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lunedì 20 aprile 2015

Il Rinascimento senese

Ricapitoliamo le puntate precedenti, a distanza di qualche tempo, sull'argomento Cultura a Siena. 



Nell’ottobre scorso la Commissione - all’uopo nominata - ha bocciato la canditatura di Siena a Capitale Europea della Cultura 2019, nonostante il nostro bidbook fosse certamente il migliore, il più comprensibile, il più all’avanguardia, il più innovativo, il più condiviso con la comunità cui si rivolgeva, nonché quello con i progetti in grado, più degli altri, di creare nuova e qualificata occupazione. In gergo calcistico e fuori dai denti: un autentico furto! 
Oltre al danno per una città morente, come del tutto opportunamente è stata rappresentata alla giuria in visita a Siena prima del giudizio finale, quest’ultima ha voluto rifilarci anche la beffa: diverse settimane dopo ha rese note le motivazioni che l’hanno convinta a scegliere Matera e non Siena. Ebbene il giudizio sembra bocciare quasi in toto la nostra canditatura e proprio quel bidbook tenuto così gelosamente nascosto per mesi, onde evitare che i concorrenti ci trafugassero le idee. Anche qui senza indugio non possiamo che affermare: intollerabile e inammissibile! 
Consci, tuttavia, dell’enorme bontà del lavoro svolto dal comitato di canditatura e mossi da incrollabile fiducia sui progetti, ma soprattutto sul deus ex machina degli stessi, pochi giorni dopo è stato annunciato che almeno alcuni sarebbero stati finanziati comunque, forse dalla munifica Regione. Infine, passa poco tempo e il Governo annuncia che le cinque candidate italiane escluse dalla gara sarebbero state nominate Capitali Italiane della Cultura 2015, riconoscimento che avrebbe dirottato a Siena circa un milione di eurini sonanti. Si presume per sovvenzionare progetti culturalmente di valore e in grado di portare in città tanti visitatori, creando magari anche un po’ di nuova occupazione. 
Quali? Nei giorni scorsi, dopo comprensibile riserbo e la solita condivisione con i principali attori culturali di questa città, in primis l’Università, prima a Roma e poi a Siena questi progetti sono stati resi noti dal Comune, magno cum gaudio. 
Fatte le dovute premesse, addentriamoci adesso in un tentativo di analisi sulla scorta del comunicato stampa pubblicato da tutti i mass media. 
Intanto va sottolineato con forza un aspetto: i soliti gufi spesso accusano questa Amministrazione e la sua Giunta di non conoscere, come ci si aspetterebbe, la città, i suoi abitanti, le sue millenarie tradizioni, e il suo inestimabile patrimonio culturale, storico, architettonico e artistico. Vero e forse unico punto di ripartenza. In molti hanno affermato che chi si candida oggi a governare Siena e le sue, spesso secolari, Istituzioni, dovrebbe soprattutto amarle, possibilmente in modo disinteressato. Perché chi ama davvero è più probabile che non tradisca o depredi. E siccome per amare davvero bisogna anche conoscere molto bene e in tutte le sue sfaccettature il soggetto cui corrispondere un tale sentimento, ecco che l’Amministrazione piazza il coupe de theatre che non ti aspetti, che tramortisce soprattutto i gufi di cui sopra. Sì, perché non solo questa Amministrazione conosce a menadito la città e la sua storia, ma addirittura si lancia in un’asserzione, proprio nell’incipit del suddetto comunicato, che rischia di riscriverla e di avere un peso storiografico condizionante per il futuro. 
Siete scettici, capisco; ecco allora il copia e incolla del brano: “Il progetto senese ha deciso di trarre spunto dalla rinascita culturale della città avvenuta dopo il 1348, anno in cui la peste uccise quasi la metà della popolazione, e dopo il quale lo spazio pubblico cittadino fu percepito e usato in maniera innovativa, aprendo le strade verso lo splendido e fiorente periodo storico, definito Rinascimento”. Poche righe ma intrise di sorprese, novità inedite e un’evidente competenza nel maneggiare le questioni prettamente senesi. Soprattutto, ripetiamo, qui si riscrive la storia e non solo cittadina: il Rinascimento italiano non nasce a Firenze, irradiandosi in breve alle corti di Napoli, Milano, quelle emiliane e dello Stato Pontificio e anche alla vicina Siena, ma proprio qui nella nostra amata città. Chi ostinatamente continua a ritenere che il periodo aureo di Siena si situi nei secoli anteriori al Rinascimento, si metta l’anima in pace, non c’ha capito nulla! 
D’altra parte, a sostegno di una tesi così rivoluzionaria, soccorrono svariati fattori, tra cui citeremo a puro titolo esemplificativo, ma non esaustivo: lo spazio pubblico per eccellenza di Siena, il Campo, è palese frutto di un progetto rinascimentale; la stessa struttura urbana, le sue strade, piazze e vicoli, sono un evidente manifesto degli stilemi di quel periodo; tutte le maggiori opere pubbliche, civili e religiose, vengono per lo più realizzate all’epoca, tra Quattro e Cinquecento.
