Ci sono giornate che aspetti con ansia, contando ogni singolo minuto che separa l’inizio dalla fine. Altre che invece vorresti non finissero mai. Oggi molto probabilmente è una domenica in cui sono vere entrambe le cose.
Dopo un sabato solitario, passato in compagnia del mio piccolo cane dal nome troppo lungo ad architettare l’ultimo appuntamento con S. (la mia futura ex vicina che ha ribaltato le mie giornate) è arrivata domenica. Tutti noi una volta nella vita ci siamo trovati di fronte al dilemma del primo appuntamento. Cosa fare, come vestirsi, dove andare. Ma dover pensare di organizzare l’ultimo appuntamento con la ragazza della tua vita, che non potrai nemmeno perdere perché non è mai stata tua (come se una fidanzata fosse una proprietà) credo sia stato un compito toccato a pochi. In più, se penso che il giorno del mio ultimo appuntamento coinciderà con la ultima (probabile) partita dell’ACR SIENA nel calcio professionista, ci sarebbero tutti i presupposti per chiudersi in casa, protetto da un bel paio di cuffie nere da dj e anestetizzato da una buona bottiglia di Barolo, come se il valore del vino fosse direttamente proporzionale alla tristezza che deve lenire. Ed invece ho deciso che se oggi deve essere l’ultima domenica, l’avrei vissuta tutta un fiato, come i campionati di inizio anni 2000 quando il vento del destino soffiava sempre dalla nostra parte.
In una città invasa da genti di ogni dove, calda, soleggiata ma piacevolmente briosa, grazie ad un grazioso vento primaverile che la rendeva frizzante come un bicchiere di acqua gassata, ho passato l’abbonamento nel tornello per l’ultima volta. Pensando che magari in Eccellenza non serviranno aggeggi elettronici per entrare e che forse non avremo nemmeno uno stadio (il cui degrado sta raggiungendo picchi altissimi), sono salito in curva dalle scalette di sinistra, quelle sulle quali campeggia la targa di Lorenzo. E un po’ mi sono vergognato di fronte al suo ricordo, riflettendo sulla brutta fine che abbiamo fatto fare alla passione sua e di tutti coloro che in questi anni non ce l’hanno fatta, interrompendo il loro cammino terrestre senza vedere l’orrido dirupo nel quale stiamo precipitando, senza paracadute. Un pensiero è andato a Checcone, la cui assenza tra poco compirà un anno e mi sono sentito un po’ inutile. La partita è cominciata nel solito modo, noi che sbagliavamo goal abbastanza facili e loro ci punivano alla prima distrazione. Praticamente è stata tutto un rincorrere, fino al 90° minuto, raggiunto il quale il sapore di annata persa ha cozzato contro l’amarezza per un qualcosa che stava mestamente finendo, senza nemmeno i titoli di coda, visto che non ci possiamo permettere neppure un maxi schermo acceso. C’è un sottile confine fra miseria e povertà e credo adesso sia sotto agli occhi di tutti. Per 90 minuti sono riuscito a non pensare a S. e a dove portarla per l’ultimo appuntamento.
Rincasando le ho scritto di scendere verso le 20.00 (abitando nella stessa palazzina non devo andare a prenderla con la macchina) e di vestirsi comoda. Incuriosita mi ha risposto un ok con tre faccine avvolte dai cuoricini ed è bastato quel messaggio per farmi fare pace con l’Entella. Qualche minuto prima dell’ora x ho messo la pettorina bianconera al mio piccolo cane dal nome troppo lungo e sono sceso in cortile. A pensarci bene anche per la piccola bestiola pelosa sarà l’ultima volta nella quale incontrerà S. quindi sarebbe stato molto cattivo lasciarla a casa. Con qualche minuto di ritardo la splendida fanciulla ha aperto il portone, tra i guaiti eccitati del mio cane ed il mio cuore che martellava nel petto un ritmo in quattro quarti. Nel salutarmi mi ha abbracciato, lasciando che il profumo dei suoi capelli entrasse in profondità nella mia vita. Per restarci per sempre molto probabilmente. "Sei davvero bella come il Siena in serie A" ho pensato, mentre la invitavo a seguirmi. Seppur molto sportiva, S. stava molto bene nei suoi pantaloni neri piuttosto attillati, accompagnati da una camicetta sbarazzina dello stesso colore e un giacchetto casual. Camminando deve aver percepito il mio imbarazzo, perché per non far calare il silenzio mi ha chiesto: "Dove mi porti?". Non sapendo cosa rispondere ho risposto senza mentire: "Non lo so! Ma se mi dai un secondo, qualcosa mi invento". E così abbiamo cominciato a camminare, nella sera che piano piano si faceva notte mentre nei bar gli aperitivi lasciavano il posto agli amari. Abbiamo parlato un po’ di noi, un po’ della Robur e un po’ di questi strani mesi passati assieme. Magari non è successo niente, ma siamo stati veramente bene. Forse chissà, in una dimensione parallela sarebbe stato diverso. O magari da qualche parte nell’universo ci sono davvero un Q e una S che stanno insieme. Mentre il mondo perdeva i colori del giorno e tutto veniva tinto della luce fredda dei lampioni, ho ufficialmente invitato S. a cena, indicandole un camioncino dei panini, di quelli che