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mercoledì 28 settembre 2016

La busta arancione

Terminata l’estate, la Robur tornò a sorridere! E dopo mesi di magone e “tante-forse-troppe” parole al vento, tornarono anche i tre punti.
Al fischio finale, seppur per pochi instanti, la lancetta dell’umore si allontanò dalla zona rossa e riscoprimmo finalmente quant’è bella l’euforia.
L’autunno si aprì con una paradossale domenica da primavera inoltrata, dove un cielo trasparente, allegramente venato da nuvolette di passaggio, amplificava sul mondo i raggi caldi di un sole coinvolgente come non si vedeva da tempo. Il mondo entrava nella stanza attraverso la finestra: una mamma strillava ad un bimbetto dispettoso, una rondine volteggiava a pochi mesi dal suolo in attesa di partire verso sud e un autoradio pompava nell’aria una musica vagamente conosciuta. Il vento profumava di buono. Sopra al mobiletto dell’ingresso, un mazzo di chiavi abbandonato riposava in pace tra un telefono spento e una pila di lettere chiuse, lasciate lì dal giorno prima. Sul tavolo di cucina un bicchiere riempito per metà di acqua gassata aspettava in silenzio di essere bevuto, mentre centinaia di bollicine, aggrappate al vetro come piante di capperi sui muri, attendevano il loro turno prima di salire verso l’alto. Nonostante il calendario, sembrava ancora agosto. “Chissà oggi come si stava al mare”, disse la vicina prima di soffermarsi a pensare che non si muoveva di casa da oltre venti anni. Per un secondo fui sul punto di compatirla. Ma poi mi vennero in mente tutte le volte che si era addormentata con la televisione accesa a volume altissimo, tenendomi sveglio tutta la notte, e ricacciai indietro il pensiero.
Guardare la partita della Robur sul piccolo schermo di un telefono intelligente non è esattamente come vederla dal vivo; tuttavia avevamo vinto ed anch’io, dall’ozio del divano, mi sentivo partecipe di quel piccolo successo, che almeno per una sera sgombrava la testa e alleggeriva il cuore.
Uscendo di casa, l’occhio cadde sulla corrispondenza del giorno prima: una bolletta, due volantini di elettrodomestici a buon mercato e una busta arancione. Gelo. Senza un perché, la mano si allungò verso quest’ultima, bloccandosi a pochi centimetri da essa. Attraverso il riquadro di plastica trasparente il mio nome scritto con un carattere stampatello freddo e impersonale, orfano persino di un “Egregio Signor”, precedeva un indirizzo che aveva tutta l’aria di essere quello di casa mia. In alto a sinistra la scritta INPS accompagnata da un cerchio formato da due frecce che si rincorrevano chiarì immediatamente tutti i dubbi. C’era in ballo la pensione, ma non si parlava di alberghi.
La tranquillità del pomeriggio scomparve nel giro di un battito di ciglia. Dentro la stanza eravamo io, la busta e tutti i miei dubbi. Sulla spalla destra, come in un sogno, comparvero dal nulla Marotta & Moschin vestiti da angioletti, che, bisbigliandomi nell’orecchio destro, suggerirono di lasciar perdere la lettera, afferrare il guinzaglio del cane che dormiva beato in giardino e godermi in santa pace il tramonto. Su quella sinistra invece, i satanelli Piredda e Burrai armati di corna, coda e forcone, gridavano di aprirla, leggere attentamente il contenuto, rovinarmi la giornata e molto probabilmente gli anni a venire. Il cuore batteva all’impazzata, come la sera del primo bacio cento vite prima. Incerto, mi sedetti a fissare la lettera. Il Siena ha vinto, mi ripetevo, non c’è spazio per nient’altro questa sera. Domani magari tornerò stanco da lavoro e leggerla servirà ad aumentare il mio bisogno di autocommiserazione. Ma non ora. Fermo immobile sul divano della Ferilli, aspettavo che il tempo portasse consiglio.
Fuori il cielo lentamente virava dal celeste al blu e verso ovest il rosso del tramonto tingeva di rosa la scia di un aereo.
Osservando la busta arancione, mi tornò in mente una maglia utilizzata dal Siena ai tempi d’oro della seria A. La vita è scandita dai colori: appena venuti al mondo, un maschietto vede tutto azzurro. Come il principe delle favole, il cielo di oggi e la maglia del Prato. Il primo accenno di libertà, di trasgressione e di succhioni nel collo in aperta campagna, arriva con la conquista del foglio rosa. Il mondo diventa improvvisamente a portata di mano. Con l’avvento della maggiore età il colore di moda diventa il verde, come la cartolina con la quale il ministero ci invita alla visita di leva, rubandoci due giorni di vita e ricompensandoci con un biglietto del treno. Adesso è il turno dell’arancione, inaspettato come una gravidanza a cinquanta anni e fastidioso come i testimoni di Geova il sabato mattina. Improvvisamente la presenza ingombrante di quel piccolo rettangolo di carta mi annebbiava il cervello. Il Siena ha vinto, mi ripetevo sottovoce, quasi più per tenere impegnata la mente che per altro. Avevo la sensazione di stringere un qualcosa di portentoso, in grado di un unire in un secondo il presente ad un punto preciso del futuro. Se chiudevo gli occhi, riuscivo perfino a vedere una linea arancione che si perdeva nell’infinito. Era come se fossi imprigionato in una specie di triangolo spazio-temporale, con la base formata dagli anni che passano e la qualità della vita per altezza: tutto era scritto nella lettera. E più i secondi passavano, più avevo l’impressione che il vertice alto del triangolo si stesse velocemente abbassando, schiacciandomi verso terra.
Dopo qualche secondo realizzai che, da qualche parte nel mondo, qualcun’altro aveva già letto il mio futuro e sorrisi pensando a quel qualcuno – molto diverso da una zingara - che raccontava la mia sorte ai colleghi d’ufficio durante la pausa caffè.
Come in un film americano ricco di effetti speciali, uscii dal mio corpo giusto in tempo per vederlo alzarsi in piedi e avvicinarsi al cassetto dei coltelli. Indugiò mentre il gatto gli tagliava la strada. Disse qualcosa, ma le parole arrivarono alle mie orecchie distorte, come quelle di Dory in “Alla ricerca di Nemo” quando parla il “balenese”. Il Siena ha vinto, uno spruzzo di luce. Il coltello si avvicinò alla busta. Non adesso. Dentro di me infuriava la battaglia. La vita è un sogno, non un’attesa. Tornai al presente e con fatica ripresi possesso del mio corpo. Lucidità e ossigeno. Guardai la busta intatta e decisi: dopo averla fatta in mille pezzi la gettai via, nel posto più lontano possibile dalla mia serenità. Il futuro è un incognita ed è interessante solo se rimane tale; quindi non sarà una busta arancione, letta di fretta sul finire di una bella domenica d’autunno, dopo che il Siena ha vinto, a scandirmi la vita.

Prato – Siena 1 a 2: torniamo a sorridere proprio quando ne avevamo decisamente bisogno. Adesso è arrivato il momento di iniziare a costruire qualcosa, senza limiti e buste arancioni.

TUTTI UNITI INSIEME AVANZEREMO. 



Mirko

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