La prima volta che sentii nominare Covid19, pensai ad un nuovo pianeta. Di quelli scoperti nella zona che gli astrofisici identificano come abitabile e che si trovano ad anni luce di distanza da noi. Si trattava invece del termine scientifico per definire un particolare ceppo di Coronavirus. Nella fattispecie, quello partito dalla città cinese di Wuhan e che si sta diffondendo in tutto il mondo. Il Covid19, oltre ad aver stravolto l’economia a livello globale, cancellato eventi sportivi, concerti e messo la vita di qualche miliardo di persone in standby, ha contagiato un numero indefinito di cittadini uccidendone per ora quasi 200.000. Per far fronte alla crisi, è già da un po' che siamo costretti a vivere in un regime d’emergenza definito di lockdown. Mentre la situazione si evolve, i telegiornali non parlano d’altro, cercando di tenerci aggiornati sugli sviluppi e le ordinanze governative si susseguono con la frequenza con cui la Barilla battezza un nuovo frollino uscito dalle macine del Mulino Bianco.
Le regole a cui dobbiamo sottostare per evitare la diffusione del contagio hanno quasi azzerato gli incontri fra umani. Ci concedono di recarci a fare acquisti di beni di prima necessità una volta a settimana ma soltanto se muniti di lasciapassare ministeriale, guanti e mascherina chirurgica. E’ permesso uscire ogni tanto per respirare una boccata d’aria e sgranchirsi le gambe intorno all’isolato a condizione che si mantengano le distanze di sicurezza. Bisogna però fare attenzione a non eccedere il muro immaginario che ciascun cittadino ha dovuto computare al centimetro per delimitare il confine della propria quarantena. Chi viene colto dall’altra parte, o a non rispettare le direttive, rischia denunce e sanzioni pecuniarie piuttosto severe. Ci controllano nelle strade pattugliate dalle forze dell’ordine con l’ausilio di elicotteri e droni e pare, anche tracciando i nostri movimenti attraverso le app degli smartphone.
Non saprei con esattezza da quanto questa situazione va avanti perché è da un po’ che vivo sospeso nel limbo di una sorta di zona del crepuscolo. Tutto sembra diventato di colpo evanescente, le mie abitudini scombussolate, le giornate scandite da routine inedite e senza tempo che trascorro facendomi compagnia con i pensieri partoriti dal mio abbandono. Fino a quando la locomotiva non si rimetterà in moto, sono un vagone fermo su un binario morto in attesa che venga riagganciato al convoglio. L’unica certezza è che quando tutto ciò accadrà, nulla sarà più come prima.
Uno dei vantaggi che ho di vivere in campagna è che posso immergermi nei boschi del Chianti col mio cane senza che se ne accorga nessuno. Non sono incosciente, il mio compito si limita a stare alla larga da altri Homo Sapiens come me. Molti sono affetti dal virus ma sono asintomatici, sono gli untori, i portatori sani che hanno diffuso il morbo; entrando in contatto con i più deboli si trasformano nei loro angeli della morte.
Nel corso della mia scampagnata quotidiana ho pensato che fra poco sarà maggio, il mese primaverile che sfoggia il suo abito più bello e che ci regala l’assortimento di fiori spontanei più vario. Fra poco assisteremo ad una deflagrazione caleidoscopica di colori, una festa per gli appassionati di botanica e non solo. Aprile non offre la stessa varietà ma si distingue proponendo alcune specie con petali dalle tonalità blu mozzafiato. Mi riferisco in particolar modo all’onnipresente borraggine dei campi incolti, le varietà d’anchuse e la minuscola erba perla che scorgo fare capolino in modo festoso e quasi insolente dal sottobosco. E’ di colore blu intenso con sfumature tendenti al cobalto come quello preferito dagli artisti per dipingere il manto della Madonna e che spicca nella vetrata del rosone di Duccio nel Duomo di Siena. Alzando lo sguardo, il cielo sgombro di nuvole è dello stesso colore e pare una volta di cristallo. Per un attimo mi sale il dubbio che da qualche parte sia andata in frantumi ed i fiori che si confondono fra i cespugli possono essere alcune delle schegge precipitate da lassù.
Sento il bisogno impellente di prendere qualche appunto. Prima d’estrarre il Moleskine dal taschino, mi accomodo a gambe incrociate con la schiena appoggiata al tronco d’un leccio.