normalmente si trovano fuori dagli concerti. S. per me è sempre stata musica buona da ascoltare. Lei mi ha guardato sorridendo: "Che tipo che sei", ha detto accettando l’invito. Senza fare la fila (come capita nei film o ai calciatori di serie A), ci siamo immediatamente presentati al banco. Per una sera niente tavoli rotondi e calici di champagne. S. ha ordinato un hot dog mentre io, scrutando la tabella dei panini, ho chiesto un Sorrento. Poi ho sorriso domandandomi perché mai un panino con bresaola, grana e rucola si debba chiamare con il nome di una località campana. Confidando il mio dubbio a S. l’ho vista ridere. E vederla in quel modo è stato come prendere al volo una maglia lanciata dai giocatori a fine partita. Al momento di scegliere cosa bere mi sono ricordato che non va pazza per la birra e i due ragazzi dietro al banco devono aver capito immediatamente che non stavamo assieme, o almeno lo hanno intuito nel momento in cui mi sono girato verso di lei incerto se prendere acqua naturale o frizzante. Un occhio allenato avrebbe colto la stranezza del particolare dei gusti non conosciuti. Quindi molto probabilmente è scappata la scommessa fra i due tipi che da qui in avanti hanno cominciato a guardarci con un occhio un po’ più indagatore. La presenza della ragazza ha lenito un po’ le mie ferite sportive, facendomi dimenticare per qualche ora la fine della Robur, i punti persi, i play off a rischio. Ci siamo seduti uno di fronte all’altro sulle lunghe panche di legno, separati soltanto da un tavolo da sagra. Uno dei due ragazzi del camioncino ha raccolto un po’ di avanzi di ciccia e dopo averli messi su un tovagliolo li ha offerti al piccolo cane, che naturalmente ha accettato con molto entusiasmo, accomodandosi fra i piedi di S. La quale dopo aver dato il primo morso al panino ha esclamato: "Buono", chiedendomi se ne volessi assaggiare un po’. Quella piccola scheggia di intimità deve avermi rotto qualcosa dentro, visto che improvvisamente mi sono sentito strano e incerto. Pensando che molto probabilmente toccare con le labbra il punto esatto in cui lei aveva appoggiato le sue sarebbe stato molto probabilmente la cosa più vicina ad un bacio, ho accettato. Stando bene attento a misurare il volume del morso, ho avvicinato la bocca alle dita della ragazza, staccando un piccolo pezzetto panino, carne e ketchup. Con naturalezza poi S. ha assaggiato il mio panino, giudicandolo passabile. Per qualche minuto ci siamo guardati senza parlare. Come vecchi amici, direbbe qualcuno. Un qualcuno che vorrei tanto smentire. Poi, dopo avermi lasciato un bel pezzo di panino poiché a suo dire era troppo (tra le proteste del piccolo cane che con vero piacere avrebbe affondato i baffi nella maionese) si è girata di novanta gradi ed ripiegando le ginocchia al petto ha appoggiato i piedi sulla panca. Per un secondo, ma solo per un piccolo infinito secondo, mi sono sentito a casa. Dopo aver pagato (forse i 13 euro spesi meglio della mia vita), ci siamo alzati, incamminandoci verso casa. Senza capire bene cosa stesse accadendo, S. mi ha abbracciato nuovamente, girandomi le braccia intorno al collo. Se quello di qualche ora prima era stato un gesto più di cortesia che altro, questo aveva un sapore totalmente diverso. Ricambiando l’abbraccio ho capito come dev’essere vedere le porte del paradiso mentre precipiti all’infero. Passandole una mano lungo la schiena, ho sentito le dolci protuberanze delle vertebre, il laccino del reggiseno e il punto esatto in cui le scapole si avvicinano, quasi fino a toccarsi. Non potendo resistere le ho dotto un bacio sulla testa, di quelli che le mamme danno ai bimbi poco prima di dormire. Poi sono stato travolto da un ondata di eccitante malinconia. Ho pensato alle sue labbra, al sapore del suo respiro, all’estate. I ragazzi del camioncino adesso ci stavano fissando. Secondo me stavano soltanto aspettando di capire chi dei due avrebbe vinto la scommessa, perché nella sera dell’ultimo appuntamento non c’è spazio per un bacio, di quelli seri, di quelli appassionati, di quelli che ti restano dentro per tutta la vita. Nella sera dell’ultimo appuntamento c’è giusto il tempo per un lungo, lunghissimo abbraccio, nel quale tutto pare possa essere ancora possibile. Anche rivedere il Siena in serie B. Mentre S mi appoggiava la testa sulla spalla, dalle casse della radio sono uscite le note di una canzone moderna, che forse non c’entra niente con me, con lei, con Noi, ma che per una sera è sembrata la cosa giusta al momento giusto. Senza il solito aiuto di Alexia, ho riconosciuto le parole di "Tu mi hai capito" di Madame e Sfera Ebbasta e mentre si chiudeva il capitolo della mia vita nei quali i sogni si infrangevano in mille pezzi come vetri colpiti da un sasso, tra immagini di ragazze inarrivabili e squadre distrutte ogni tre anni, l’ho abbracciata un po’ più forte, provando a trattenere quel sentimento profondo e sincero, che piano piano si stava allontanando da me.
