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lunedì 7 settembre 2015

Il bohttangolo

"Oh babbo, ma lo vedi?".
"Che cosa?".


"Come che cosa? Guarda lì!".
"Ma dove?".
"Vieni qui dove so’ io, che da lì non lo vedi!".
"Ovvia giù! Ma che devo vede'?".
"Guarda lììììì!".




In un primo momento francamente non noto niente di strano. Poi – come i tre pastorelli davanti alla Madonna di Fatima – il mio cervello riesce a decifrare l’impulso proveniente dagli occhi e la visione mi appare in tutto il suo sbilenco splendore. 
A prima vista sembra esattamente identica alle altre centinaia di migliaia di aree di rigore sparse per i campi da calcio di tutto il mondo: davanti alla porta sotto la nostra curva c’è un rettangolo piccolo, un dischetto del rigore, un rettangolo più grande ed una mezza luna esterna. 
Senza minimamente soffermarmi sull’utilità di quest’ultima (alzi la mano chi sa dirmi il perché della sua esistenza), giro lo sguardo da destra verso sinistra e viceversa. Adesso la visione mi appare in tutta la sua maestosa tragicità: il cuore in petto inizia a pompare sangue e gli occhi reclamano l’intervento delle palpebre. Come se il solo chiuderle e riaprirle bastasse a cambiare la realtà.
La gente mi passa accanto inconsapevole. Qualcuno controlla il telefono, altri guardano senza vedere. Una ragazza sorride, due signori si salutano. Frasi fatte, discorsi di circostanza. Un gruppettino si lamenta della fila alla biglietteria, ma nessuno sembra accorgersi del dramma geometrico in atto sul campo.
Il richiamo della birra è veramente forte e nonostante la commercializzazione di squallidi prodotti dealcolizzati a prezzi di boutique, gli affari vanno a ruba. L’omino dell’acqua (anzi l’esercito dell’omini dell’acqua, visto che in 90 minuti ce ne sfilano accanto almeno 6 diversi) ci propongono continuamente bevande fresche, ma la serata in realtà sarebbe più da caffè sport e grappa al mirtillo, vista l’improvviso e repentino calo termico abbattutosi in pochi minuti sulla conca del Rastrello. Sugli spalti comunque si passa dal piumino modello “rifugio Cantore” alla canottiera stile “uomini e donne”: un conto è non avere le mezze misure, un altro è abusare dell’intelligenza. 
Tutto scorre placido (come l’Arbia il giorno dopo l’alluvione) e le squadre entrano in campo. Da mesi i cuori bianconeri stavano aspettando con intrepida impazienza questo momento. 
Si parte! Pronti via e prendiamo un palo, anche se l’arbitro vanifica tutto. Io mi accorgo di non essere mentalmente presente. Ho un chiodo fisso che mi martella. C’è una cosa sul campo che decisamente non quadra; o forse non rettangola! La fisica quantistica non m’è d’aiuto, come non lo è la geometria euclidea. Un rettangolo si dice tale quando (detto male) possiede i lati uguali a coppia e gli angoli interni di 90° gradi. Ma invece la cosa che si para d’innanzi a miei occhi cos’è? Un boh.. Bohttangolo! 
Nel frattempo, dalla parte del campo con i rettangoli sani, c’è una punizione per loro: tiro e goal. Zero a uno. La palla, anziché passare sopra alla barriera, passa sotto e la frittata è fatta. Finisce il tempo e la sensazione di affrontare l’intervallo in svantaggio non è piacevole. Una volta almeno si andava al barre, ma adesso? Non ci resta che abbordare il birraio. La squadra intanto rientra negli spogliatoi (almeno credo, o forse vanno al bar anche loro) per cercare di stringersi in cerchio e fare quadrato. 
Ricomincia il secondo tempo e la Robur attacca dalla parte del campo con l’area sana. Ma io ancora non riesco a seguire la partita con serenità: il mio sguardo è costantemente rapito dalla “visione”. Evito di guardarla a lungo, come si fa con il sole, ma la vedo lo stesso, come si vede il sole, anche senza guardare (cit.). Provo a cambiare prospettiva, mi sposto, cambio punto di vista. Mi chiudo un occhio con la mano, mi tappo il naso e mi tiro un orecchio. Sembro stolto. Meno male che il Siena pareggia e i vicini sono troppo impegnati a festeggiare per badare a me, perché se mi avessero visto fare quei versi avrebbero immediatamente convocato i servizi sociali per togliermi la patria podestà. Uno a uno e palla al centro. Adesso proviamo a vincerla, dai. 
Un’ultima occhiata al nostro bohttangolo e manca poco si fa il 2 a 1. Forse porta bene a guardarlo. Forse è un segno del destino, oppure il nostro presidente ha voluto inserire un altro elemento nel suo personale quadrifoglio. Forse quest’anno si va col pentafoglio. 
Mi domando... ma dall’altre parte dello stadio, i tifosi carrarini lo vedranno? Poi mi tranquillizzo, forse lo vedo solo io, perché forse sono io ad essere storto. Oppure è la curva ad esserlo. Pensa che choc se all’improvviso scoprissimo che la Torre di Pisa non è inclinata, ma è storto tutto il resto. Che delusione sarebbe! Ci toccherebbe tagliare almeno due gambe del mobiletto dell’ingresso, sul quale campeggia tronfia la torre/abajour meteorologica (che quando piove diventa blu), classico feticcio della gita a Pisa di terza elementare. Un mio ex compagno di classe la comprò nonostante fossimo in gita a Firenze, la portò a casa tutto contento ma prese del cretino anche dallo zio del su’ nonno che era infermo a letto da 20 anni e non riconosceva nemmeno la su’ moglie. 
La partita finisce, salutiamo i ragazzi e tutti a nanna. Io no, aspetto il deflusso della gente. Rimasto da solo, incurante del fresco birbone che mi attanaglia le caviglie, avverto il bisogno di immortalare questo momento. Per conservare la mia visione nel tempo e renderla disponibile alle future generazioni.

Siena – Carrarese 1 – 1. Nella partita più importante dell’anno (tanto per ricominciare con la solfa dello scorso anno), prendiamo un punto prezioso per la salvezza e usciamo dal campo con la consapevolezza di essere un bel gruppo, dinamico e pieno di prospettiva.

Prospettiva che manca sicuramente ai custodi del campo: signori, almeno le righe dell’aria di rigore facciamole dritte! Per favore.

Tutti insieme uniti avanzeremo! Sia per dritto che per storto! – 39 all’alba!

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