Il virus in queste settimane ha avuto la forza di silenziare d’un tratto il mondo come il professore severo che oltrepassa la soglia d’un aula scolastica chiassosa. Le immagini che passano in televisione rimandano scene di città stranamente assettate ed allo stesso tempo lugubri. I mezzi pubblici che proseguono le loro corse semi vuote, le saracinesche dei negozi e ristoranti abbassate, scene notturne di colpo divenute diurne. C’è uno strano senso d’ordine marziale in tutto ciò. Gli italiani in fila indiana mascherati e distanziati gli uni dagli altri come se di colpo si fossero trasformati in sudditi britannici di sua maestà in coda alla fermata dell’autobus. Il mondo si è di colpo rovesciato. Possiamo entrare in banca soltanto come rapinatori a volto coperto ed i furbetti non sono più quelli che timbrano il cartellino e restano a casa ma coloro che cercano di raggiungere il posto di lavoro di nascosto.
Se molte delle attività ed i marchingegni inventati dagli uomini si sono fermati, di contrappunto, Il dinamismo della natura prosegue inalterabile ed in pieno swing fregandosene dei nostri problemi. Il bosco è tutto un gran fremere, percepisco grandi movimenti fra le frasche, il ronzio delle api operose che si ficcano con zelo a testa in giù nelle corolle del biancospino è quasi assordante. La ghiandaia in volo che crepita come la strega di Biancaneve, il fagiano col suo richiamo a presa in giro ed il bramito degli ungulati in amore. Gli unici indizi che potrebbero suggerire che siamo nel bel mezzo d’una crisi epica è il cielo libero dalle scie degli aerei e l’assenza dello stridio ferroso prodotto dai cingoli del trattore di Gosto in lontananza.
In poche settimane l’acqua dei canali di Venezia si è riempita di pesci e per la prima volta si riescono a vedere i fondali, a Roma le polveri sottili si sono dissolti come caffè solubile, a Genova i delfini si sono spinti indisturbati a performare le loro capriole sulla riva ed a Milano la cortina di smog si è alzata come il sipario d’un teatro mostrando la facciata del Duomo anche a chi prima in fondo alla platea faticava a scorgerla.
Se il virus riuscisse a farci fuori tutti, forse soltanto i cani rimpiangerebbero la fine ingloriosa dei Sapiens. L’ambiente col tempo si riprenderebbe ciò che gli spetta e che senza chiedere il permesso gli abbiamo sottratto con ferocia. A confronto con altre specie che hanno dominato la Terra per decine di milioni di anni, la nostra presenza sarebbe risultato come un passaggio effimero se non addirittura svelto come il flash d’un lampo. Siamo qui all’incirca da “solamente” 300.000 anni, da 70.000 abbiamo cominciato ad avere una consapevolezza cognitiva, da pressappoco 10.000 sono sorte le prime civiltà e da un secolo e mezzo abbiamo incominciato il sacco, depredando, abusando, inquinando e distruggendo la flora e la fauna con cui invece avremmo dovuto convivere e condividere le risorse. Siamo nati vegetariani e prede ed in poco tempo ci siamo abbarbicati su per la scala alimentare trasformandoci in efferati predatori onnivori, riuscendo nell’impresa non facile di snaturare l’ordine ingarbugliato e biologico delle cose. La nostra ascesa ha sconquassato l’esistenza di molte altre specie portando all’inevitabile estinzione in massa di centinaia di migliaia di esse.
Le religioni hanno contribuito al nostro pressapochismo facendo credere che il mondo è umano-centrico, che siamo la creatura più meravigliosa e perfetta e per questo possiamo godere di privilegi precluse ad altre specie. Non potrebbe essere altrimenti perché siamo stati addirittura creati ad immagine somiglianza del Dio che pretende d’essere glorificato per tutte le cose che ha concepito per noi e di cui possiamo abusare e consumare a nostro piacimento. Ci ama incondizionatamente a tal punto che anche comportarsi negativamente non influisce poi più di tanto sul giudizio finale. Per ottenere il lasciapassare per lo Shangri-la dove ci riuniremo con i nostri cari, fra pascoli e fiumi che scorrono colme di latte e miele, è necessario pentirci delle nostre malefatte. Possiamo farlo anche in zona Cesarini sul letto di morte. La cosa più importante è riconoscere che il Dio della propria tribù è l’unico e che le deità in cui credono gli altri sono fasulle. Se non lo fai, nell’aldilà finirai torturato in eterno. Tutto gira attorno a noi e se il bello viene dopo, per quale scopo dovremmo curarci del presente e prendere cura del nostro ambiente? Parafrasando il filosofo Reeves: l'uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una natura visibile senza rendersi conto che la natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando. In conclusione, l’estinzione dei Sapiens per la natura equivarrebbe ad una grande conquista, pari ad una liberazione da una spietata tirannia.
