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mercoledì 17 febbraio 2016

Tempo che viene, tempo che va

Domenica mattina e il cielo pare venir giù da un momento all’altro. Esisterà un posto dove piove solo di lunedì?




Il nero delle nuvole ferme sopra all’orizzonte non promette niente di buono, mentre l’auto corre loro incontro. Grosse gocce di pioggia s’infrangono con violenza sul parabrezza, ostacolando la vista e sovrastando la musica, che fatica ad arrivare agli occupanti dei seggiolini posteriori. La strada sembra il letto di un fiume e le precarie condizioni dell’asfalto le donano un fascino sinistro e selvaggio. Di tanto in tanto, grossi pick-up da montagna sfilano veloci in direzione contraria.
Il ristorante occupa tutto il primo di piano di una brutta palazzina in stile “follia anni 70”, che impacciata si erge al centro di una ampia radura circondata da un bosco di cerri. Ad un primo sguardo, potrebbe essere il palazzo del catasto o la scuola elementare. Due dei tre piani superiori non hanno terrazze e tutte le finestre, ad eccezione di una, sono chiuse con serrande acqua marina sbiadite dal sole. L'ultimo piano invece sembra più recente rispetto al resto dell'immobile, come se fosse stato aggiunto in un secondo momento. Dal davanzale dell’unica finestra aperta penzola un triste plaid marrone e la luce della stanza al centro del soffitto pare accesa. Il cartello in cima alla strada prometteva cucina tipica e prezzi ragionevoli, ma sorvolava sulla mancanza di fantasia del geometra e sulla pigrizia del costruttore. Nel parcheggio improvvisato, poche auto disposte a casaccio.
Fermi sulla porta, due anziani signori vestiti da militari parlano di un grosso cinghiale avvistato nei dintorni la notte precedente, mentre una signora in avanzato stato di gravidanza si alza dal tavolo e torna dietro al bancone. Nell’aria il profumo di caffè si mescola all’odore di soffritto proviente dalla cucina, penetrando in profondità nei vestiti. Un foglio di carta a quadretti scritto a mano informa che il bagno è riservato ai clienti. Alle pareti, foto ingiallite dal tempo ricordano un mondo che non c’è più: cene di caccia, sagre, tornei dei bar e Moser in maglia rosa nel giorno in cui il Giro passò da queste parti. Nessuno degli avventori ha voglia di parlare. Un'immagine in bianco e nero di una Siena che non c’è più campeggia sopra il frigo dei gelati. Stento a riconoscere ciò che vedo.
Se tornassi adesso, non la riconosceresti nemmeno tu!
Te ne sei andato un pomeriggio di cinque anni fa. Il sonno all’improvviso è diventato eterno. Molti vivi sperano di andarsene dormendo, convinti che sia un buon modo per lasciare questo mondo. Tuttavia, come i preti con l’aborto e i politici con le pensioni, non sanno di cosa parlano. Quella primavera, la recita di fine anno dell'asilo fu grandiosa e alla “festa del fiocco” i bambini del nido si mischiarono insieme a quelli della materna, mentre mamme e maestre si salutavano commosse. La fine era già cominciata, ma ancora non lo sapevamo.
Dicci: cosa c'è dietro la lunga curva della vita? Ti trattano bene da quelli parti? Che idea ti sei fatto di noi?
Siamo uno sciame di cuori impazziti in cerca di emozioni da raccontare, corrosi dalla paura di non avere niente da dire. La memoria del nostro telefono è piena di selfie e il frigo di cucina è ricoperto da calamite colorate, ricordi di luoghi lontani visitati da altri. Nel cassetto del comodino abbiamo più medicine che sogni e l'invidia ha sostituito l'ammirazione. Non sappiamo ancora da quale parte stare.
Sprechiamo le nostre ore a rincorrere chimere, mentre il fuoco della vita consuma le sue legna migliori e brucia un giorno dopo l'altro. Le lancette dell’orologio continuano a rincorrersi, tra desideri e entusiasmi, dubbi e dispiaceri. Viviamo una guerra che non fa vincitori, ma solo superstiti.
Il mortaretto di piazza esplode ancora dopo tre giri e la domenica in curva sventola sempre la stessa bandiera. Al mattino salutiamo i bambini prima di uscire di casa, ricevendo in cambio un dolce bacio al sapore di biscotto. Ci emozioniamo di fronte ad un bel seno e viviamo con la speranza di farla ridere ancora. Controlliamo il cellulare in piena notte e fingendo di programmare la sveglia, sbirciamo le notifiche. Siamo sempre più soli, in mezzo a tutti gli altri. Nelle serate più dure, dove la malinconia cozza con la tristezza, anestetizziamo il presente con un bottiglia di vetro, scaldando la mente per sgombrarla dai fantasmi del passato e fare chiarezza sul futuro.
Non ridere, ti prego, di ciò che siamo diventati.

Rimini – Siena 2 a 0. Non possiamo sapere quando, ma prima o poi torneremo grandi. E riporteremo la Robur dove l'hai lasciata te. Nella vita spesso è solo questione di tempo. Tempo che viene, tempo che va. Tempo che stringe, che avanza, che scorre. A volte è troppo, altre è poco. Spesso scade e a volte manca. E quando manca, fa sempre male.
Ciao Guaspa!


Tutti uniti insieme avanzeremo.



Mirko

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