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martedì 22 marzo 2016

Le scalette dei bagni

E alla fine la primavera arrivò, nonostante l’inverno.
"Guarda bella la lavanda fiorita!", fece lei pensierosa, indicando con la testa un punto preciso della campagna circostante.

"È ramerino, demente!", rispose lui. "La lavanda fiorisce in estate. E poi non siamo mica in Provenza".

Alto Lazio o bassa Toscana: il confine è una riga nera immaginaria, disegnata a tavolino sopra la cartina appesa al muro della seconda media. Il paesaggio invece è identico e se non fosse per un vecchio cartello di latta bianca messo lì dall’amministrazione provinciale, sarebbe impossibile definire il luogo. Appena fuori dal finestrino, le immagini di prati verdi rincorrono basse colline erose dal vento. Presto il verde sarà sostituito dal giallo e da sud arriverà uno scirocco mieloso carico di sete, che attutirà ogni voce nei lunghi pomeriggi estivi. 
Guardando fisso davanti a sè, lui ruppe improvvisamente il silenzio: "Ci sei mai stata in Provenza?". Guidava tenendo il volante con la mano sinistra, mentre con la destra accarezzava il ginocchio di lei, protetto da un sottile strato di jeans. "Sì, da piccola con i miei". E senza riprendere fiato aggiunse: "Una vita fa". I due si guardarono per un istante prima di aprire bocca contemporaneamente. Assumendo una posa smorfiosa, la ragazza lo rimproverò ridendo: "Sai che è maleducazione interrompere chi parla?". "Veramente non stava parlando", ribattè lui nascondendo un sorriso. Aveva utilizzato volutamente il Lei per dare un tono distaccato ed ufficiale alla risposta. Poi, quasi a dichiarare la resa, continuò: "Prima te". E lei non se lo fece ripetere due volte. "Secondo te quand’è che si smette di essere piccoli?". Lui la guardò sbalordito: stava pensando esattamente la stessa cosa. E ancora una volta si meravigliò di come lei riuscisse a guardargli dentro, quasi come quel dottore dell’ospedale che una volta gli aveva fatto le lastre. Abbassò il volume della radio prima di rispondere, ma solo per creare un'atmosfera da commedia americana e chiosò: "Bella domanda. Mica c’era scritto nel manuale che mi dettero all’ospedalino quando nacqui. No, non lo so quando si smette di essere piccoli. Però credo di sapere quand’è che si diventa grandi". Lei lo guardò perplessa: "Cioè?". Adorava starlo a sentire e non si stancava mai della sua voce. Incoraggiato, proseguì tutto di un fiato: "Cioè... credo che smettere di essere piccoli dipenda da noi e ciò sia impossibile". Lei annuì. "Mentre diventare grandi dipende dagli altri e non possiamo opporre resistenza". Poi continuò: "Secondo me diventiamo ufficialmente grandi la sera in cui, per la prima volta, siamo costretti ad aspettare i figli alle scalette dei bagni. Hai presente al sabato sera, la fila di auto ferme con le quattro frecce accese davanti al garage del Busi? Ecco, quello è il momento". 
Nel tempo poi magari diventerà un'abitudine fastidiosa, ma la prima volta – come tutte le prime volte – sarà un po’ speciale. Non essendo più abituati, ci farà un po’ fatica abbandonare l’ozio del divano, mentre la tv trasmette immagini orribili di partite inutili e lo stomaco lotta contro la pizza mangiata per cena, acquistata da asporto alla pizzeria all’angolo. Avviando il motore dell’auto, il cuore batterà un po’ più forte del solito e tenteremo di compensare l’inquietudine crescente regolando i bassi dello stereo. La strada per il centro sembrerà lunghissima e magari faremo attenzione a particolari mai notati prima. Nella mente la stanza dei ricordi sarà tappezzata con una carta da parati ricoperta di frammenti di vita vissuta. A poco a poco ti torneranno alla mente facce di gente conosciuta anni prima, da un altro te. Sarai puntuale per una volta. Aspetterai con ansia il loro arrivo e quando li riconoscerai mischiati fra gli altri, riuscirai a frenare l’istinto di abbracciarli e riempirli di baci. Non avranno più tre anni e una figuraccia davanti agli altri non te la perdonerebbero mai. Li hai visti crescere e negli anni li hai protetti da quel mondo che stentava a rivelare quale fosse il tuo giusto posto: adesso cominciano a pretendere il loro spazio. Hai sorriso con loro e hai pianto con loro. Ti sei commosso di fronte ad orribili disegni colorati, che nonostante tutto hai orgogliosamente appeso in ufficio, proprio dietro alla scrivania. Li hai amati da subito senza condizioni, anche perché sono state le uniche persone alle quali hai creduto veramente, quanto ti hanno detto “Ti voglio bene” prima di addormentarsi sulle tue ginocchia. A modo loro, ti hanno fatto compagnia, dormendo nei lunghi viaggi in auto, quando a forza di ascoltare il cd dello Zecchino d’Oro ti pareva di scorgere Nonna Pina dietro ad ogni incrocio. Con loro hai guardato per ore il solito cartone animato, imparandone tutte le battute a memoria, e hai lottato contro la stanchezza mentre ti ordinavano di rileggere la novella, per l’ultima volta.
Poi una sera di marzo, all’improvviso, ti chiedono il permesso per andare ad un compleanno e mentre aspettano la risposta noti un lampo di complicità negli occhi dalla mamma: hanno già deciso; come sempre. E allora capisci che è arrivato il tempo di diventare grandi, perché adesso tocca a loro essere piccoli. 
Alle 22 e 30 arrivano puntualissimi, ma non sono soli: di colpo ti trovi davanti tutta la compagnia. Decine di occhi ti fissano seri. Intuisci che devi dire qualcosa di spiritoso, altrimenti passi da quello musone. Ma al tempo stesso devi ricordarti anche che hanno solo 13 anni. Butti là una battuta sulla Robur e sulle sue tristi figuracce, o la va o la spacca. Dopo un attimo lunghissimo nel quale il tempo pare fermarsi, iniziano a ridere. Il peggio è passato: possiamo salutare e andare a casa. Aspettando la reazione dei piccoli, siamo finalmente diventati grandi.

Lupa Roma – Siena 3-0: l’anno scolastico è quasi finito e in una normale scuola media pubblica di città, quasi novanta ragazzi frequentano il secondo anno. Nonostante il recente passato, soltanto una decina di loro seguono abitualmente la Robur. E tutto il resto, sono solo parole.

Se volevate distruggere tutto, avete fatto proprio un gran bel lavoro! In una città sull’orlo del fallimento fa piacere notare che, volendo, qualche iniziativa può essere portata a compimento. In pochi anni avete spazzato via la Robur, il calcio e il suo seguito di tifosi festosi. E riuscite ancora a dormire sereni.
Tutti insieme uniti avanzeremo. 

Mirko

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