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Le nostre rubriche

mercoledì 19 dicembre 2018

E invece...

La notte arriva in fretta in questo lembo di terra verde, stretta fra le Alpi e il mare e addossata ai candidi monti come buttata là da una gigantesca mano antica. Viste da quaggiù le ferite lungo i fianchi delle montagne hanno lo stesso colore dei confetti, anche se secoli di sangue, sudore e sacrifici scacciano immediatamente la poesia per lasciar spazio ad una prosa triste e dolorosa.

Il grigio del cielo si specchia sulla superficie piatta delle pozzanghere, increspata - goccia dopo goccia - in tanti piccoli circoli perfetti, che dal centro si allargano fino a lambirne i bordi. Verso valle, nel suo incessante andirivieni, il mare sbatte contro il cemento del molo, mentre la luce del faro spazza la cresta delle onde, squarciando l’oscurità con estenuante intermittenza. Acqua e aria sembrano fatti della stessa sostanza mentre il giorno si fa notte senza passare dal tramonto. Poche figure lungo la strada, illuminate dai fari posteriori delle auto ferme in coda: il Natale si avvicina e la gente corre al centro commerciale. Regali da fare, regali da ricevere. Tutto il mondo è paese, d’altra parte. Mani in tasca e passo svelto. Con nostalgia qualcuno pensa all’ombrello, sciaguratamente abbandonato nel vaso di latta colorata sul pianerottolo, tra il ficus e la kenzia. Come sempre, 90 minuti sono tanti soltanto prima del fischio di inizio. Poi piano piano cominciano a rincorrersi l’uno con gli altri. D’altra parte il tempo vola, mi disse un giorno un tale, al terzo aperitivo. Dipende, sussurrò un vecchio seduto due tavoli più in là, voce cisposa e bocca impastata dall’alcol e dal sale dei semi di zucca. Dipende, ripenso io salendo in auto, col cuore leggero e la testa sgombra. Vincere credo sia un’ottima medicina. Per i mali di stagione, per l’umore, per la depressione. Anzi, vincere a questo mondo credo sia sempre l’unica medicina. La strada del ritorno adesso pare in discesa. E forse non è soltanto un modo di dire o un’intuizione topografica. 
I chilometri si alternano veloci e rapidamente e di Carrara non rimane che uno sciame di puntini luminosi, fermi immobili nell’oscurità, che sorriso dopo sorriso ci stiamo lasciando alle spalle. L’ultima volta che percorsi questo tratto di strada con lo stesso umore, era una caldissima domenica pomeriggio di maggio di qualche anno fa. Avevamo vinto a Massa e dopo un solo anno di qualcosa di indefinito chiamata Serie D eravamo tornati tra i professionisti. Pensavamo di essere soltanto di passaggio in Serie C, e invece... Massa e Carrara distano sì e no una manciata di chilometri: stesso panorama, stessa calata, stessa provincia. Anche gli stadi sono simili. Il tempo passa sempre troppo in fretta quando siamo felici, mi ripeteva spesso una ragazza importante. Socchiudendo gli occhi provo a ricordarne il profumo. Era dolce, floreale, intenso. Oppure è soltanto la mia memoria ad imbrogliarmi. "Ti chiedo scusa se non è lo stesso, di tanti anni fa" gracchia la radio fra una scarica e l’altra. Impercettibilmente alzo il volume e aumento di un grado il riscaldamento dell’abitacolo. Il getto di aria calda pulisce rapidamente la condensa aggrappata al vetro. Dietro ad una curva la radio perde il segnale. Alla mia sinistra la Versilia: non la vedo, eppure c’è. Oppure come l’orso e la marmotta, d’inverno cade in letargo per rifiorire a giugno. Poi ripenso alla canzone: no questa sera non devo chiedere scusa a nessuno. Il Siena ha vinto e sono felice. Poco mi importa se posso sembrare stupido. 
Come sempre il tempo è parso arrestarsi dopo il nostro vantaggio. La partita era iniziata da pochi minuti e la fine sembrava così lontana. Azionando l’indicatore di direzione, cambio corsia e mi fermo alla stazione di servizio. Entrando nel bar ristorante, la luce dei neon mi irrita gli occhi, oramai troppo abituati al buio. L’odore di caffè si mischia con i profumo della cucina. Non è ancora ora di cena ma lo stomaco brontola. E poi dopo una partita del genere viene sempre fame, come da ragazzi all’uscita di discoteca. Ma quante calorie consumano le emozioni? Prendo qualcosa di caldo da bere e mi siedo, ripensando alla canzone ascoltata in macchina. In una giungla di accenti, riconosco un paio di voci amiche, sorrido e saluto. Tutti di passaggio, tutti di ritorno. Il pareggio giunto quasi a tempo scaduto ha avuto lo stesso effetto doloroso del mignolino che sbatte sul comodino alle 6 di mattina. E invece... Per fortuna è stato un dolore effimero, quasi piacevole a pensarci bene, con il senno di poi. Fra un tovagliolo appallottolato, un bicchiere sporco e un po’ di briciole, noto una copia del Tirreno tutta sgualcita, abbandonata sopra ad uno sgabello. "Apro il giornale, c’è Papa Francesco e il Frosinone in Serie A". Ecco come finiva la frase della canzone ascoltata in auto qualche minuto prima. Il pensiero della Serie A mi graffia lo stomaco. Sembra passata una vita eppure è soltanto l’altro ieri. Sforzandomi, lotto contro il male oscuro del passato che vuole rovinarmi la serata. Dopo l’1-1 il mondo è parso crollarci addosso. Ecco, qualcuno ha mormorato, un altro pareggio. È grassa se non si perde, ha bofonchiato un altro. E invece... Invece pago e mi dirigo verso il bagno. L’acqua gelida del rubinetto cozza contro il tepore dell’asciugamani. Una volta bastava un rotolo di carta. E invece, mi ripeto salendo in aiuto, e invece in cinquanta secondi tutto è cambiato. La disperazione ha lasciato spazio a qualcos’altro. Nè gioia nè felicità, ma una grande, sana e smisurata soddisfazione. Che è arrivata qualche secondo dopo la rete subita e ha preso a pedate nel sedere la frustrazione. Nemmeno il tempo di battere il centro che siamo tornati avanti. Sembrava una domenica come tante, un pareggio scontato, una vittoria buttata. E invece...

Carrarese - Siena 1-2: sommersi dall’inverno sovrastiamo le vecchie glorie dell’Empoli dopo una partita tirata e ben giocata. Bravi ragazzi: adesso allunghiamo la striscia. Non sappiamo dove stiamo andando, ma andiamoci lo stesso.

Saluti, baci, cordialità e sempre forza Siena!


Mirko

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