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martedì 12 aprile 2016

Il ramo dell'altalena

Il vecchio si avvicinò al bambino in lacrime e prendendolo in braccio chiese: "Non hai ancora finito di piangere?". 
Il bimbo, nascondendo la faccia nel collo del nonno, sussurrò: "Rivoglio la mia altalena!".
L’anziano signore, provato dal tempo dalla guerra e da una serie infinita di nazionali senza filtro, trasse un lungo respiro e chiuse gli occhi, affondando il naso dentro i capelli del piccolo, lasciando che l’odore di pulito gli inebriasse i pensieri. Costruire quella rudimentale altalena e spingerlo per un’infinità di volte era stato l’unico argomento capace di creare un punto di contatto con il nipotino; ma il temporale della notte aveva complicato tutto.
Da rude e burbero uomo di montagna, abituato a lottare tutti i giorni con i rigori di una vita tutt’altro che facile, si era ritrovato di colpo ad accudire e combattere con l’esuberanza ed i capricci del figlio di suo figlio, ultimo tenue legame in grado di tenerlo agganciato al mondo degli esseri umani. Il bimbo tuttavia era diverso e distante da ciò che era stato lui, tanti anni prima. 
Di quel tempo si ricordava ancora le mattinate libere e spensierate passate a girovagare per i boschi, in cerca di funghi e castagne o i pomeriggi di primavera trascorsi all’ombra del campanile della chiesa, aspettando che il prete abbandonasse il fresco della sagrestia, per sgattaiolare nell’orto e rubare tutte le ciliegie, che in paese ancora chiamavano “saragie”. Scacciando la malinconia dei ricordi di un mondo perduto, il vecchio riprese a parlare con tono pacato, scandendo bene ogni singola parola: "L'altalena è nella stanza vicina alla cantina. Non te l'ha toccata nessuno, stai tranquillo". 
Alzando lentamente la testa, il piccolo cercò con lo sguardo gli occhi grigi dal nonno, velati dall’ansia di vederlo sorridere e con un filo di voce chiese: "Ma non c’è più il ramo, nonno; dove la mettiamo adesso?". 
Il vecchio non rispose, ma in cuor suo sapeva che presto o tardi avrebbe dovuto affrontare questa situazione. Da tempo il “ramo dell’altalena” oscillava pericolosamente sopra il fienile del vicino e non avrebbe certamente retto ad un’altra nevicata. Inoltre il diluvio della notte precedente aveva accelerato tutto, costringendolo a farlo sparire prima dell’alba. Anche perché il bambino stava crescendo a vista d’occhio e con l’aumentare del peso non si sentiva più tanto sicuro a farlo giocare lì sotto. “Danni collaterali”, li chiamava l’ufficiale di plotone ai tempi del fronte. 
"Meglio che a piangere sia tu, per aver perso il gioco, piuttosto che pianga io per aver perso te", pensò con una punta di terrore ed a voce alta promise: "Te la rimonto oggi stesso. Su quel bel ramo laggiù!". 
Ed indicando con la mano un grosso cerro, attese incerto la risposta del nipote. Il bimbo scosse la testa deciso: "Non la voglio un’altra altalena!". Ed alzando la voce, aggiunse: "Rivoglio la “mia” altalena!".
Il vecchio, giocando la carta segreta, con un colpo da maestro calò il jolly, ponendo fine alla discussione: "Ti va di fare merenda? Lo vuoi pane, vino e zucchero?".
Il bimbo si lasciò corrompere da quella piccola trasgressione vietata dalla mamma e annuì strillando, aggrappandosi con forza ai capelli del nonno. Tuttavia, nel rientrare in casa, girando lo sguardo verso lo spazio di cielo che una volta era occupato dal ramo, provò una sensazione strana, simile a quella avvertita al ginocchio dopo essere caduto dalla bici, ma proveniente dalla pancia. Soltanto anni dopo avrebbe capito che quel giorno, davanti ad un ramo tagliato, aveva conosciuto il dolore di perdere qualcosa. 
