Il canale youtube di wiatutti!

martedì 5 maggio 2015

Il cursore

Lo schermo bianco del computer mi fissa impassibile. Il cursore di word lampeggia in attesa di un mio comando, che tuttavia non arriva. E allora se ne rimane fermo lì a lampeggiare, come un semaforo guasto o la spia di un allarme irritato. Lui non sa niente, non prova emozioni, non affronta delusioni e non conosce la gioia. È soltanto un cursore fermo ad aspettare un comando. Anche io oggi mi sono sentito un cursore fermo ad aspettare un comando. Che purtroppo non è arrivato.






Fisso il monitor e digito qualcosa, ma cancello subito. Sono in difficoltà! Le parole sono scappate a nascondersi nel seminterrato del mio cervello e non ne vogliono sapere di uscire. Le ultime che avevo le ho sputato addosso ad un signore davanti al barrino di San Prospero. Me ne sono immediatamente pentito, ma avevo appena chiuso una telefonata con mio figlio (oggi assente) che piangeva come un cittino (e tecnicamente sarebbe un cittino) e sentire un'altra volta i discorsi "Siamo spacciati”, “Abbiamo buttato via il campionato con il Gavorrano” e “Ora come si fa?", mi hanno levato letteralmente il lume dall'occhi. 
Se l’avessi vissuta in prima persona, penserei che oggi al fischio finale sembrava di essere in mezzo ai brasiliani dopo Brasile – Uruguay del 1950, la finale mondiale consegnata alla storia come la partita del Maracanazo. Tanti, tantissimi, si disperavano senza capire (o voler capire) che nonostante tutto, siamo ancora noi padroni del nostro destino… E io mi sforzavo di ricordarlo a chiunque mi passasse a tiro: fermando la gente che al 2 – 3 se ne stava andando, contraddicendo gli scettici, rispondendo paziente alle domande dei miei occasionali vicini (anche alle più stupide, tipo: "Chi è il 7?", "Qual è Titone?", "Ma Russo quando entra?"). Poi però alla fine ho perso la pazienza: anche mia moglie si è meravigliata della mia reazione. Purtroppo questa sorta di disperato sfogo ha avuto soltanto il potere di peggiorare le cose. Il signore, in fondo, non c'entrava niente perché il suo era soltanto un punto di vista pessimistico buttato là a caldo. Gli ho chiesto immediatamente scusa, ma ciò non mi ha fatto sentire meglio.
Questa volta non scriverò niente, lo so; ci proverò ma sarà inutile. Esco di casa, rientro, mi sento come se stessi pedalando con la catena abbassata: giro a vuoto. Ed in effetti la sensazione di vuoto mi opprime. Accendo la tv, c'è Napoli - Milan: Inzaghi contro Benitez. Mi viene in mente una finale di Champions di una vita fa. Immagino che non importi la categoria: uno sformato e' sempre difficile da digerire.
Potrei scrivere delle coincidenze, del fato, della coda messa lì a tradimento dal diavolo, ma poi mi fermo a riflettere, cercando nel passato le risposte per spiegarmi il presente e prevedere il futuro, perché - lo so - i prossimi giorni saranno devastanti. E allora ripenso a quando noi eravamo il Gavorrano e il ruolo della Robur spettava all’Inter. A quando, partiti da vittima sacrificale, uscimmo da San Siro fra gli applausi di tutta Italia, che ci ringraziò per aver onorato il campionato. Anche in quel caso tutto girò intorno ad un rigore. Il buon Manninger ipnotizzò il Materazzi di Berlino e la partita fini 2 a 2.

Mentre lo schermo rimane bianco ed il dispositivo entra in pausa, ho il tempo di rispondere ad un sms di un amico. Mi fermo un attimo a pensare a quanto siano invecchiati velocemente gli sms, passati da strumento geniale ad inutile antiquariato nel giro di pochi anni, soppiantati da wapp e roba simile. Il correttore automatico mi segnala che non conosce la parola "Robur", proponendomi di sostituirla con "Robbie". Rimpiango il vecchio telefono grigio con la ghiera, che trillava con il suono dei fumetti e non ti concedeva il lusso di sapere in anticipo chi fosse all'altro capo. Schiaccio invio e spengo il telefono.
Leggo il muro: sono d'accordo con molti. Anche io non so con chi dovrei incazzarmi. Mi ritorna in gola il sapore amaro del fine partita di Varese dello scorso anno, con la palla che picchia sul palo e spenge per sempre 110 anni di passione. La storia si ripete, penso: un rigore, un palo, un destino avverso. Non so che sapore possa avere un palo, ma dentro di me sono convinto che sia amaro, maledettamente amaro. Nell'anno della seconda B, all'alba della grande rimonta, pareggiamo a Genova con il Genoa una partita praticamente già vinta e sul muro di allora lessi una frase che nel tempo ho fatto mia: "Mi sento una bocca come se avessi leccato tutta la Siena - Firenze"... Ecco, a mio modo di vedere nessuna definizione rende meglio l'idea dello stato attuale della mia cavità orale.
A pensarci bene, quasi tutti i precedenti che ho citato hanno avuto il loro lieto fine: l'Inter riuscì a vincere comunque quel campionato e il poro Pippo qualche anno dopo si prese la sua bella rivincita europea. Solo il Siena (A.C.) non ha avuto la possibilità di rifarsi. Per mancanza di tempo. Perché nella vita purtroppo la cosa che non basta mai è sempre e solo il tempo. Tempo che gli è stato sottratto da chi ha spolpato le casse, ripulendo i forzieri fino all'ultimo fiorino, senza nemmeno rischiare la galera.
È già passato un anno da quella nefasta notte di Varese e, come direbbe De Gregori, “un anno passa in fretta, un anno cambia faccia”. E non solo la faccia purtroppo... Adesso ci spetta comunque il dovere di tentare di riprenderci quello che c’è stato tolto, provandoci fino alla fine, senza calcoli nè scorciatoie. Perché quest’ultime - se mai ci fossero state - fanno parte di un mondo lontano, che non ci appartiene più. Esattamente come gli occhi della Tigre: mister, per favore, lasci stare…
La possibilità che il Siena (A.C.) non ha avuto, il Siena (Robur) ce l'avrà domenica prossima. Vincendo potremo riavvolgere il nastro della storia ed eliminare l'incredibile epilogo odierno, salvando magari delle istantanee personali o collettive, come il formicolio dell'attesa, la tensione, la camminata fatta per raggiungere lo stadio passando per la Strada di Certosa - bella e poco conosciuta come il fiore dell’aglio - la coreografia con la gente che non capiva il verso del cartellino, le lacrime della ragazza dietro di me al goal di Portanova. Piccoli frammenti di un giorno inverosimilmente triste, che non dovrà essere tuttavia dimenticato.

Fra un singhiozzo e l'altro mio figlio ha chiesto una cosa che ha avuto il potere di gelarmi il sangue: “Domenica si vince babbo, vero?” Quel “vero” detto a mezza voce, quasi sussurrato a denti stretti, è caduto come un macigno sul mio provato pomeriggio. "Sì Matte, domenica si vince". Perché Gavorrano non sarà il nostro Maracanazo.
Il cursore adesso è soddisfatto e ha smesso di lampeggiare: ha avuto quello che desiderava. Anche noi desideriamo qualcosa e non saremo soddisfatti fino a quando non ce lo saremo ripreso.

Tutti uniti insieme avanzeremo.

1 commento:

  1. Il fiore dell'aglio giuro non lo conoscevo,ora si grazie a questo angolo. Memoria incredibile.

    RispondiElimina