. La compartimentazione abituale, ragazzi da una parte e ragazze dall’altra, escludeva a priori l’affacciarsi del genere femminile alla maggior parte di giochi e svaghi tipici dei ragazzi. E così, mentre noi ci si accapigliava per la figurina di Pietro Carmignani o di Vavassori, il mondo delle ragazze continuava a restare un cosmo a parte, sconosciuto e con il quale non si pensava di dovere fare prima o poi i conti come invece inevitabilmente avviene con il corollario abituale, per i più fortunati, di innumerevoli sconfitte con perdite. 
 Come magicamente comparivano in edicola tra ottobre e novembre, le figurine altrettanto magicamente scomparivano tra maggio e giugno, quando il campionato di calcio terminava e l’evasione dalla routine scolastica non era più necessaria perché l’estate portava con sé altri svaghi e divertimenti in attesa di attaccare con rinnovato impegno e rinnovate speranze di completamento la collezione dell’anno seguente.  
Fantastica, e tipica dell’età, era la leggerezza con cui si abbandonava la raccolta dopo avervi profuso tanto impegno ed entusiasmo. Le figurine avanzate giacevano da qualche parte sino a che la mamma, con esemplare pragmatismo femminile, le faceva sparire nella spazzatura, stanca di vederle girare per casa. Le figurine, non l’album; e ciò indipendentemente dal suo grado di completamento. Il rispetto per i frutti del lavoro compiuto era totale.  
Ma il repulisti operato a tradimento non costituiva un trauma: presto sarebbe iniziato un nuovo campionato di calcio e con esso la nuova collezione. Le vecchie figurine erano diventate semplicemente inutili. Personalmente non ricordo di avere mai completato una raccolta, ma alla fine quello poco importava: era altro ad essere significativo. Importava il mondo che ruotava attorno alla figurina e all’album, elemento spesso sottovalutato ma in realtà di grande importanza e valore formativo.
L’album delle figurine, per come era concepito, rappresentava non solo un luogo d’ordine utile a dare un senso alla raccolta, ma pure un ottimo strumento di esercizio per lo sviluppo di alcune doti necessarie alla vita adulta. 
In primo luogo l’album esercitava alla pazienza. Mano a mano che la raccolta progrediva, sempre meno erano le occasioni di reperire le figurine mancanti. Certo, le si poteva ordinare presso l’editore, ma quello era un atto antisportivo rifiutato a priori dagli aficionados puri. Si continuava a sfogliarlo, l’album, imparando piano piano ad accettare la presenza, ci si augurava temporanea, di quegli spazi vuoti che deturpavano il completamento perfetto di una pagina. E quella pazienza e accettazione rendeva soddisfacente al massimo grado il momento in cui, per fortuna o per merito di un abile scambio, si riusciva a porre rimedio a tanto insulto concettuale e visivo. 
L’album insegnava ad essere curiosi. Solo sul finire degli anni Ottanta assunse una vaga forma standard. Prima, la sua organizzazione editoriale e di contenuti variava anche sostanzialmente di anno in anno. Figurine a mezzo busto, a figura intera, in azione di gioco; scudetti, mascotte o immagini di tifo organizzato da comporre in forma di collage: e tutto quanto da incollare con grande cura con la storica coccoina (le celline adesive non hanno mai riscosso grande successo) fino all’avvento delle figurine autoadesive a partire dalla stagione 1972-1973.
L’album insegnava ad essere ordinati e precisi. Incollare una figurina storta o fuori posto era qualcosa da neppure immaginare. L’attenzione era massima, soprattutto con l’avvento delle figurine autoadesive: il minimo errore e si era spacciati. L’incollaggio avveniva con calma, attenzione e metodo, attenti anche ad evitare (impresa difficilissima se non disperata) che la colla debordasse dai margini della figurina, contribuendo a conferire alle pagine dell’album quell’aspetto vagamente cresposo e rigido provocato dalla combinazione di colla ed aumento di spessore nei punti delle pagine occupate dalle figurine. Tale effetto di stratificazione, presente anche sugli album anche di chi usava mettere la colla solo al centro degli spazi trascurandone i bordi, diminuì drasticamente con l’avvento delle figurine autoadesive. Ma il rovescio della medaglia era, ovviamente, l’impossibilità di rimediare al benché minimo errore di incollaggio. 