Per sempre.
Robur Siena - Virtus Entella 1 a 2: nel teatrino della nostra stagione, arriva una sconfitta per salutare (per sempre?) questa giovane ACR SIENA, mutazione genetica di quella gloriosa AC SIENA 1904 del tempo che fu, costruita, cresciuta e coccolata in oltre 100 anni di fatiche, lacrime e bestemmie e distrutta dalla follia umana in pochi mesi. Sul palco cala il sipario, in sala si accendono le luci e la gente si accalca al guardaroba con gli occhi lucidi, perché domani si lavora e manca persino la voglia di parlare. Al bar del foyer qualcuno si sofferma per bere una cosa, l’ultimo bicchiere prima di rincasare: un brindisi amaro alla nostra storia (certa), uno al nostro presente (incerto) e uno al nostro inesistente futuro. Ciao Vecchia Robur. Saranno un po’ più vuote le domeniche, senza di te.
Fine (in tutti sensi).
Giunti al termine di questo delirio, nel quale alcune pause hanno dilatato il tempo, ringrazio tutti coloro che si sono soffermati almeno un minuto a leggermi, sprecando un frammento di tempo della loro vita che nessuno ridarà loro indietro. Avrei voluto un finale diverso e qualche mese fa c’ho (ci abbiamo) anche sperato, perché è nel destino di ognuno di noi sognare sempre un finale diverso. Ma a volte per campare in pace con noi stessi è necessario anche sapersi accontentare. E se tifi il SIENA, accontentarsi è un po’ come sopravvivere. Ringrazio - come sempre - il titolare del blog che da anni, con tanta pazienza e smisurata follia, mi ospita e pubblica le mie sgangherate parole senza mai censurare niente. Ringrazio S. e tutte le donne che nella loro vita hanno avuto la sfortuna di inciampare su di me. Ringrazio Dio (qualunque cosa sia) di avermi fatto arrivare a 44 anni con la profonda consapevolezza di essere ancora e nonostante tutto un ostinato e ottuso tifoso della Robur. Ed infine ringrazio anche tutti coloro che stanno distruggendo la mia unica passione, vizio e virtù della mia vita, che trasforma ogni partita in una gigantesca e incredibile emozione, con il bianco ed il nero che riesce ancora a colorarmi le giornate. Vi ringrazio perché noi non saremo mai come voi. Noi, poveri e sinceri, con i nostri mille difetti, le nostre paure e le nostre ansie, saremo sempre migliori di voi. Vi ringrazio ma non vi perdono. Così come non ho perdonato coloro che vi hanno preceduto, distruggendo tre volte in dieci anni il nostro unico amore. Ma nonostante voi, Siena e il Siena non moriranno mai. Vi state illudendo di farcela, ma siete schiavi di una vana speranza, che morirà tutte le volte che un bambino sventolerà una sciarpa bianconera, gridando "Forza Siena"!
Sarebbe però il caso di chiedersi come mai tanti di questi bambini "senesoni" tifino per la riomma, l'inda, la giuve e persino la violamerdacea...... siamo proprio si'uri si'uri che Siena non morirà mai?
RispondiEliminaIo penso che le cose nascano e muoiano.
Noi quando s'era ragazzi avevamo quasi tutti una "simpatia" per una squadra di A ma eravamo (e siamo) TIFOSI del Siena. E infatti negli anni della B e della A tifavamo Robur anche contro queste nostre "simpatie".
Troppi giovani di oggi al Rastrello nemmeno vengono, altro che tifosi dei colori della Balzana..... poi certo qualcuno resiste, imperterrito, e mi rende orgoglioso.
Il Granacci
Io penso che fosse così anche 30 anni fa invece.
EliminaAnche perchè la gente approdata dal 2004 in poi ,negli anni della A ,fino al '99 non s'era mai vista in curva.
Quanto descritto dal Granacci mi sembra duro da digerire ma vero e realistico, ahimè a questi giovinotti senesi (s minuscola) della Robur non gliene frega più nulla.
EliminaPaolo