Bene, dopo la prima mini-guida all'ascolto di ieri (siamo solo all'inizio...), passiamo ai miei fatti personali. Come è arrivato Al-Mutanabbi in contatto con i dischi bianchi?
E che ce ne frega? Eh, per chi non importa niente, ciaone. Se qualcuno invece fosse curioso, restate a leggere, perché probabilmente ci sono altri piccoli insegnamenti per apprezzare questi capolavori.
Il primo disco bianco/giallognolo esce nel 1986. "Don Giovanni" crea una attesa spasmodica nel pubblico battistiano, dato che Battisti non pubblicava un album ormai da quattro anni (album interlocutorio, oltretutto). Io a 16 anni ero già un patito del Sommo Cantante, sapendo ormai a memoria in pratica tutto quanto da lui già pubblicato (a parte l'album del 1982, appunto). Arriva "Don Giovanni" e resto, come tutti, spiazzato. Ascolto qualcosina, ma non approfondisco. Certo, la title track è meravigliosa e me ne innamoro completamente; il resto rimane lì, in attesa di altri riascolti.
Arriva il 1988, io ho una Fiat 500 scassata sotto al culo, un autoradio per cassette e tante cassette. Ricordo che in loco girava tanto Battiato, tanti Talking Heads, tanti Pink Floyd, Depeche Mode a go-go, ecc. Poi un giorno arriva "L'Apparenza" e lì veramente inizia il mio trip per i dischi bianchi. L'album è veramente di fortissima rottura e le otto canzoni girano a ritmo ossessivo. Testi inafferrabili, brani destrutturati, musica ipnotica ma tutta apparentemente uguale, ovvero tendenzialmente atonale. Ascolto e riascolto. Mi fisso soprattutto su "Allontanando". "Mi sto distrattamente sfrenando dal mio posto proietto il bell'aspetto"... Cioè? Beh, rileggiamo... "Mi sto distrattamente sfrenando dal mio posto proietto il bell'aspetto". E via, e via, e via. Il pubblico mugugna, le vendite calano, i miei amici si rifiutano di ascoltare 'sta roba ma io li obbligo. E continuo con "Allontanando", che probabilmente è la prima canzone che memorizzo nella propria totalità. "In cambio ti rifaccio il mostro mi tolgo le foglie dalle dita": ancora oggi fatico a capire di cosa Panella stia parlando, anche se da quei tempi sono fioccate le interpretazioni più disparate. Ma nel 1988 non c'è internet, non ci sono libri e quindi mi trovo a scrivere il testo su un foglio e studiarlo, a nottate intere.
1990, "La sposa occidentale". Ormai sono abbastanza allenato alla novità, per cui l'album, più comprensibile dell'ultimo, lo digerisco abbastanza agevolmente. Riesco anche a comprendere cosa faccia e come si comporti questa sposa occidentale, insaziabile, capricciosa e probabilmente tendente all'autoerotismo, fra musica che diventa elettronica e ballabile, tanto che la title track viene passata anche qualche volta in radio (evento inaudito per i dischi bianchi). Anni dopo scoprirò la clamorosa bellezza di "I ritorni" e "Campati in aria", che a un certo punto sfocia nella house music!
"Cosa succederà alla ragazza" è del 1992. Ho cambiato macchina e ora la musica si sente meglio. Il brano che dà il titolo all'album è meraviglioso, pare composto da un Moroder in stato di grazia, lo assorbo completamente e ne decripto i minimi passaggi. Mi piacerebbe davvero un giorno affittare una discoteca e metterlo a 7000 decibel per far ballare tutta Siena (forse lo farò un giorno). Questa ragazza è talmente bella che a un certo punto "tutte le pompe con l'acqua nelle vene si mettono a ballare e poggiano di gioia"... Il resto dell'album è quasi una passeggiata, essendo probabilmente quello più "semplice": la ragazza (ma è davvero una ragazza?) passa la sua giornata, che Panella descrive fino al meritato riposo, alle 3,45 della notte nel proprio letto, "non si resiste più e non è più questione tra il giulivo e il triste".
Arriviamo alla fine, a "Hegel" del 1994, l'album meno amato probabilmente anche fra i più malati dei dischi bianchi e che io invece adoro più di tutti. Album di musica techno, di elettronica spinta, di testi vertiginosi, di una canzone che chiude il ciclo professionale e vitale di Battisti totalmente cantata in un falsetto inimitabile, quasi 5 minuti di goduria, di parole urlate a raffica, di un testo non cantabile da nessuno. Una performance che lascia tutti interdetti e che oggi rappresenta il testamento clamoroso di un fuoriclasse, un cantante ed un musicista unico. "La voce del viso" è la fine di un'epoca liquidata con una eccezionale prova di forza, una dimostrazione di superiorità svolta senza sforzo alcuno in un gorgo inestricabile di sfrenata dance e un cantato perfetto su un testo non cantabile: impressionante. "Hegel", album ancora oggi per tanti indecifrabile, scopro che rappresenta perfettamente i miei anni liceali, per cui resta l'intimo rifugio dei miei ricordi di gioventù.
Questi sono i miei dischi bianchi. Questa è la mia Grande Bellezza che Sorrentino rappresenta nel suo grandioso film. Battisti morirà il 9 settembre 1998, cogliendoci tutti di sorpresa. Ma la Bellezza della sua arte, soprattutto quella bianca, non avrà per me mai fine.
Abbiamo parlato di:
Allontanando - L'apparenza, 1988
https://youtu.be/c85hRq1riKk?si=nIObnnyz3q-VpBlC
E poi
Di che parliamo?
Di come per favore hai fatto
Se non ti dispiace replicarlo
Quel gesto quell'insieme
Di cose e di non cose
Che accadono una volta
E quindi possono
Ripetersi a richiesta e non per caso
n cambio ti rifaccio il mostro
Mi tolgo le foglie dalle dita
Il vento pettinato ritorno ai connotati, riprendo i miei colori
A mano libera
E meglio puoi vedermi
Allontanando
E poi
Di che parliamo?
Trasvola sopra l'ultima papilla la farfalla e la lingua la spilla
E ripeschiamo l'oh dello stupore col quale incorniciamo
Il fragile leggero di quel che non diciamo
E poi
Di che parliamo?
Di come sei tracciata appena
Su carta o traspari in filigrana
Trapassi le pareti
Solletichi anche l'aria
Ma un gesto, un solo gesto
Ti torna solida?
Un gesto che è richiesta e non è caso
In cambio non invento niente
Mi butto di sotto o non mi butto?
Mi sto distrattamente sfrenando
Dal mio posto proietto il bell'aspetto
Mi tramo, intrecciami
E puoi vedermi meglio
Allontanando
E poi
Di che parliamo?
Nel libro d'avventure saltiamo le parole e le figure
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