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venerdì 5 settembre 2014
Io sto con gli indiani
Poche settimane fa, spinto da un misto di autolesionismo e malinconia, oltre che dalla solita “malattia calcistica estiva”, ho acceso la televisione per gustarmi – si fa per dire – il Trofeo Tim 2014.
A Reggio Emilia, triangolare fra Juventus, Milan e - udite, udite! - i neroverdi del Sassuolo a fare gli onori di casa, come nell’edizione 2013. Già che potremmo discutere per ore e ore il ruolo di potente&prepotente, ma anche fortemente imprenditoriale, del patron sassolese mister Squinzi-Mapei, che, al contrario dei vari squallidi personaggi locali, ha investito moltissimo sul calcio capendo le possibilità di ritorno economico e sociale per una cittadina di provincia di sì e no 40.000 abitanti… cui ha letteralmente comprato lo Stadio Giglio (ora infatti “Mapei Stadium”), mentre qui ancora si girella a provare campetti sbarbati in provincia. Ma non mi dilungo oltre. Per un malato di Robur, è ormai “calcio che fu” e vale poco ripetersi dentro la propria testa un piccolo rantolo che fa: “Ma noi queste le abbiamo battute tutte…”; siamo in fondo al secchio e incazzati come tigri.
Arriviamo al punto. Lo stadio appena citato è, come ho scritto, la nuova casa ufficiale del Sassuolo calcio, pur trovandosi in un'altra città ed un’altra provincia (Modena e Reggio Emilia hanno fatto a cazzotti, burocraticamente parlando, per prestare alla piccola Sassuolo i propri impianti, a Siena avrebbero minato il Rastrello) e ovviamente anche della reggianissima Reggiana, che da tre lustri ormai si barcamena in campionati anonimi di terza e quarta serie.
Il primo impatto è freddo. La tv già di suo cristallizza moltissimo le emozioni, stritolate poi anche dai vari commentatori che esaltano il carrozzone, le grandi-squadre e i loro grandi-giocatori. Il tutto in mezzo a tribune semivuote e morte. Quindi, spazio a commenti di calciomercato, gossip, discorsi e discorsoni su Juventus e Milan e ogni tanto un accenno a chi presta il proprio campo per questo trofeo che vale sì e no quanto una “coppa carnevale” fra ragazzini di squadre amatoriali. Ma tant’è.
Poi, un insolito rumore squarcia i commenti standardizzatissimi e banalissimi del duo al microfono, rompendo il silenzio delle assopite tribune del Giglio-Mapei Stadium: “REGGIANA! REGGIANA!”. “QUESTO STADIO NON VI APPARTIENE!”. “LA REGGIANA SIAMO NOI, LA REGGIANA SIAMO NOI” ed altro ancora. Ma non era un triangolare? No, non lo era, ricordavo benissimo. Però, che bello, in quell’atmosfera ingessata, sentire i tifosi gridare. Anche se la loro squadra non gioca.
La tv è avara di inquadrature e zoom e anzi, più di una volta, è costretta a manomettere l’audio per evitare che i cori dei tifosi granata prendessero il sopravvento a scapito del tono impostato del telecronista; ho odiato i tecnici e chi gli dava ordine di trasmettere un evento teatrale e non una partita di calcio. Di calcio moderno, ovviamente. Calcio moderno contro Ultras, quasi un derby fra ciò che vogliono i benpensanti e ciò che non vogliono i tifosi più accesi e spettacolari delle curve italiane (e non solo).
Di contro, tanta gente seduta, che applaudiva saltuariamente i loro campionissimi, osannandoli e incitandoli. Popolo senza casa, senza bandiere, con una maglia addosso e la pancia di chi il cocomero lo mangia senza affettarlo. Seduti lì, anonimi, a dire ai loro figli: “Guarda Pirlo”, o “Guarda Honda”. Per fortuna non c’era Constant, se no povero cittino! Poi, il nulla. Ancora tanti: “REGIA OLE’, REGIA OLE’, PARMA M***A, PARMA M***A!” e più di un “VE NE ANDATE O NO!? VE NE ANDATE SI O NO?” rivolto più ai dirigenti sassolesi che alla tifoseria neroverde, che vive un sogno dopo aver passato una vita a giocare in campi semi-parrocchiali. Ancora bambini con maglie bianconere e rossonere, babboni spiaggiati sui seggiolini come le otarie sulle scogliere californiane, pop corn in mano, macchina fotografica a tracolla e poca voglia di vivere la partita. Anche ai gol, quasi tutti seduti, e alla prima cavolata di un loro paladino, qualche “vaffa” e segnali di nervosismo. Giustamente, il calcio moderno vuole il tifoso moderno, e colui che prima indicavi al figlio in quanto “campione”, poco importa se ora viene definito “brocco”. Il figlio, un po’ sbigottito, se ne farà una ragione.