Oddio, a ben pensarci qualche flebile dettaglio che potrebbe confutare una tesi tanto coraggiosa ci sarebbe. Anche in questo caso solo qualche esempio: dopo la peste del 1348 il progetto sicuramente più ambizioso, quasi chimerico, elaborato dai Senesi, il cosiddetto Duomo nuovo, dovette essere abbandonato, ma certo non per motivi legati ad un’eventuale crisi della città avvenuta negli anni successivi all’epidemia; appena 7 anni dopo quel terribile 1348 cadde il Governo dei Nove, normalmente considerato il più illuminato della città, dopo il quale si alternarono governi assai meno capaci, aperti e riformatori. Si aprì, così, un periodo di fortissima tensione sociale che sfociò nel 1371 (7 anni prima del tumulto dei Ciompi fiorentini) nella rivolta di Barbicone e degli scardassieri del Bruco, sedata nel sangue. Intanto, nel 1363, tanto per gradire, era arrivata una nuova ondata di peste... E il secolo si chiuse con la breve sottomissione ai Visconti milanesi.
Comunque appare chiaro che il Rinascimento sia stato un periodo storico “splendido e fiorente” anche per la città di Siena. Normale, quindi, celebrarlo in occasione della designazione a Capitale Italiana della Cultura “rievocando una figura eccezionale come quella di Ambrogio Lorenzetti”, a cui sarà dedicata una mostra al Santa Maria della Scala e tre meritori restauri di opere uscite dal suo pennello. Ammettiamolo sinceramente: se la tesi inedita di cui sopra era straordinaria, ma forse un po’ troppo per addetti ai lavori, questo è un colpo di autentica genialità in grado di essere apprezzato davvero da tutti. Come festeggiare il rinascimento successivo alla peste del 1348 se non con opere di un artista che perse la vita proprio a causa di quella terrificante ondata di epidemia? Quale miglior esponente di Ambrogio, allievo di Duccio, ma certamente più vicino a Giotto o Arnolfo di Cambio, anche per le sue lunghe permanenze fiorentine, per celebrare il periodo rinascimentale? 
E ancora: quale migliore occasione per realizzare il “grande sorriso sulla facciata di Palazzo Pubblico per il progetto Sorride Siena”, imperdibile iniziativa sulla quale, dato il titolo, potrebbero scatenarsi ironie, che tuttavia sarebbero fuori luogo e francamente inopportune? 
Anche perché, insieme al sorriso a 32 denti su Palazzo Pubblico, “sarà allestita una versione contemporanea del Buongoverno di Lorenzetti nelle aree suburbane – insieme ad artisti per strada, writers e residenti – dando vita al patrimonio della città insieme ai cittadini, secondo un processo partecipativo di costruzione del nuovo buon governo”, e un’intera “settimana del contemporaneo, con spazio anche per la Cracking Art – installazione nel centro storico di arte contemporanea ecologica, e creazione di un Calendario dell’avvento molto particolare mediante l’apertura di 24 finestre nelle strade e piazze della città che ospiteranno opere di artisti contemporanei”.
Urliamolo forte e chiaro: finalmente un’Amministrazione che mostra di aver ben capito quali siano le iniziative culturali che attirano la gente e che senz’altro faranno assurgere Siena all’ambito ruolo di destinazione turistica internazionale più gradita del 2015. 
Né il denso e variegato programma finisce qui: insieme all’immancabile valorizzazione della Francigena, verrà ricordata, un po’ di sfuggita, anche la ricorrenza dei 700 anni dalla realizzazione della “Maestà” di Simone Martini in Palazzo Pubblico, capolavoro non così pregnante da dedicargli (ad esempio) un Palio, ma comunque almeno meritevole di “nuove modalità di fruizione attraverso un’adeguata illuminazione e una segnaletica dedicata, insieme ad un nuovo percorso di visita di tutto il Museo Civico”. 
In conclusione della nostra analisi non possiamo che condividere quanto affermato nel comunicato comunale: si tratta di un “progetto, davvero interessante e ricco di aspetti positivi e di impegni”. Ma ancor più fermamente condividiamo il tono duro e anche un po’ polemico con cui termina il comunicato medesimo, tanto significativo da riportarlo testualmente: “Tra gli aspetti positivi, sicuramente la grande valorizzazione del patrimonio culturale e artistico senese che prenderà piede al Santa Maria della Scala, scardinando qualsiasi logica e strategia qualunquista che poteva benissimo basarsi sulla scelta di presentare al Santa Maria della Scala opere di artisti di fama mondiale ma che con Siena non hanno niente a che fare”. 
Bene, bravi, bis! 

Ah, un’ultima cosa: il testo contiene parti con piccole dosi di satira, sta a voi lettori scoprire quali.

2 commenti:

  1. #ambrogiolorenzettitafazzi

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  2. Abbiamo perso perche'ancora non c'erano le colonnine elettriche.

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