Riceviamo e pubblichiamo.
Nel commento precedente ("I Chicago Boys e il piazzamento dei lavoratori") abbiamo visto che, con il trattato di Bretton Woods del 1944, il dollaro americano diventa la moneta di riferimento per ogni transazione commerciale mondiale: compravendita di materie prime, compravendita di derrate alimentari e commodity, transazioni finanziarie, prestiti a stati sovrani (FMI)... tutto avviene in dollari americani. Nel 1971, a causa del grande incremento delle transazioni commerciali mondiali, il dollaro abbandona la convertibilità in oro e diventa moneta fiat, moneta fiduciaria, indipendente dal valore delle riserve di metallo prezioso presenti nelle casse del tesoro e dipendente dall'autorità dell'emittente, stato o banca centrale che sia. Stabilire da cosa derivi poi la fiducia sarebbe un discorso che ci porterebbe lontano, comunque sempre di fiducia di origine forzosa si tratta: nel settore interno moneta accettata per il versamento dei tributi e per il settore estero dimostrazione continua di supremazia bellica, industriale, finanziaria. In buona sostanza, gli Stati Uniti, dal 1971 in poi, stampando dollari dal nulla, da produttori esportatori diventano importatori, cioè compratori di ultima istanza di ogni merce o prodotto finanziario del mondo.
Abbiamo visto anche che a partire dalla fine degli anni '70 e per tutti gli anni '80, con la presidenza Thatcher in UK (thatcherismo) e Reagan in USA (reaganomics), il sistema economico di stampo keynesiano entra in crisi (ma di che!) e viene sostituito dal sistema neoliberista teorizzato dalla scuola di Chicago di Milton Freadman, che si fonda su totale libertà di movimento dei fattori produttivi (capitale - forza lavoro), flessibilità del lavoro, privatizzazione degli enti pubblici, stato minimo e abbattimento della spesa sociale, taglio dell'imposizione fiscale, deindustrializzazione e finanziarizzazione (nasce la City di Londra).
Veniamo al Belpaese. In Italia, alle elezioni poitiche del '76, il PCI raggiunse il 34% dei voti. E la quota salari?
E l'inflazione infatti saliva toccando una punta del 22% nel 1980, ma come per magia i salari crescevano di pari passo. Nel grafico si nota il "PCI moment" del 1976 e la retta di cesura del 1981 indicante l'inversione secolare della quota salari e inflazione italiana. Cosa sarà mai successo di così tanto positivo in quel frangente? Per quanto riguarda il rapporto tra inflazione e salari bisognerebbe rimandare a concetti quali scala mobile, scatti di contingenza, ecc; impegno troppo gravoso che rimando ad altre puntate. Mentre l'evento del 1981 ma anche quello dell'ottobre 1978 meritano un supplemento basilare sempre nella prossima puntata.
Per chiudere questo prolisso commento vorrei soffermarmi un attimo sui sistemi di finanziamento del deficit a disposizione dello stato:
1) Finanziamento a debito dalla banca centrale che crea denaro dal nulla.
2) Finanziamento diretto non a debito stampando denaro dal nulla.
Sappiamo tutti che il deficit (disavanzo) primario di bilancio è la differenza, in questo caso negativa - ma potrebbe essere anche positiva (avanzo) - tra entrate (tasse) ed uscite (spesa pubblica), fatto salvo le spese per interessi sul debito pregresso (stock) che si considerano a parte (debito = stock; deficit = flusso).
I settori pubblico e privato sono intimamente correlati. Ovvero, la spesa pubblica diventa reddito per il settore privato ma anche il contrario: uno stato in avanzo primario strutturale drena ricchezza alla popolazione residente mentre uno stato in disavanzo primario strutturale crea ricchezza (reddito) per la popolazione residente. Abbiamo visto che in quella fase storica lo stato era in disavanzo strutturale primario e dunque creava ricchezza per la popolazione; finanziava il deficit indebitandosi sostanzialmente emettendo titoli di debito che la banca centrale acquistava (compratore di ultima istanza) sul mercato primario dei titoli pubblici, stampando moneta, sterilizzando i titoli comprati, e retrocedendo gli interessi maturati allo stato. Caspita, abbiamo trovato l'uovo di Colombo: si stampano soldi dal nulla e si crea infinita ricchezza! Ma ovviamente questo non è possibile, visto che esiste il cosiddetto vincolo esterno della bilancia dei pagamenti, che rimandiamo alla prossima puntata.
Magia, esiste anche una seconda possibilità, molto pericolosa e poco conosciuta, (ci sarebbe anche una terza che si chiama moneta fiscale, ma per ora lasciamola da parte), che esclude la banca centrale (ed è già un problema) dal giochino e non è a debito, per cui l'emissione di titolo di debito, nomen omen, diventa una passività per lo stato e un attivo per chi lo compra: tale opzione si chiama biglietto di stato a corso legale.
Aldo Moro, da Presidente del Consiglio, finanziò la spesa pubblica tramite l'emissione per 500 miliardi di lire, solo tramite i biglietti di stato da 500 lire. Dicono che nel '78 avesse già reso operativa l'emissione di biglietti di stato da 1000 lire, ma questo non potremo mai saperlo. Sembra che scavalcare le banche per creare moneta dal nulla non giovi molto alla salute.
Iuri
Molto interessante Iuri.
RispondiEliminaIo di economia capisco poco, ma mi pare evidente (del resto lo dici) che la curva dei salari sia direttamente dipendente dall’andamento dell’inflazione, con una cesura netta nell’85, l’anno del referendum che ne segnò la fine e che rappresentò l’apice del riformismo craxiano.
Io ti faccio due domande (spero non siano stupide, ma mi servono per cercare di capire):
1. Perché negli anni ottanta pur essendo evidente la diminuzione della crescita dei salari (andara di pari passo con quella dell’inflazione) la produttività è continuata a salire per poi arrestarsi bruscamente nel ‘94? Forse è l’incrocio delle due rette il problema, perché da quel momento non ci siamo più ripigliati.
2. Non ho capito perché per te non è andata così quando parli di competitività persa a causa di salari alti (sigh!) e produttività bassa. Con interi comparti industriali che pur essendo italiani di fatto producono all’estero a me sembra il contrario. Potresti spiegarmi meglio?
A.
Parto dalla 2:
EliminaL'aggiustamento di competitività rispetto estero è avvenuto tramite svalutazione monetaria.
1 il discorso per la produttività è correlato anche a carenza investimenti che fino agli anni novanta venivano garantiti dal finanziamento pubblico.
Il punto cruciale resta che in Italia fino ad un certo periodo la quota salari saliva più della produttività e più dell'inflazione, in altri paesi no. Il nodo da capire è questo.