Alcuni posti nel mondo hanno il potere di farmi sentire in pace con me stesso. Non ne conosco il motivo, so solo che trovandomici avverto la paradossale impressione di essere al tempo stesso rilassato ed eccitato, un po’ come Donny Darko in attesa di incontrare Frank. E visto da fuori mi vedo sereno, sicuro e protetto.
Quei posti sono i miei personali ‘nonluoghi’, spazi pensati e costruiti per accogliere persone per una determinato scopo, che in assenza di quest’ultime diventano un'altra cosa, spesso molto più interessante della loro destinazione originale. In verità ignoravo si chiamassero ‘nonluoghi’, anche perché mi infastidisce molto la perversione umana di dover dare un nome a tutte le cose, in quanto credo tenda a far scomparire la magia della fantasia che invece l’anonimato inspira. Posti strani come le stazioni deserte di notte, le scuole vuote, le discoteche spente o i centri commerciali chiusi mi hanno sempre attratto. Là dentro, lontano dal clamore del giorno e delle umane cose, ho trascorso piacevoli ore di silenzio, mentre la solitudine da difetto si trasformava in compagnia.
Il Rastrello per esempio durante la settimana è sempre stato in assoluto il mio ‘nonluogo’ preferito’. Da piccolo, quando le giornate scolastiche mi concedevano molte ore di ozio diurno, amavo trascorrere un po’ di tempo seduto sui gradoni di cemento della Curva Jolly. Negli anni gli accessi alle tribune sono stati chiusi ma al tempo era ancora possibile scendere sugli spalti e sedersi con le gambe incrociate. D’estate, poi, mi piaceva il contatto della pelle con il cemento caldo. Restavo immobile fin quando il calore non si faceva insopportabile, lottando contro l’istinto di alzarmi o cambiare posizione. Una sigaretta tra le dita graffiava la gola e permetteva al fisico di compiere la ritualità di quel gesto tanto caro ai fumatori - che spesso crea una maggiore dipendenza della nicotina stessa - mentre la mente vagava sul meraviglioso prato verde, respirando a pieni polmoni quell'inebriante profumo di erba umida che soltanto certe sere sanno regalare.
È singolare la strana sensazione che avvertiamo quando un sogno immaginato per anni, alla fine si avvera. La notte di Genova del 2003 per esempio, il ‘nonluogo’ dello stadio si popolò all’improvviso di centinaia di anime. Voci, più che facce, avvolte nel buio. Per anni avevo immaginato il Siena in Serie A e toccarlo con mano mi face un effetto familiarmente strano. Strano è una bella parola, usata purtroppo quasi sempre a casaccio, come se una cosa strana fosse automaticamente rotta o difettosa. Quella sera di aprile avevo sognato talmente tante volte di vedere la Robur in A che mi sentivo quasi dentro ad un déjà vu, immerso fino alla testa in un’atmosfera tanto surreale quanto irripetibile, che cozzava di brutto con i tanti silenzi accumulati in tutti quei giorni passati a guardare le tribune vuote. Lo stadio da anonimo catino si accese di luci diventando un pezzetto di paradiso, il cui ricordo niente potrà mai scalfire.
Anni dopo, guardando le immagini di Siena - Ostia prima partita della nuova serie D, mentre la fatiscenza delle tribune mostra tutto il suo tributo versato all’inesorabilità del tempo che scorre, mi trovo ad osservare con disagio un’anomalia della mia domenica. Lo stadio è vuoto ma non silenzioso. Al centro del campo, come durante una seduta di allenamento, qualcosa si muove; la palla rotola e rimbalza. Le grida si alzano altissime andando incontro a quella pioggia gelida, che grandi nuvoli grigi stanno riversando sulla terra, come a punirci per il caldo goduto nelle scorse settimane. In lontananza, arrivano i cori dei ragazzi della curva, che a seconda dei capricci del vento sembrano ora vicini, ora lontani. Se lo stadio vuoto senza partita è un mio ‘nonluogo' di pace, un'oasi di serenità nel cuore della città, adesso invece mi pare una figura mutante, metà regola e metà eccezione, nella quale la normalità stenta a ritrovare se stessa e si perde nel desolante bordo campo orfano dei tabelloni pubblicitari. Forse è questa l’immagine che più mi colpisce, spegnendomi automaticamente l’entusiasmo per la prima vittoria della stagione, esattamente come una parola fuori posto durante una cenetta romantica può spezzare la magia della coppia. E realizzo che la mancanza dei consueti sfondi con le indicazioni commerciali mi riempie di malinconia. Forse è soltanto il mio disperato bisogno di avere tutto inquadrato all’interno di confini precisi, oppure è una sconosciuta paura dell’ignoto che si cela dietro all’orizzonte a farmi pensare queste cose, ma tant’è che quei cartelloni mi davano sicurezza. La vista del campo che sfuma mestamente verso quello che rimane della pista e poi su su verso le tribune orfane di piedi conosciuti, mi ricorda che le disgrazie non vengono mai sole, ma, al pari delle ciliegie, una tira l’altra. E così, alla desolante vuotezza del post look down si è andata a sommare la non iscrizione della Robur Siena, aggiungendo male su male. Con il risultato che lo stadio pare un set cinematografico di un villaggio fantasma e i giocatori una troupe di attori improvvisati. In campo è tutto vero, ma visto da fuori pare tutto finto.
E così, tra un sussulto e un groppo alla gola, arrivo alla sera quasi frastornato da tutto quel silenzio, che mi ha investito come un treno in corsa, mentre la partita è finita e i primi tre punti sono stati intascati. Tra tutte le cose viste, o forse udite, anzi no lette, conservo con calore l’esultanza del nostro portiere in blu dopo una sua decisiva parata, che di fatto da sconosciuto me lo innalza di molti gradini nella personalissima piramide degli affetti. Poi, nel grigiore di un ‘nonluogo’ non più tale, ma che stenta a ritornare normale, mi viene in mente che forse basta un attimo per passare da un ‘nonluogo’ a un ‘nonlogo’ e nella mia mente si apre un altro doloroso capitolo. Penso al rozzo e infelice tentativo di abbinare uno stemma nuovo alla nostra storica squadra e mi dolgo un po’ per l’occasione persa dalla nuova proprietà di presentarsi a noi popolani zozzi condividendo un’idea senza imporre cose farneticanti, di cattivo gusto e troppo soggette all’interpretazione personale. Perchè all’interno del buongusto si può essere moderni e classici, antichi e innovativi. E a Sienina bella di logo da utilizzare ce ne sarebbe giù uno, lasciato in eredità dai nonni dei nonni dei nonni: uno scudo gotico diviso orizzontalmente in due parti, bianco sopra e nero sotto. Basta cercarlo in giro, è un po’ ovunque…
Siena - Ostiaria del Vaticano 2 a 1: una di meno e tre punti in più. Riaprite immediatamente gli stadi, vi prego. Perlomeno in casa, con 16.000 posti a sedere credo ci sia la possibilità di sistemare 1.500 persone senza far correre loro nessun rischio. Sulla spiaggia di Follonica un mese fa potevamo dire la stessa cosa?
…su quei gradoni (prima o poi), lì ci troverai!
Mirko
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