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venerdì 11 dicembre 2020

Paolorossi

"Non c’ero, o se c’ero dormivo’".


Ecco, credo di aver sempre pensato una roba del genere a proposito di quel caldo pomeriggio del 5 luglio 1982, alla fine di una partita che i grandi mi hanno raccontato essere stata  incredibile, ma della quale non ho nessun tipo di ricordo, se non quelli freddi e impersonali delle immagini televisive registrate, viste e riviste per anni. In verità, essendo nato nel 1978, per esserci c’ero, ma quasi certamente dormivo, come normalmente fanno i bambini di 4 anni a quell’ora del giorno. Però di quel momento posso immaginare due cose, il trambusto della gente per le strade (poi con il tempo avrei capito perché quei Mondiali furono così drammaticamente differenti da quelli del 2006) contrapposto al malumore malcelato di mio babbo, che a modo suo faceva finta di niente. Perché non festeggiava?

La risposta la conobbi soltanto qualche anno più tardi, quando ascoltandolo parlare di un acquisto bomba di un Milan povero dell’era pre berlusconiana, squadra della quale è ancora tifoso, ingenuamente gli chiesi: "Babbo, ma Paolorossi come fa di nome?". Sì lo ammetto, ero talmente abituato a sentirlo chiamare in quel modo, che mi ero convinto che Paolorossi fosse un cognome, come Baresi, Platini e Rumenigge. E fu proprio commentando la sua risposta che finimmo per parlare di quell’ Italia - Brasile 3 a 2 ai Mondiali ai Spagna. 

Erano i primi di luglio del 1982, qualche giorno Beppino Pes detto il Pesse in groppa a Cuana aveva riportato il palio nei Servi, a capo della repubblica sedeva un partigiano socialista che a guardarlo oggi più che un presidente sembra un parente del vecchietto di Up e l’italia non stava affatto bene: negli ultimi anni bombe, stragi, terrorismo rosso, nero, di stato, morti innocenti tanti, colpevoli condannati pochi. Più avanti ci avrebbero confessato che tutto quel male era stato perpetrato per garantire il bene ed il suo benessere. Benessere che da lì a qualche anno e almeno fino ad Italia '90 sarebbe scorso a fiumi in tutte le strade dello stivale: erano i mitici anni '80, nei quali tutto era possibile, anche se personalmente ho sempre avuto la sensazione di essere arrivato alla festa mentre le donne delle pulizie portavano via i sacchi dell’immondizia. Che bel tempismo!. Ma d’altra parte cosa posso aspettarmi da uno che ha scoperto gli Oasis giusto giusto dieci anni dopo la loro fine? C’ero quando suonavano, per esserci da qualche parte c’ero, ma sicuramente dormivo. 

Negli anni '80, appesi al muro della cameretta i maschietti avevano due poster: da una parte l’immagine giunonica di Sabrina Salerno vigilava sui loro sogni inconfessabili, dall’altra c’era quella di un ragazzo magrolino in maglia azzurra con le mani protese verso il cielo nel più classico gesto di gioia, che corre felice verso l’immortalità, mentre sullo sfondo un tedesco in ginocchio sembra arrancare nel vano tentativo di rialzarsi da terra. Perché proprio Paolorossi? Perché era uno normale e speciale al tempo stesso, uno di quelli provvisti di quel magico dono che in pochi hanno, in grado di migliorare la vita degli altri.  Perché ognuno di noi, al campo, nel piazzale, ai giardini, almeno una volta nella vita si è sentito Paolorossi ed è riuscito a metterla dentro, arrivando prima dell’avversario. 