Col tempo il bambino diventò adulto ed il nonno raggiunse la nonna nel regno dei cieli. I rapporti tra di loro si erano pian piano raffreddati e il giorno del funerale il ragazzo non ebbe lacrime da versare. La distanza e la vita li avevano talmente allontanati l’uno dall’altro che non ricordava un solo momento – dopo il giorno dell’altalena – nel quale fosse rimasto da solo con lui. Anche durante i noiosi pranzi di Natale non riusciva mai ad andare oltre i convenevoli, separato dal vecchio da un carattere troppo identico al suo. Il giovane avrebbe voluto raccontargli del suo lavoro, del Siena in serie A, dei suoi sogni e soprattutto di lei. E nel farlo gli avrebbe raccontato di come lo faceva sentire l’odore della sua pelle dopo aver fatto l’amore, di quanto gli batteva il cuore quando riconosceva il rumore dei suoi passi sul pianerottolo e dei suoi occhi, che erano dello stesso colore del cielo d’estate. E magari un giorno gliela avrebbe anche presentata, chiamandola soltanto per nome, senza bisogno di etichettarle un ruolo. E il nonno, soltanto guardandola, avrebbe capito che era quella giusta. Poi con il vecchio telefono grigio a ghiera, inutilmente silenzioso da troppo tempo, avrebbero chiamato il ristorante dell’eremo, per pranzare tutti insieme nella terrazza sospesa sulla vallata, come ai vecchi tempi… 
Ed invece adesso, mentre il prete finiva di recitare la funzione ed il becchino iniziava a ricoprire di terra la cassa di legno, non riusciva a smettere di pensare alla sua altalena ed al ramo tagliato. La ragazza dagli occhi azzurri, che per tutta la celebrazione era rimasta silenziosa al suo fianco, percepì il turbinio di pensieri che dovevano passare per la testa del suo ragazzo e prendendogli la mano chiese: "Vuoi andare via?".
E senza aspettare la risposta, lo condusse dolcemente verso l’uscita. Con un delicato cenno della mano salutò i futuri “suoceri”, senza riuscire a nascondere il lieve rossore delle guance e una volta in auto ordinò: "Portami a vedere qualcosa di te!". Era la prima volta che lui la lasciava entrare nel suo passato ed aveva troppa voglia di vedere i posti di cui lui le parlava spesso, romanzandogli sempre tutto. Con il cuore che batteva all’impazzata, il giovane decise che era giunto il momento e, senza riflettere, guidò l’auto lungo la stretta strada che dal campo santo si inerpicava fino alla casa del nonno. 
Dopo aver trovato il varco nella rete del giardino, la condusse di fronte al maestoso castagno, nel cui tronco spiccava ancora la cicatrice del ramo tagliato tanti anni prima. Il vento freddo dell’autunno mulinava le foglie secche, spargendole sull’erba umida, mentre un pallido sole provava ad illuminare la vetta della montagna, nascosta alla vista da nuvole color nebbia. 
"Avevi torto nonno! I rami non sono tutti uguali. Come le persone del resto. Nel tempo non ho saputo perdonarti per aver tagliato il mio ramo e non ho mai sentito la tua mancanza. Adesso che non ci sei più, provo lo stesso dolore di quella mattina di tanti anni fa. Non ti ho mai capito, scusami. Ti presento Lei, con la quale sto costruendo una nuova altalena. Questa volta non lascerò che qualcosa o qualcuno tagli il ramo che ci ha unito". 
Tirandogli su il bavero della giacca, lei non riuscì a trattenere una piccola lacrima, che scese veloce fino all’angolo della bocca. E nel lasciarla andare pensò: "Ma sì, in fondo sono “solo una donna” e non più “una donna sola” e fermandosi ad ascoltare il vento le parve di udire una risata lontana.

Siena – Teramo 3-3: non solo state tagliando il ramo, ma avete fatto anche ammalare l’albero, spezzato la fune e smontato l’altalena. Non vi vogliamo più vedere! Fate qualcosa di sensato in questa stagione: tutti in vacanza e largo ai giovani. Domenica fate la giocare la Beretti!

Tutti uniti insieme avanzeremo!
Mirko

2 commenti:

  1. Dovrebbero sentirsi onorati solo di essere stati presi in considerazione. Per di più in un post contenente un bel racconto come questo... Comunque, la mia formazione ideale: Montipò in porta, Opiela a correre, Cori a saltare, La Vista dove ha voglia di stare e per il resto tutti "citti"!
    Quell'altri?... Quell'altri chi???... Per me non esiste più nessuno.

    Ancora complimenti per i tuoi scritti, attendo il prossimo.

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  2. Complimenti anche da me. Andrea

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