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giovedì 1 settembre 2016

Il Museo del Palio


Settembre, fine dell'annata paliesca, tempo di consuntivi, discussioni, elezioni, nuove strategie. In mezzo a tutto questo resta (resterebbe) anche lo spazio per riflettere su alcune iniziative che girano intorno al nostro mondo.
L'idea del Museo del Palio da una parte mi affascina, dall'altra mi spaventa. Iniziamo a parlarne un po', partendo da proposte concrete (alla faccia di chi dice che i blog senesi sono capaci solo di criticare).

Delle molte considerazioni che ultimamente abbiamo letto o sentito sul Museo del Palio di prossima realizzazione (ma sarà vero? Sono ormai quasi venti anni che se ne parla…. e basta), una delle più interessanti è stata espressa da Roberto Guiggiani.
Del quale non condividiamo tanto la conclusione del suo ragionamento, quanto l’incipit. Soprattutto quando afferma: “Il museo come lo vorrebbero i senesi sarebbe fatalmente poco attraente per coloro che vengono da fuori e che ne dovrebbero essere i visitatori, perché didascalico, con troppe cose da spiegare, complesso e alla fine macchinoso da “leggere”; mentre un museo come sarebbe interessante per i visitatori non piacerebbe affatto ai senesi, che lo troverebbero troppo riduttivo, superficiale, pericolosamente spettacolare”. 
Non c’è dubbio, uno dei problemi più assillanti che dovrà sciogliere il comitato di esperti nominati per “costruire” il Museo è proprio questo, cercare di contemperare al meglio due esigenze diversissime tra loro. Perché è di tutta evidenza che dovrà essere indirizzato ad entrambe le categorie di utenti (senesi/contradaioli e turisti/non senesi) e dovrà avere lo scopo di interessare l’una e l’altra.
E diciamolo subito chiaramente, senza girarci tanto intorno: le due tipologie di fruitori hanno “bisogni” e livelli di conoscenza così distanti tra loro che concepire un “percorso unico”, sia esso espositivo o multimediale, oppure un mix tra le due forme, costituirebbe forse un flop, finendo per deludere gli uni o gli altri. Peggio ancora: gli uni e gli altri. 
Il turista, infatti, tranne rarissime eccezioni (coloro innamorati dei cavalli, o del Palio in sé, che vengono quasi ogni anno), nulla sa del nostro rito antico -e non si sta parlando della sua storia - non ha quasi mai coscienza nemmeno dell’abc del Palio e delle Contrade, quelle cinque-sei cosette che i nostri bambini imparano e conoscono intorno ai tre anni di vita. Potremmo portare un milione di esempi, alcuni anche divertenti, ma sarebbe inutile, perché ognuno di voi si sarà imbattuto chissà quante volte nella famiglia che chiede dove si corra, quante siano le Contrade, che strabuzza gli occhi quando capisce (normalmente non subito) che partecipano solo dieci per volta. E non provate ad illustrare, giunti a questo punto, il meccanismo del sorteggio (specie che la carriera di Provenzano si lega a quella del luglio successivo e così per agosto) perché dovrete soccorrere gente che brancola nel buio. E non vi impuntate a spiegare che quelli non si chiamano (non possono chiamarsi) foulards, appliques o sbandieratori, perché tanto non capirebbero e proseguirebbero imperterriti a definirli così. 
Ecco, per questo target di persone che inondano Siena, specie durante l’estate (da decenni, non dagli ultimi due o tre anni), il Museo del Palio “deve” essere il più possibile didascalico, spiegare per filo e per segno dove sono, cosa fanno i senesi da secoli e, se sono presenti in città proprio in quei giorni, cosa staranno per vedere. Magari aggiungendo un elemento in più, che può essere il collante tra il Museo del Palio del turista e il Museo del Palio per il senese. Ossia far comprendere che il nostro è un rito “anomalo”, è l’identità di un popolo, che le 17 Contrade sono il prodotto specifico della cultura senese, gli organismi che attraverso la propria attività secolare lo hanno reso unico e speciale. Tentare di far capire che il “Palio di Siena” è ben altro rispetto al folklore disseminato per l’Italia, è appunto unico, trattandosi del “gioco” che da più tempo, ormai quasi quattro secoli, viene disputato ininterrottamente nello stesso posto (Il Campo), dagli stessi “giocatori” (le 17 Contrade), con le stesse regole di base (una corsa lunga 3 giri di Piazza con cavalli montati da fantini che portano i colori dei rioni cittadini), con il medesimo premio finale per il vincitore (un drappo dipinto, detto appunto “Palio”), e nella solita data e dedicazione (il 2 luglio in onore della Madonna di Provenzano, ma ben presto lo si cominciò a correre alla tonda anche per la festività mariana di mezz’agosto). 
Può essere proprio quest’ultimo il punto di incontro tra le due diverse esigenze, perché anche i senesi, specie i più giovani, troppo spesso non conoscono, se non vagamente e quasi sempre per odiosi luoghi comuni, la Storia del Palio e delle Contrade. Non sanno cosa sia il Palio alla lunga, se davvero le Contrade si originarono dalle compagnie militari, per quali motivi proprio a Siena, intorno alla metà del Seicento, “si inventò” un gioco del genere, talmente geniale e fortunato da essere ancora vivo e vegeto, esempio di longevità anch’essa tutta da approfondire. Non sanno come le Contrade arrivarono a correre il cosiddetto “Palio alla tonda” nel Campo, da chi fu promosso e quando. Risposte, viceversa, che noi per primi dovremmo conoscere a menadito, in un momento come questo in cui avvertiamo il bisogno, se non la necessità (altrimenti non parleremmo neppure di un Museo del Palio), di aprirci all’esterno, di “spiegare” la nostra Festa, di far conoscere la complessa natura che da sempre ci contraddistingue.
In questo modo il Museo interesserebbe anche i senesi e i contradaioli, perché sarebbe rivolto anche a loro.
Un Museo, però, che per cogliere questo obiettivo dovrà essere concepito come autentico luogo di produzione culturale, dove tutto l’anno si alternano incontri, iniziative, si proiettano filmati, si aggiungono prodotti multimediali. Un luogo da trasformare in una piccola biblioteca del Palio, dove si raccolgono i libri fondamentali che nei secoli hanno trattato la nostra Festa, testi da consultare liberamente, ma anche con periodiche letture guidate ad hoc. Un Museo fruibile anche per i bambini, con giochi, letture, proiezioni e quant’altro, pensate espressamente per loro. Un Museo da realizzare all’interno del Palazzo Pubblico (e dove altrimenti?) e magari non solo nei locali ristrutturati allo scopo che si affacciano su Piazza del Mercato, ma possibilmente ampliandosi anche agli altri ambienti dei Magazzini del Sale, dove oggi si tengono piccole mostre temporanee; che forse più utilmente potrebbero trovare la loro naturale collocazione al Santa Maria della Scala. Un luogo, tra l’altro, che così concepito non costituirebbe un doppione dei 17 Musei di Contrada, di cui anzi sarebbe complementare, potendo così superare una certa, comprensibile titubanza delle consorelle alla sua realizzazione. Un Museo, infine, che proprio per sua natura dovrebbe essere gestito, a livello di programmazione e di attività, da chi conosce profondamente l’argomento, senza svenderlo a destra e a manca. 


Roberto Cresti

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