Pagine

Le nostre rubriche

martedì 5 novembre 2019

La fine del weekend

E infine arriva anche il lunedì. Nemmeno il tempo di raccogliere i cocci del fine settimana, appiccicarli insieme con un po’ di colla Pritt per ottenere un mosaico di ricordi dei giorni appena trascorsi, che è già tempo di tornare a lavorare. Dopo la notte, il giorno.

Brandelli di immagini impazzite sfuggono dalla mia mente come sabbia tra le dita. Sul pavimento di camera, panni sparsi e biancheria. Nell’aria, un insolito aroma di caffè. Dalle tapparelle socchiuse filtrano tanti spilli di luce, simili a decine di occhi che fissano il buio, cercando qualcosa. La pioggia è sparita mentre il vento è rimasto. Steso nel letto, immerso nell’immenso piumone, mi giro dall’altra parte, ignorando il suono fastidioso della sveglia. Allungo un braccio per cercarti, ma il tuo posto è vuoto, freddo, disabitato. Eppure sul cuscino permane ancora l’odore dei tuoi capelli, intrigante e sconosciuto al tempo stesso. Lo abbraccio, stringendolo forte a me con le braccia e con le gambe, mentre inalo con forza tutto il profumo che posso. Perché so già che mi mancherà, oggi domani e mai più. Il cane mi osserva, muovendo la coda a tergicristallo. Vorrebbe saltare sul letto ma ricorda ancora la sgridata dell’ultima volta, quindi rimane immobile ad osservarmi con i suoi occhi profondi e neri come la notte appena conclusa, pronto ad avventarsi sulle dita dei miei piedi non appena toccheranno terra. Dalla cucina arriva un rumore, sembra un suono strano. In un primo momento non capisco. Una musica, ecco cos’è. Come una creatura marina che riemerge in superficie dopo secoli trascorsi nel profondo degli abissi, ritorno alla vita degli umani dopo giorni di lontananza. Una porta scorrevole mi divide dalla zona giorno. Aprendola, lascio che il lunedì scacci ufficialmente la domenica. 
Da qualche parte, ieri, la Robur dovrebbe aver giocato. Me ne ricordo osservando la foto della curva appesa sopra al caminetto, appena sotto ad una copia in miniatura del buon governo. Ma non ricordo il risultato. Nel pensare alla partita tuttavia avverto un senso di disagio. Il mio subconscio tenta inutilmente di difendermi da qualcosa che forse ho rimosso. Un fotogramma, maglie neroazzurre in mezzo a strisce bianconere. Tu zampetti vicino alla cucina, con addosso soltanto un paio di calzettoni e la mia camicia a quadri abbottonata zoppa, trovata chissà dove in fondo ad un cassetto. La vista del tuo sedere parzialmente coperto dalla stoffa lisa mi distoglie per un attimo dal mio malessere. Non riesco a ricordare, ma c’è qualcosa che mi turba. Ma non è delusione quella che le sinapsi del mio cervello stanno traducendo. È più simile alla rabbia. Vedendomi entrare, sposti di lato una ciocca di capelli e sorridi. Nei tuoi occhi non c’è più la luce di ieri. Non dici buongiorno e abbassi lo sguardo. Parli e io rammento che con quella bocca potresti dire qualsiasi cosa. Mi dici che hai provato a cercare un po’ di roba per fare colazione. La parola "colazione" si stacca dalle tue labbra e danza vicino al soffitto prima di esplodere in un tripudio di piacevoli brividi. 
Ti conosco da poco ma ti cerco da sempre. Ripenso alla sera di due giorni prima e a quel mio primo bacio furtivo, appoggiato di nascosto sul tuo respiro. Mi dici che sei stata bene, che negli ultimi tempi l’unica domanda che ti veniva rivolta era "bancomat o carta" e che tre giorni con me sono volati. E che di solito non fai queste cose. Apri il frigo e ti meravigli nel vederlo vuoto. Non sono un bravo massaio e mangio spesso cose volanti. La pila di scatole della pizza ferma in terrazza ne è una triste prova. Passi una mano sulla superficie liscia del tavolo, soffermandoti ad osservare il vassoio pieno di Ferrero Rocher e galatine al latte. Avverto il bisogno di dovermi giustificare e allora ti racconto che quei dolcetti erano stati preparati per i bimbi del condominio, che sarebbero dovuti passare la sera di Halloween a suonare i campanelli. Poi aggiungo che tutto questo era in programma prima di conoscerti. Da lì in avanti è tutta un'altra storia. E la mia vita precedente mi pare all’improvviso triste e vuota, come le gelaterie alla fine dell’estate. Poi mi chiedi se mi sia passata la rabbia. Sei buffo quando perdi le staffe, aggiungi. Io ti guardo strano. Siamo stati tre giorni chiusi in casa a fare cose che non racconteremo e non mi pare di essermi mai alterato. 
Poi dal profondo della mia memoria una serie di flash cominciano a incollarsi fra di loro e da un mucchietto di frammenti colorati formano un’immagine definita. Il mio senso di malessere aumenta e adesso ne capisco il motivo. Il sangue torna a pulsare forte nelle tempie mentre le nocche della mano stretta a pugno diventano bianche. Guardando oltre le spalle della ragazza rivivo attimo per attimo la scena che stavo cercando di dimenticare. La palla sul braccio, il fischio dell’arbitro, l’assurda decisione, il gigantesco torto. Mi gira la testa. Chiudo le palpebre per non vedere la nuvola di puntini invisibili vorticare sul soffitto. Lei ride perplessa, chiedendomi come mai tenga così tanto al Siena. Quelle parole mi destano, salvandomi dalle sabbie mobili del torpore in cui stavo precipitando. Ripenso agli ultimi tre giorni e capisco di essere stato bene in compagnia di quella ragazza, così familiare e al tempo stesso sconosciuta. Le prendo la mano e la stringo a me. Siamo belli insieme, penso osservando le nostre figure abbracciate nello specchio del corridoio. C’è qualcosa di magico fra di noi, provo a convincermi. Talmente grande che anche un cieco se ne accorgerebbe, come un fallo di mano in area a tempo quasi scaduto. Ma lei mi riporta alla realtà e capitolando capisco che ha ragione. Con il volto immerso nei sui capelli, respiro ancora una volta quel qualcosa di buono che non sentirò più e chiudo per sempre gli occhi a questo fine settimana. Come se stessi arrecando un torto al buonsenso la lascio rivestirsi e andarsene via lontano, mentre avverto una sensazione di vuoto malinconico che mi rende amara la bocca, proprio come di fronte ad un pareggio causato da un rigore non dato.