L’album dei calciatori era un efficacissimo testo di geografia che, rispetto a quelli ufficiali, aveva il grande pregio di non annoiare. Nella sezione che veniva denominata Dati e carriere, molti giovani italiani hanno imparato che esiste un posto in Italia che si chiama Eboli; sta in provincia di Salerno e vi è nato Mimmo Caso. E tutto questo prima di scoprire che Carlo Levi scrisse Cristo si è fermato a Eboli. Oppure che Pieris, dove nacque Fabio Capello, è un paesino in provincia di Gorizia. Chi non ha mai collezionato figurine e vive, diciamo a Palermo, probabilmente non sa che esiste un luogo che si chiama San Michele Extra. Noi lo sapevamo: e che diamine, ci era nato Mario Corso, il piede sinistro di Dio, ed è nei pressi di Verona! 
Così, sfogliando l’album della raccolta Calciatori Panini, giorno dopo giorno si imparava parecchio anche sulla geografia italiana e non solo sui calciatori di serie A e B, nomi e capienze degli stadi, nomi di massaggiatori e medici sociali. Informazioni non sistematiche, pratiche, ma utilissime per conferire un tocco di necessaria realtà alle crisi di rigetto provocate dalla cartina muta che campeggiava minacciosa, in genere sulla parete dietro alla cattedra, in ogni aula di scuola elementare italiana. 
Tra i tanti meriti tecnici dell’album, non mancava certamente il suo lato più squisitamente umano. Sulle pagine dell’album campeggiavano non entità astratte, bensì i volti di persone in carne e ossa. Calciatori: ragazzi molto più grandi che avevano il merito e la fortuna di giocare al calcio senza doversi occupare di fare altro. La raccolta dei Calciatori Panini rappresentava anche per essi una vetrina di estrema importanza: una delle poche se non l’unica occasione per farsi conoscere da migliaia di piccoli appassionati che altrimenti ne avrebbero forse ignorato l’esistenza all’interno del mondo pallonaro. 
Erano altri tempi, talmente morigerati da superare il limite dell’austero. Le immagini televisive e i giornali facevano conoscere in pratica solo i volti dei grandi campioni, e pure con il contagocce. Se si fossero incontrati Sandro Mazzola o Gigi Riva per la strada, ovunque in Italia li si sarebbe riconosciuti: la loro popolarità era enorme. Ma che ne sarebbe stato della popolarità di Ricciotti Greatti o dell’infinita serie dei fratelli Maldera, senza l’album Panini? 
Scoprire che non esistevano solamente i campioni dai colpi fantasmagorici ma che anzi la maggior parte del calciatori erano persone che faticavano come e più dei campioni stessi rimanendo inoltre nell’ombra di un sostanziale anonimato, era un’altra bella lezione offerta per il futuro a molti giovani collezionisti: i solisti servono a ben poco se poi manca l’orchestra che ne esalti al meglio le doti fuori del comune. 
Alla fine fa un certo effetto dirlo, ma sfogliando l’album dei Calciatori Panini, operazione a cui ci si dedicava quotidianamente o quasi compiacendosi per le pagine completate ed addolorandosi per quelle dove uno o più maledetti spazi vuoti rovinavano l’armonia dell’insieme, scrutando quelle facce di misconosciuti eroi della domenica ci si proiettava inconsapevolmente in avanti, compiendo un balzo nel futuro per vedere sé stessi ad anni di distanza nei faticosi panni degli altrettanto misconosciuti eroi della vita di tutti i giorni. 

Continua...

1 commento:

  1. La prima vera gioia della mia vita, che ricordo come se fosse accaduta ieri, fu quando una mattina di agosto mentre giocavo a pallone nel piazzale di casa mia, arrivò il postino che, chiamandomi per nome, mi dette in mano una busta bianca. Dentro c'erano le 5 figurine dei mondiali 1978 che mi mancavano. Fu un momento magico
    Arit

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