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mercoledì 28 novembre 2018

Uno squarcio d'azzurro

Giornata grigia e nuvoloni bassi. La bianca punta della torre pare graffiare il cielo, come a voler regalare alla vista degli uomini un ultimo disperato squarcio di azzurro, prima che l’oscurità ricopra ogni cosa. Nel frattempo una pioggerellina nebulizzata e fastidiosa cade ma non bagna. Scendono le gocce e risale la condensa: tutto il ciclo dell’acqua pare intrappolato sopra la città. Lassù, da qualche parte, ci dovrà pur essere ancora uno straccio di sole, anche se a noi per il momento non rimane di lui che la remota certezza di un ricordo sbiadito.

Sul selciato tappeti di foglie colorate ricoprono la pavimentazione, mentre le superfici lucide delle pozzanghere riflettono i bagliori luminosi dei fari delle auto, dando alla vista del mondo un’angolazione differente. Sbadiglio, sonnecchio, mi stiro. Un occhio al giacchetto e uno termosifone. Conto i minuti con estenuante lentezza, aggrappato disperatamente al telecomando, con lo stesso sguardo di un condannato a morte che osserva le goccioline di veleno uscire dalla fiala e scendere giù lungo il tubicino di plastica trasparente fino all’ago infilato nel braccio. Ora o mai più: mi desto e quasi in apnea decido di muovermi. Maglietta, maglione e meglio aggiungere anche un’altra maglia. Di quelle bianche antisesso, che tanto vado allo stadio, mica al Tendenza. Cappuccio, cappello, ombrello senza punta... sono pronto. Se dovessi andare a lavoro, forse mi darei malato. 
Giù in strada, cammino a passo svelto immerso nei pensieri. Un anziano col cane si lamenta del traffico, un bimbo chiede tre volte perché al suo babbo e una comitiva di ispanici, con il loro accento morbido e la parlata fluida e rotonda, mi passa in fianco. D’un tratto Siena mi sembra piena di spagnoli. Mi sorprendo a pensare a quanto faccia strano vivere per anni senza riuscire a vedere un preciso particolare, per poi non poter più fare a meno di notarlo dappertutto una volta individuato. Chissà se anche in Spagna dicono "debba". Non so perché me lo chiedo, ma a me questa parola ha sempre fatto sorridere.
Avvicinandomi allo stadio mi ritrovo a pensare che il Siena oggi debba vincere per forza. Senza se se e senza ma. Anche se la giornata, a guardare il cielo non promette nulla di buono. Domenica di fine novembre brutta e corta, sospesa a metà tra l’estate e il Natale. Sono proprio le giornate così che mi fanno odiare questo mese. Domenica da carne con i funghi, da tartufo, da vino rosso aperto due ore prima e scaraffato nel decanter, da caminetto acceso e gatto sulle gambe. Domenica da restarsene chiusi in casa, sdraiati sul divano a guardare Barbara d’Urso e Luciana Tumina. Ma poi la vita ha sussulto e l’intelligenza per una volta ha la meglio sul niente cosmico di una TV demenziale, specchio fedele del disagio di un paese alla deriva. E allora uno due tre via! Piove, ma chi se ne frega. 
In curva siamo sempre di meno ma non fa niente. La partita comincia e il palo ci ricaccia in gola l’urlo del goal. L’Entella è una bella squadra, costruita per vincere e per la Serie B. Noi invece cosa siamo? Né carne né pesce, disse qualcuno. E allora penso ad una squadra di vegani, che domenica dopo domenica tenta di risalire la classifica senza il conforto delle proteine di origine animale. Finisce il primo tempo e termina la pioggia. Per il secondo tempo vorrei qualcosa per cui valga la pena essere venuti qui. Vorrei un sussulto, vorrei una squadra sterile ma non stitica che nonostante tutto provasse a far sua l’intera posta in palio. Meglio vincere tre partite 1-0 che una sola 3-0, disse qualcuno tanti anni fa. Concordo, sorrido e annuisco. Secondo tempo, stesso copione del primo. Il suo difensore picchia come un fabbro mentre il nostro Fabbro non picchia come un difensore. Tuttavia senza perdersi d’animo, Mike è quasi magia, bello come il compagno di classe ideale e vaporoso come Azzurro di Shrek, ad un certo punto della nostra grigia domenica, forgia un cross teso e dritto come una stecca di ferro battuto, il portiere avversario smanaccia la palla con un intervento assurdo come la pubblicità di un profumo, Guberti cesella e Cianci - Pietro su questa pietra io fondo la prima rete - la soffia di quel tanto che basta per spingerla in fondo al sacco, dipingendo in maniera irreversibile la ringhiera che separa il nostro 1 dal loro 0. E mentre lo stadio esulta, lo vedo correre impazzito sotto la curva, indicando se stesso con gli indici puntati verso il proprio petto. Quanto vorrei diventasse verde e spaccasse tutto. Il resto, fino alla fine, è soltanto rancore, utopia e amara disperazione. Il cronometro scorre lento. La curva aumenta il volume di diversi decibel. Il cuore rimane in bilico per diversi attimi, sospeso sopra l’ostacolo. Loro tutti in avanti, noi tutti indietro. Il portiere para, i difensori difendono e gli attaccanti attaccano. Soltanto i centrocampisti tirano a (centro)campare, dannandosi a cantare e a portare la croce. Se questa partita stesse finendo 0-0 non ci sarebbe niente di male. Ma essendo il 92° e trovandoci con un gol di vantaggio, sarebbe il caso di portarla a casa. L’arbitro fischia e la partita finisce. Abbiamo vinto. E per un istante anche il cielo appare meno nero. E in un angolo lontano, due stelle luminose tornano ad illuminare la sera.

Siena - Entella 1-0: bravi. Senza essere perfetti ma senza sbagliare niente. Bravi di nuovo. A volte basta poco per trasformare un pareggio mogio mogio in un successo entusiasmante. Ecco, a questo giro quel poco è arrivato. PS: ma l’Entella, di preciso, da dove viene? Non la conosce nemmeno il correttore di Word!

Pro Piacenza - Siena: noi ci si va, ma tanto non si gioca. Quale cataclisma fermerà la partita questa volta?

Saluti, baci, cordialità e sempre forza Siena!


Mirko

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