"Non ci prendono più", disse Sandro Pertini durante la finale di quel mondiale. Ed ebbe ragione, la partita finì 3 a 1 per gli Azzurri e i tedeschi, rigorosamente dell’Ovest, perché il muro era ancora molto solido, persero per l’ennesima volta. Mio babbo invece non ce la faceva proprio a gioire. Da vecchio tifoso rossonero, era ancora troppo scosso e deluso dalla seconda retrocessione del suo diavolo, che aveva trasformato la disfatta sportiva di altri in una sorta di vergogna personale. Che strana parola è "vergogna"; ho sempre pensato che sia un termine orribile per un’emozione ancor più orribile. Vergogna come vera gogna o reale agonia, la stessa che deve aver provato un giorno Paolorossi quando il mondo gli cadde in testa e lo travolse con due anni di squalifica. Vergogna… Sì, è una parola pesante, fredda e quasi materica. Come una moneta da 500 lire tirata in aria dalla mano del destino, che a seconda di quale faccia mostrerà una volta caduta a terra potrà aprirti le porte dell’inferno o spalancarti quelle del cielo. Perché nella vergogna si può sprofondare ancor più giù, oppure rinascere e spiccare il balzo. Come appunto fece Paolorossi.  Eppure che strano, pensavo sul finire  del millennio, mio babbo si vergognava perché il suo Milan era retrocesso in Serie B e io invece pagherei oro se il mio Siena un giorno in B riuscisse a metterci un piedino. 

Oggi, dopo tante primavere, il mio Siena è andato e tornato da quella Serie B sognata. E dopo un giro immenso è grosso modo di nuovo al punto in cui si trovava quel 5 luglio 1982: quarta serie eravamo allora, che al tempo si chiamava C2, quarta serie siamo oggi, anche se in realtà si chiama Serie D. Soltanto che allora vincemmo il campionato, oggi chissà. Nel mezzo sono successe talmente tante cose che a pensarci bene non sembriamo più nemmeno abitare nel solito paese. Dai tempi di Paolorossi è cambiato tutto e nel farlo molto di quello che eravamo abituati a conoscere è stato spazzato via. Tanti Rossi da allora hanno scaldato il cuore agli sportivi: canottaggio, motociclismo, etc. In fondo Rossi è il cognome più comune, no? Ma mai nessuno è stato trasversale come il Paolorossi del 1982. Perché, passatemi l’azzardo, la differenza con Maradona sta nel fatto che l’argentino era dei Napoletani (ed in occasione dei Mondiali italiani lo vedemmo bene), mentre Paolorossi era di tutti gli Italiani: grandi e piccini, uomini e donne, comunisti e fascisti, perché incarnava nella sua storia personale l’esatto cammino di un popolo che troppe volte nella storia era caduto e aveva trovato dentro di sé la forza per rialzarsi, combattere, resistere e alla fine farne tre al Brasile, due alla Polonia e uno alla Germania. Dopo di lui e almeno fino a Filippo Inzaghi, qualsiasi goal fatto di rapina è stato classificato "alla Paolorossi". E mio padre, commentando quella notizia di calciomercato di metà anni '80, fu felice nel dirmi: "Paolorossi il prossimo anno giocherà nel Milan". E dentro di me lo ricordo felice, proprio come lo fui io tanti anni dopo, quando un altro Paolo disse: "Enricochiesa (altro giocatore il cui nome è da pronunciare sempre attaccato al cognome) il prossimo anno giocherà col Siena". Le persone passano ma certe felici emozioni si ripetono sempre. 

Che cos’è la felicità? È un momento, è un decimo, è un secondo. Perché poi passa! Paolo Rossi fu Pablito, Prato 23 settembre 1956 - Siena 9 dicembre 2020. 

 

Siena - Montespaccato: oltre quel monte il confine, oltre il confine chissà! Si riparte dopo l’ennesimo tonfo, per rialzarci più forti di prima, esattamente come sempre abbiamo fatto nella nostra centenaria storia. Avanti bianconeri, che il bello deve ancora arrivare!!

 

…su quei gradoni (prima o poi), lì ci troverai!



Mirko

1 commento:

  1. Maiala Mirko sei giovine!!!
    Io sono del 71, e quel Mundial me lo ricordo benissimo, la pelle d'oca credimi. Pablito... per sempre! Come altro poster però avevo Samantha Fox !!!

    Brasida

    P.s. ditegli al Giani di prendere lezioni da Zaia e Zingaretti, due regioni Veneto e Lazio che sfornano millini di casi al giorni e nemmeno sono diventati arancioni, non dico rossi, arancioni. Toscana? Si fa ridere

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