Alla fine del primo match fra Milan e Juventus (vittoria rossonera), gli oltre 1500 rumorosi reggiani escono compatti e tornano verso casa/bar/pub/giardini pubblici. Per me, sfegatato tifoso abituato a perdere la voce al 15’ del primo tempo, è stata una coltellata. Le partite hanno perso interesse progressivamente, come se i giocatori andassero al ritmo dei cori dei loro non-tifosi. Mi mancavano quei famigerati ultras e le nuvole rosso scure dei loro fumogeni.
Il triangolare scivola via nel silenzio-assenso dei presenti, il Milan alza la coppa fra gli applausi e i flash dei mostri giapponesi che immortalano Honda miglior giocatore del Torneo. I tifosi da bar tornano nelle loro dimore di chissà dove, popolo senza-fisso-stadio che calpesta le proprie origini cercando emozioni in undici “stranieri”/“lontani”, con stadi carissimi dove vedi male e/o dove un giovanotto burbero in tuta fosforescente ti dice dove sederti e di non alzarti in piedi. Popolo bue che avrà bestemmiato per la noia procurata da quei tifosi della Reggiana che non gli lasciavano gustare i loro “campioni”. Gli avranno anche urlato “sfigatiiiii, siete in ciiiiii, andatevene da quaaa” maledicendo l’odore speziato delle loro torce e guardando storto i loro tatuaggi, i loro cappellini e le loro sciarpe legate in vita che, nella mente del perbenista, sono un oltraggio al quieto vivere e al ben vestire. E poi, chissà che noia quell’odore di gomma bruciata causato dai fumogeni, qualche bicchiere di birra in mano (“che schifo, qui ci sono i bambini” detto magari da chi in casa propria fuma un pacchetto di Marlboro al giorno davanti ai loro figli piccoli). No, no, io avevo scelto con chi stare! E ne ero sicuro!
Io, quella sera, ero un tifoso della Reggiana.
Sentivo il loro attaccamento al territorio e il loro orgoglio cittadino, capivo le loro rivendicazioni e il loro disappunto. Percepivo la loro presenza in Milan-Reggiana 0-1 (storica salvezza in A) come in Poggibonsi-Reggiana 3-1 (uno dei momenti bui in C2), oltre ogni risultato ma al fianco della propria città e della propria squadra del cuore. Ero uno di loro, e sicuramente, non ero il solo, fra i non reggiani. Loro per Reggio ci saranno sempre, mentre quelli con le magliette e i cappellini da circo, no. Al primo campionato di merda, staranno in un bar a dire che “quello è negato” e parleranno di complotti, torti arbitrali e fatti di squadre che giocano a centinaia di chilometri da casa loro, dicendo che “sì, sono della Juve/Milan/Inter ma seguo poco il calcio” . E, purtroppo, ci sarà sempre un qualche manager pronto a rincorrerli perché considerati pubblico di qualità a discapito di coloro che ci sarebbero a prescindere, oltre ogni risultato o campionato da affrontare. Loro vanno combattuti.
Ora però torno a tifare Siena. Sappiamo cosa significa tutto ciò che ho scritto sopra, ma i tanti abbonati e il bel pubblico visto in “Coppa Italia CND” è sotto gli occhi di tutti e non è passato inosservato fuori Siena. Ruggiamo, tiriamo fuori il nostro orgoglio e soprattutto, la nostra schiena dritta! Sotto col campionato! Forza Robur! Riprendiamoci tutto!
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Bello, romantico e vero!
RispondiEliminaComplimenti.
Gianluca
Grandissimo!!!
RispondiEliminaL'Irlandese Volante
Siamo da riserva
Condivido ogn'osa, fino all'ultimo punto esclamativo. Bravo!
RispondiEliminaCecco
Bell'articolo davvero. Complimenti.
RispondiEliminaBrancaleone