Renatina - Robur Siena: 0 a 0. Indipendentemente dai discorsi, ci manca un rigore grosso come il duomo! Punto. Tutto il resto è cronaca sterile ed inutile. Tra quelli che buttiamo via da soli e quelli che ci levano a caso (per chiara incompetenza), a maggio rimpiangeremo un sacco di punti. Che palle: non voglio morire in Serie C!

Robur Siena - Arezzo (Coppa Italia, amarena, malaga e scaglie di cioccolato): ancora tu? Ma non dovevamo vederci più? In quale modo sformerete a questo giro? Sempre nel solito o volete provare qualcosa di nuovo? Fateci sapere.

Che bello è, quando esco di casa…


Mirko

4 commenti:

  1. E' una stagione talmente esaltante che l'obiettivo più alla portata sono i SEGGIOLINI BIANCO NERI !!!
    Basta col verde ramarro stile Avellino, si ai colori della gloriosa Balzana e del Roburrone!

    F. Asheur

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Effettivamente è il momento in cui anche Wiatutti inizi a schierarsi a favore di questa battaglia contro gli infami seggiolini verde ramarro. AVANTI SEGGIOLINI BIANCONERI!

      Elimina
  2. Premessa doverosa: sono contro ogni forma di discriminazione. Rimango in ambito sportivo e dico:" se ora un giocatore di qualsiasi colore al primo sfottò, ai primi fischi al primo bu vero od immaginario ( le versioni nel caso del signor Balotelli sono contrastanti) comincia a prendere a pallonate il pubblico che succede? l 'arbitro è il solo che può sospendere la gara (Rocchi lo ha fatto ) e allora credo che si sia creato un bel precedente. Ammettiamo che un difendente di colore bianco,nero,giallo ecc,venga fatto oggetto di quelle "attenzioni" di cui sopra, prende il pallone con le mani nella propria area di rigore e lo scaraventa in curva, l'arbitro che fa? Finta di niente e va a consolarlo oppure applica (se mai abbia le palle per farlo) il regolamento e concede la massima punizione con le conseguenze che vi lascio immaginare?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Penso che il regolamento arbitrale parli chiaro. Bisognerebbe che, al netto del chiacchiericcio inutile causato dall'affaire Balotelli, chi ha potere per intervenire, lo faccia. Che qualcuno cioè si prenda la responsabilità di applicare quanto descritto dal regolamento. Ti dico ciò che io farei nel caso in cui un calciante avversario scagli una sfera in curva bianconera: lo manderei affanculo, lui e chi ce l'ha portato. Wiatutti, d'altronde, detesta il ferplei, concetto ideologico falso qualora applicato al giuoco del calcio. E perciò, denomina, al di là del colore della pelle (cosa di cui di meno non ci potrebbe importare) una persona per quello che è: se sei un testa di cazzo, lo sei qualora tu sia bianco, nero, fucsia o magenta. Anzi, mi correggo... se sei magenta, hai maggior probabilità di essere una testa di cazzo.

      Elimina