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giovedì 18 settembre 2025

La normalizzazione della guerra mascherata da resilienza sanitaria

Zitti, zitti. Con tono burocratichese, adattissimo al basso profilo. E fatto comunicare dal Ministero della Salute, ormai una delle entità più corrotte all’interno della decadente Itaglia.

Vi informiamo che è stato da poco istituito un tavolo tecnico per “rafforzare la resilienza sanitaria” in caso di conflitto militare. Ohibò! E che vuol dire? Niente di drammatico, gli ospedali itagliani si stanno preparando a diventare retrovie di guerra, pronti ad accogliere soldati feriti. Tranquilli, non sta succedendo niente. Continuate a seguire i dibattiti destra contro sinistra in tv, a fare l’ape serale, a “informarvi” tramite il Corriere del siero; il vostro mondo depensante non vi farà far caso a questa notizia.

Per chi invece legge altro, la notizia non è così originale. Già altre nazioni europee hanno opzionato per una scelta simile, applicazione pratica del grande progetto europeo denominato Preparadness Union Strategy, presentata da Bruxelles a marzo 2025. Parola d’ordine: resilienza.

Ora, i non deficienti hanno ben capito che tale termine è usato dal potere per mettercelo in culo. Ed infatti, nella pratica, si tratta di una strategia articolata in trenta azioni chiave, che semplicemente codifica il futuro della società europea su attività basilari: emergenza permanente, continuità dei servizi essenziali garantita a tutti i costi, stock personali per almeno 72 ore, cooperazione civile-militare, esercitazioni congiunte e requisiti minimi operativi per ogni infrastruttura critica, dagli ospedali alle telecomunicazioni. Vi ricorda qualcosa tutto ciò? Ma certo, è semplicemente il linguaggio da tutti noi appreso in fase pandemica, oggi riadattato per lo scenario bellico. La nostra mente oggi è pronta quindi ad accettare cose impensabili solo dieci anni fa, devastata come è dopo la follia pandemica. Vedete che a qualcosa le demenziali misure di questi anni sono servite?

L’Itaglia, in fatto di stupidità, non è seconda a nessuno. E pertanto ha già pienamente recepito la direttiva europea con un decreto legislativo (che obbliga i settori critici, sanità compresa, a garantire resilienza e continuità operativa anche in scenari catastrofici) e con il solito DPCM di aprile 2025, con il quale Palazzo Chigi ha istituito un “punto di contatto unico” per coordinare la resilienza nazionale, in perfetta sintonia con Bruxelles. Quindi già oggi la rete ospedaliera italiana è perfettamente in linea con la follia europea, definendo ruoli, responsabilità, catena di comando e persino scenari a tre fasi per l’arrivo delle truppe, la mobilità militare e il rientro dei feriti.

Come detto, non siamo soli fra gli invasati. Il Ministero della Salute francese ha chiesto alle agenzie territoriali di predisporre ospedali per un “afflusso massiccio di feriti militari” e quello tedesco ha già presentato un piano con dodici ospedali integrati nella macchina bellica. È la normalizzazione della guerra mascherata da resilienza sanitaria.

In tutta questa grande attività, provate a prenotare una tac all’ospedale. Oppure chiedete i tempi per un intervento chirurgico. O passate una giornata al pronto soccorso. Scontenti? Beh, non avete capito allora cosa gli ospedali sono già oggi diventati, dopo le prove generali della fase pandemica. Il sistema sanitario deve servire la NATO. Stop. Lo dice Mario, Giorgiario, Ursula. Cioè quelli che in tutte le maniere, ogni giorno, stanno tentando di far scoppiare la terza guerra mondiale. Tutti loro ci raccontano che la sicurezza collettiva passa dall’arruolare ospedali civili. Come prima ci hanno raccontato del vaccino salvavita, del condizionatore spento, ecc. Ora la parola d’ordine è resilienza. Tradotto: militarizzazione. Così la sanità pubblica viene piegata a logiche di guerra e i cittadini devono abituarsi all’idea che ogni emergenza - sanitaria, climatica o militare - giustifichi l’erosione dei loro diritti. Ed i dementi (quelli che stermineranno il pianeta), ovviamente, eiaculano.


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