Un pozzo visto dall’alto sembra soltanto un puntino nero casualmente disegnato nel verde della campagna. Un insignificante puntino che quasi sfugge all’occhio distratto di chi guarda, passa e se ne va. Se invece hai la sfortuna di finirci dentro a quel pozzo, allora la faccenda cambia. E non poco.
La luce del sole raggiunge soltanto i primi metri, dopo, man mano che ti allontani dalla superficie, tutto si fa più scuro, fino a diventare di un nero appiccicoso, che ti avvolge come la calura estiva e ti proietta in un mondo diverso, nel quale le cose non hanno forma e le ombre non esistono. Precipitando verso il basso, nell’attesa dello schianto sordo con quello che troverai in fondo al buco, ti sorprendi a pensare e mentre le viscide pareti di tufo ti scorrono accanto come immagini della tua vita, ti chiedi come diavolo hai fatto a finire in questa situazione. Cadendo hai anche il tempo di guardare verso l’altro: adesso il cielo appare piccolo e rotondo come una moneta da un euro trovata sul marciapiede all’uscita del bar. E nonostante la tua situazione drammaticamente complicata, avverti con nostalgia la mancanza dell’odore del caffè appena macinato, come se quell’aroma, così ben impresso nella tua mente, fosse l’ultimo sottile filo che ancora ti legava alla vita di prima, nella quale il gusto delle giornate aveva un sapore decisamente più marcato e di notte restavi sveglio solo per fare baldoria e non per pensare a come far quadrare i conti, sempre più rossi, come le zone messe peggio. Più cadi e più ti sembra di non cadere.
Il cielo adesso è un puntino lontanissimo stampato nel nero, pare un pianeta del sistema solare visto la sera di San Lorenzo, durante la quale si aspetta di vedere una stella per esprimere un desiderio. Peccato che adesso non ci sia niente da esprimere e l’unica cosa che cade sei solo tu. Smarrito in un tempo che pare solido, ti pare quasi di galleggiare, mentre l’aria fresca ti sferza il viso. Sa di muffa e di putrefazione. Sa di morto. Da buon essere umano speri che il fondo sia ricoperto di acqua. Il male minore, lo chiamano. Non sai nuotare, ma quello sarà un problema da affrontare in un secondo momento. Una cosa per volta o, come direbbero gli inglesi: “One thing for time”. E nonostante la situazione, sorridi per la battuta. Nonostante tutto, hai ancora voglia di scherzare.
E una volta che toccherai il fondo, anche se non sai quando avverrà, sai già che per non morire ti aspetterà una risalita difficile e faticosa. Impossibile, ti verrebbe da esclamare, muovendo le labbra senza tuttavia emettere nessun suono. Nel più infantile dei gesti, metti le mani avanti, come fanno i bambini quando giocano a mosca cieca. Galleggiando in un tempo infinito, mentre oramai ti sei ambientato nel buio e anzi, cominci a trovarlo familiare, ripensi che mentre tutto va a fondo, soltanto la merda riesce a galleggiare. E allora provi a trovare il lato positivo anche di questa assurda situazione. Il fondo arriverà. Oh sì, prima o poi arriverà e con lui arriverà lo schianto di un corpo in caduta libera che improvvisamente impatta qualcosa che arresta la sua corsa. Poi? Poi, cessato il rumore, resterà soltanto un lunghissimo istante di silenzio, nel quale con i palmi delle mani tasterai lo spazio che ti circonda in cerca di qualcosa, lasciando che le dita diventino i tuoi occhi, derubricando la vista a qualità totalmente inutile.
Non c’è niente da vedere sul fondo del pozzo, l’aria è malsana ed il tanfo è insopportabile. Ad ogni movimento i vestiti gonfi di acqua melmosa diventano pesanti ed il gelo dell’acqua marcia si incunea sotto pelle, strappando via tutto quel poco di calore rimasto. E sul fondo, mentre tutto tace e soltanto le sanguisughe esultano per l’inaspettato banchetto letteralmente piovuto dal cielo, fai un bilancio della tua vita.
