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giovedì 11 settembre 2014

Senesità, questa sconosciuta


Qualche tempo fa conversavo amabilmente con l’amico al-Mutanabbi (mi fa un po’ impressione chiamarti così……), quando a bruciapelo mi pose la seguente domanda: 
“Ma tu che ne pensi del concetto di senesità di cui oggi si fa un gran parlare? Sai, mi piacerebbe approfondirlo sul mio blog nelle sue varie sfaccettature…”. 

 


Confesso candidamente che lì per lì rimasi un po’ spiazzato dal quesito e biascicai qualcosa su Montaperti, il Palio, la Siena ghibellina, ma anche un po’ guelfa, senza dimenticare i vari miti da sfatare che ancora oggi gravano sul passato della nostra città. Mentre la chiacchierata proseguiva, però, ebbi un sussulto e aggiunsi di non sapere esattamente cosa diavolo fosse la senesità, pur essendo senese purosangue (ma vedo che anche il programma di videoscrittura sottolinea il termine “senesità” in rosso, quindi è un sostantivo che non conosce; meno male, sono in buona compagnia…), ma ritenevo che per un’analisi più compiuta sarebbe stato necessario innanzitutto chiedersi cosa fosse la città nel passato, e come fossero i suoi abitanti. Ovviamente partendo dai tempi remoti fino ad arrivare ai più prossimi a noi, in modo da comprendere e cogliere gli inevitabili cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli. 
Porsi, insomma, domande quali: come erano i nostri avi, quali virtù ma anche quali vizi e difetti avevano, erano veramente migliori e più bravi della presente generazione, come spesso si tende a pensare, oppure, semplicemente, erano più attaccati e attenti alla loro città? 
Ancora: la comunità senese era davvero chiusa e ostica (altro convincimento che spesso circola oggigiorno) o, piuttosto, era più aperta di quanto si ritenga comunemente? 
E infine, direttamente collegato a quest’ultimo aspetto: cosa pensavano di noi gli altri, i forestieri? 
Ecco, a mio avviso solo attraverso un’analisi di questo tipo si può arrivare ad una corretta conoscenza, interpretazione e rielaborazione del concetto di senesità, forse utile anche in chiave attuale. Avendo condiviso queste considerazioni, al-Mutanabbi mi ha offerto gentile ospitalità nel suo blog per tentare di approfondire questo spinoso argomento. Tranquilli, però: non leggerete alcuna lezione o tediosa dissertazione, uno studio serio e scientifico del tema, peraltro auspicabile, lo delego di buon grado a chi di dovere. Mi limiterò a raccontare qualche aneddoto, a mio parere significativo e illuminante, sul carattere, l’indole, l’animo dei senesi nel corso dei secoli. Partendo da molto, molto lontano…



Della città in età etrusca e romana si sa ben poco, anche se recentemente qualche squarcio di luce ha illuminato almeno un po’ questo periodo altrimenti oscuro. Qualche ritrovamento archeologico, venuto alla luce soprattutto negli ultimi anni durante il restauro del complesso di Santa Maria della Scala, qualche reperto, il nome della colonia senese rintracciato qua e là in fonti scritte o epigrafiche, e poco più. 
Ma se siete curiosi di conoscere qualche episodio di natura militare, politica o anche solo di vita quotidiana avvenuto nella colonia “Sena Iulia” durante i lunghi secoli dell’Impero Romano, sappiate che la vostra comprensibile sete di sapere rimarrà inesorabilmente senza risposte. Perché di cosa avvenne effettivamente in quel periodo, come vivessero e cosa facessero gli abitatori della Siena di allora nulla si sa. 
Ad eccezione di un solo avvenimento, per narrare il quale si scomodò addirittura il grande storico Cornelio Tacito che lo riportò in un’opera fondamentale per la storiografia romana come le “Historiae”. Perché nella piccola e periferica colonia senese intorno all’anno 70 d. C. era capitato un episodio deprecabile e da stigmatizzare, come si direbbe nel linguaggio politically correct di oggi, che meritò il doveroso e severo intervento delle autorità, con tanto di processo e condanna. Un caso, pertanto, che non poteva mancare nelle “Storie” di Tacito, che appunto raccontano per filo e per segno tutti gli eventi più significativi avvenuti negli anni 69 e 70 (solo questi due perché fino a noi sono pervenuti i primi libri delle “Storie”). Cosa mai avranno combinato i senesi del I secolo d. C., per cosa furono processati i colpevoli, quali ladrocini, corruzioni, disastri avranno mai commesso per guadagnarsi tanta attenzione? 
In verità, niente di tutto ciò, i senesi salgono per la prima volta sul proscenio della storia per un evento certamente grave, che colpendo un personaggio importante dell’epoca ebbe ovviamente delle conseguenze (per fortuna, altrimenti mai lo avremmo appreso), ma anche divertente (a quasi due millenni di distanza si può dire) e che almeno a mio giudizio è assai emblematico dell’indole senese. Nessun commento, vi traduco testualmente quanto scritto da Tacito: “Il senatore Manlio Patruito presentava denuncia per essere stato malmenato, nella colonia di Siena, da una folla di gente e per ordine dei magistrati; ma l'offesa non finiva qui: in sua presenza l'avevano circondato di pianti e lamenti, recitando la commedia del suo funerale, fra un coro di insulti e oltraggi, che ricadevano su tutto il senato. Convocati gli indiziati e istruita la causa, i responsabili vennero puniti, con l'aggiunta di un decreto del Senato, col quale si richiamava la plebe di Siena a un comportamento corretto”. 
Dunque, ricapitolando: per motivi sconosciuti i senesi erano imbufaliti (eufemismo) probabilmente più con l’autorità centrale che con il malcapitato senatore, reo di essere il rappresentante di quel potere, questi viene a Siena forse proprio per risolvere o capire meglio la questione che li tormentava, e viene percosso ben bene; attenzione però, non perché qualche solito senesone non sta mai fermo con le mani, ma perché questo è l’ordine impartito addirittura dai capi locali della colonia. Non contenti, dopo gli schiaffi, lo sbeffeggiano fingendo il suo funerale, becco e bastonato..., e poi giù con i cori di insulto, rivolti a tutto il senato romano chiaramente. 
E per la prima volta nella storia, e non sarà l’ultima, il popolo di Siena viene richiamato a tenere un comportamento più consono al sentire comune e soprattutto a rispettare le autorità superiori.

S’inizia bene, non c’è che dire...


Roberto Cresti

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