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mercoledì 11 febbraio 2015

Sulla tutela dei monumenti


Questo brevi note sono dedicate a tutti coloro che in questo periodo stanno imbrattando e deturpando muri, facciate e vicoli cittadini, e, siccome sembra si tratti di ragazzini o poco più, soprattutto ai loro genitori. 



Bellezza, onore, dignità, decoro e nettezza urbana erano principi cui aspiravano e miravano i governanti di Siena nel Medioevo, come abbiamo visto. 
Manifesto politico che necessariamente doveva essere accompagnato da misure di tutela e conservazione di un tale patrimonio di splendore e magnificenza diffusa. E siccome all’epoca prevenire era forse più complicato di adesso, si puntava soprattutto sulla repressione, colpendo duramente i responsabili di eventuali danneggiamenti. 
Volete un esempio? Fonte Gaia, un’opera d’arte che i Senesi avevano voluto magnifica, perché collocata nel Campo. Avevano fatto una festa straordinaria quando erano riusciti a far zampillare l’acqua nel cuore pulsante della città, e circa un secolo dopo avevano commissionato al concittadino Jacopo della Quercia di scolpirne una nuova che, appunto, doveva essere splendidamente decorata. Il Campo, però, era un luogo non proprio adatto ad ospitare tanta bellezza, essendo il più frequentato e confusionario della città, sede del mercato e delle pubbliche feste organizzate dal Comune. 
“Un monumento sfortunato” l’ho definito nel mio “Frammenti di Siena”, dedicandogli un intero capitolo. Perché non c’è dubbio che proprio la sua ubicazione sia stata la causa principale di tante disavventure che gli sono capitate nei secoli. 
In effetti, i marmi di Jacopo erano ancora freschi di scalpello che già qualcuno mancava loro di rispetto, come si desume da una deliberazione del 1468. Durante la caccia ai tori disputata per la festività dell’Assunta di quell’anno erano state spezzate le braccia e una testa ad alcuni angeli, presumibilmente a causa di qualche spericolato spettatore che si era inerpicato sulla fonte per vedere meglio le fasi della gara. L’anonimo scultore che pochi mesi dopo fu pagato per aver effettuato il restauro, ricevette un compenso di quattro lire, segno che i danni non erano stati ingentissimi. 
Ma poco tempo dopo i pregevoli marmi vennero nuovamente seviziati, come sembra di evincere da una deliberazione della Balia datata 7 gennaio 1502, nella quale si parla addirittura di “delictum et maleficium” operati sulla nostra fonte. I maltrattamenti arrecati non vengono specificati, anche se probabilmente sono gli stessi riferiti una ventina d’anni dopo dall’erudito Sigismondo Tizio, il quale racconta che “alcuni pessimi giovinastri” avevano ridotto in pezzi e disperso la statua “di un bambino sedente” posta “nel sovracilio della fonte”.
Di certo la risposta delle autorità fu implacabile e assai drastica la condanna inflitta ai colpevoli, che evidentemente erano stati “beccati”: dovevano versare 200 ducati a testa, oltre ad essere rinchiusi nelle carceri di Palazzo Pubblico per un periodo non specificato, pena ulteriormente inasprita qualora non avessero provveduto al pagamento della salatissima multa entro un mese, visto che si sarebbe passati direttamente al taglio di una mano e all’esilio dalla città per tre anni! 


Roberto Cresti

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