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venerdì 11 settembre 2020

Una domenica al museo

"Le domeniche pomeriggio d'estate, zone depresse", cantava con voce tenue Francone qualche annetto fa. A scandire la noia che spesso ci ha attanagliato fra sole, caldo e poche cose da fare. E allora? Allora... museo!

A Siena dimentichiamo a volte di avere uno dei poli museali più belli al mondo, per cui è giusto andare a riverificarlo una volta ogni tanto. Si vedono le stesse meravigliose cose, ma ogni passaggio rivela nuovi e spettacolari particolari.
In più ora si può godere anche di una singolare mostra, con collezione della magmatica Lady Florence Phillips, proveniente da Johannesburg. Basterebbe questo per decidere di dare un'occhiatina, dato che non so quanti di noi, in questo passaggio terreno, avranno altra occasione di ammirare opere che vengono così da lontano.
Mostra che pare quindi di nicchia, ma che non lo è proprio per i tanti capolavori contenuti. Vero, si vanno a vedere spesso le opere dei grandi nomi (Picasso, Van Gogh, Warhol fra gli altri in questo caso), dato che oggettivamente i quadri dei maestri donano all'anima quel qualcosa in più che non si può spiegare o definire. Ma mi sento di dire che in questo caso gli artisti "minori" reggono talmente botta che in talune sale rischiano di oscurare le opere dei sopra citati. Insomma, per la modestissima cifra di 5 euri, vale veramente la pena. Anche perchè la mostra è curata benissimo, con un percorso organico, spiegazioni pertinenti, fruibilità degli spazi.
E così la mostra finisce.
Poi si esce e si scopre che allo stesso prezzo vengono "regalate" altre tre mostre, che si incontrano nel percorso d'uscita.
La prima - ancora lei - è quella dei maestri nordici (pesantucci, si può dire?) della collezione Spannocchi, che, come previsto, rischia di rappresentare un peso importante per il SMS se non collocata in un contesto comunque difficile da trovare.
La seconda presenta le opere di Sergio Vacchi, che ha passato gli ultimi anni della propria vita a Grotti. Poco e mal indicata, la mostra stride per la abissale distanza di stile da quanto visto pochi passi prima.
La terza, ancora a pochi metri, di Caroline Lépinay, dominata dal colore nero, si compone di una serie di creazioni tattili che si susseguono a cascata in uno spazio che sa di claustrofobico.
Ammetto di essere un gazzilloro dell'arte. La guardo, mi piace, dispongo anche di spirito avanguardista. Ma sono un fruitore medio, con poca preparazione e quindi bisognoso di un aiuto da casa. Ecco, quell'aiuto trovato in pieno alla mostra della collezione Phillips e mai più rivisto nelle tre tappe successive. Che quindi ho trovato gratuite (in tutti i sensi), sovrabbondanti e caotiche. Tanto da essere uscito quasi da un frullatore, con la voglia di andarmene fuori a prendere una boccata d'aria.
Il Santa Maria della Scala è splendido, ma impegnativo. Come ogni opera d'arte che si rispetti, come un monumento che ha passato secoli di storia fra alterne vicende, esso va trattato. Non va subìto, perchè si corre il rischio di esserne soffocati. Ed un senso di soffocamento è quello che prende, non appena si termina la vertiginosa visione delle quattro mostre, di cui tre sono un sovrappiù.
Insomma, il Santa Maria della Scala, come gli Uffizi o il Museo Capodimonte, necessita di un condottiero, un esperto, un chirurgo, uno specialista. Lo diciamo da tempo, lo ripetiamo ora ancora più convinti, dopo le vertigini.

6 commenti:

  1. Sono d'accordo su tutto. La mostra di Lady Florence Phillips è bella e ben organizzata non appesantisce. Anche io sono un "gazzilloro" dell'arte. SMS stupendo. Poi fate un salto in Duomo per una visita guidata al pavimento "scoperchiato".

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  2. A'o bella l opera c hai messo come pendant all articolo, pare pittata da lombroso
    in acido col pennello in mano.
    Un artistona, degna del simkyevitz che gia' onoraste con mostre e con l esecuzione
    D una madonna paliesca deforme strabica e sciancata.
    Senti te e quell altro gazzilloro, e leggervi mi pare che avete confuso lo smaragdino insetto amante della cellulosa, col suo parente morfologicamente simile ma di diverso colore, amante frequentatore e ruzzolatore di deiezioni , che i chiusdinesi onomatopeicamente chiamano zonzo merdaiolo.

    A volersi sprovincializzare a ogni costo, cascare nel ridicolo ci vole poco.

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  3. Oddio bigna che mi scusi, so stato troppo precipitoso, in realta' la Florence ( lady ehh) par che si rifaccia, nell anatomia approssimativa e nei colori a certe madonnucce sghembe medievali col musino inverdito dal ossidazione dei pigmenti mal preparati da genti primitive, che mai si permisero di rappresentar donne gnude di buccia in plastiche forme Botticelliane , ma sempre restonno
    ancorate a beghinesche tradizioni medievali.
    Sicche' laonde capisco il vostro apprezzamento per la rivisitazione Ladyflorenziana
    della vostra migliore tradizione.
    E mi scuso per la mia gnoranza

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    1. Forse hai ancora da scusarti per la tua gnoranza. Perchè il dipinto in questione non è della Florence, che era la fondatrice del museo sudafricano, bensì di Picasso. "Testa di Arlecchino", si denomina. Bene non sprovincializzarsi, concordo. Al-Mutanabbi

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  4. Come nome preferisco Sienna a Florence.

    Guelfacci a casa, non vi ci si vole!!!

    Violmerdino

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  5. A me semplicemente mancherà tanto Philippe Daverio.

    Oggi vado alla Porta del Cielo, gioiello che il nostro Duomo, unico al mondo come Philippe lo definì, può offrire alla beatitudine degli occhi.

    Per quanto riguarda la Robur, io a porta metterei una quota, non so voi. Se non ricordo male Viola lo era...

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