Conti i danni. Respiri e stringi i pugni. Hai scelto di tifare la Robur quando potevi deviare su una squadra di comodo, di quelle che riempiono i giornali e giocano le coppe. E allora capisci che non è stata una scelta, ma è cosa venuta da se’. Come quelle storie di amore che ricordi soltanto quando finiscono perchè non riesci a capire bene quando sono cominciate. Sai solo che un giorno lei non c’era e il giorno dopo, boh, non potevi più farne a meno. Impacciato nei movimenti provi ad arrivare vicino alla parete, come se il contatto con qualcosa di solido potesse restituirti un po’ di conforto. Non c’è spazio per la speranza adesso, non c’è spazio per i discorsi, non c’è spazio per le recriminazioni. Molti hanno sbagliato se tutto d’un tratto sei finito quaggiù. E altri stanno sicuramente sbagliando se non trovi una corda per risalire. Già, una corda: è strano come cambi il valore delle cose a seconda della situazione. Questione di prospettiva o di punti di vista, mi disse un giorno la professoressa di educazione artistica. Questioni di stato d’animo, mi disse una ragazza, mentre toccando lo schermo di un telefono metteva un like ad un vecchia canzone di Roberto Vecchioni.
“Mi manchi” vecchia Robur. In fondo basterebbe soltanto una misera corda lisa per riaccendere una flebile speranza dentro di te e ricominciare a progettare un qualcosa di dolce e luminoso, colmo di speranza e simile ad un sogno. Ed invece in fondo a questo maledetto pozzo chiamato serie D arranchiamo contro chiunque, mentre chiunque si fa beffe di noi. Se fossero tempi normali… Ma non lo sono, quindi basta con lo sprecare parole. Buone solo per essere portate via dal vento fresco di questo pazzo febbraio, nel quale il mondo pare ancora fermo allo stesso punto dello scorso anno mentre la Robur invece è precipitata in un mortificante inferno, abitato da un sottobosco di esseri che niente hanno a che fare con lei e la sua storia, ma con i quali - a torto o a ragione - deve confrontarsi per invertire la rotta e ricominciare a salire. Perché quando la corda non c’è, bisogna arrangiarsi e trovare dentro di ognuno di noi la forza per aggrapparsi a qualcosa e iniziare la risalita. Perché lassù, nonostante tutto, da qualche parte c’è ancora un cielo da rivedere e raggi di sole caldo per scaldarci il cuore ad asciugare via le troppe lacrime di frustrante rabbia che da troppi giorni scendono lungo le guance, lasciando sulla pelle soltanto un’amara scia salata, che irrita la pelle e mortifica l’umore. E non vale a niente pensare che nonostante tutto potrebbe esser peggio: in questi giorni si stanno scrivendo le pagine più tristi della nostra storia e francamente peggio di questo credo non ci sia niente. Nemmeno la pioggia.
Ostiamare - Siena 3 a 1: un altro triste tassello di un brutto mosaico, che non accenna a smettere di mostrare il suo orribile disegno.
Siena - Scandicci: inutile fare progetti. Quando sei sul fondo o inizi a scavare o ti ribelli e combatti, resisti e resusciti. Senza chiedere permesso, senza chiedere scusa. A nessuno. Perché nessuno ti aiuterà mai, come un vecchio leone attaccato da un branco di iene. Con la differenza che il leone sarà sempre il leone mentre le iene rimarranno sempre e soltanto iene.
…su quei gradoni (prima o poi), li ci troverai!
Mirko
Faccino simpatico,prime dichiarazioni se vogliamo "simpatiche" pure quelle ma lei signor Armen Gazaryan, di calcio ,per sua stessa ammissione , non sa nulla eppure ci dice delle sue buone sensazioni e che la squadra vale più di quello che mostra. Signor Armen, per favore...taccia, che di disastri ne avete combinati abbastanza. Se i fenomeni della holding hanno individuato in lei l'uomo giusto ,come uomini giusti aveva individuato in Gianni e Pinotto (mi scusi ma non ricordo i loro nomi) allora siamo a cavallo. L'unica speranza che ci rimane è quella di sperare che blocchino l'Eccellenza, altrimenti,glielo assicuro, il casino che avete fatto fino ad ora diventa una " pinzellacchera" come diceva Totò. Forse non sarà così, ma quello che mi auguro (pensiero che credo condiviso non da pochi) è che voi rimaniate a Siena giusto il tempo per mettere nella valigia la vostra roba e tornare ad occuparvi di scacchi e sollevamento pesi. In questo momento di gente che si affaccia al calcio per la prima volta, proprio non ne sentivamo la necessità.
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