Ci diamo tante arie senza renderci conto che nell’economia e negli equilibri planetari quella minuscola ape che osservo posarsi sul fiore d’un corniolo è indubbiamente più importante di ciascuno di noi. Se sparissero loro la natura di colpo subirebbe uno sconvolgimento apocalittico, cesserebbero di esistere quasi tutte le piante ed i frutti e si assisterebbe ad un’estinzione di massa ancora peggiore del Cretaceo, quando la Terra venne colpita da un bolide gigantesco venuto giù dallo spazio. Siamo meno importanti d’un insetto.
La mia quarantena è fatta di lontananza, di aria sana che respiro, di meraviglie d’una primavera insolitamente calda. Inabissandomi qualche ora nella natura rigogliosa, mi sento risucchiato fra timori e preoccupazioni come le bolle di detersivo che mulinano attorno al drenaggio prima di finire attratte dalla forza di gravità dello scarico. Riempio il mio tempo libero leggendo libri che non sapevo neanche di possedere, pulisco la casa in punti inesplorati, sgancio mensole e sposto mobili scoprendo pareti che non vedevano la luce da lustri. Il mio cellulare squilla di rado, adesso che si potrebbe stare di più al telefono a chiacchierare con i vecchi amici lo faccio ancora meno di prima. Sarà forse perché mi sento un passeggero nella stessa barca e sentirci per parlare della mancanza di mascherine, degli aiuti che non arrivano, delle code al supermercato, delle nostre incertezze sarebbe aggiungere ancora più angoscia al fragile equilibrio che a fatica sto cercando di far diventare la mia corazza.
Ad una certa ora a reti unificate ascolto il bollettino dei nuovi contagi, dei ricoveri, dei morti che sembrano non diminuire mai. Una guerra combattuta nelle corsie degli ospedali diventate le trincee dove si affrontano il nemico invisibile, i medici e gli infermieri che sono i nostri soldati al fronte. Un conflitto che mi fa sentire inutile perché non posso fare nulla se non stare inerme. Il mio contributo si limita a non muovermi. Mi sento come un bebè ingabbiato nel suo mini box.
Siamo partiti con la curiosità nel vedere ciò che accadeva nella lontana Wuhan certi che il virus non fosse cosa nostra. L’Estremo Oriente era troppo distante per poter rappresentare una vera minaccia. L’unico accorgimento era stare alla larga dai cinesi, incluso Beppe Wong nato a Prato che si esprime in toscano stretto e che la Cina non l’ha vista neanche col binocolo. Quando ci siamo accorti che il virus si era intrufolato fra noi, la paura di subire un danno economico si è trasformato nel diniego riguardo la sua pericolosità; fermare un nazione intera per una banale influenza sarebbe stato da folli. E’ subentrata la rabbia e la caccia al paziente uno, l’untore responsabile che pare non fosse cinese ma un tedesco di passaggio. Chi fosse veramente non lo sapremo mai ed arrivati a questo punto è irrilevante.
Per dimostrare d’essere più furbi del virus, se non ci permettono d’andare a lavorare, per esorcizzarlo e dimostrare d’essere più forte, molti italiani hanno deciso di fare le valigie ed hanno portato bambini e nonni a sciare o a trascorrere un periodo alla seconda casa al mare. Con i primi morti è sopraggiunto il panico, l’obbligo di restare chiusi in casa con la promessa rassicurante che andrà tutto bene. I primi giorni sono andati in scena show e concerti dai balconi condominiali fra applausi, tripudi di tricolori, un patriottismo che non si vedeva dal periodo del ventennio. Scene che hanno fatto il giro del mondo che osservava con fare saccente i comportamenti dei nuovi untori; i soliti italiani faceti ma così incapaci da non riuscire neanche a tenere a bada un virus. Così mentre noi rimanevamo rinchiusi gli altri paesi hanno sbarrato le nostre frontiere, cancellato i voli da e per l’Italia e con fare presuntuoso continuavano a riempire stadi, teatri e concerti.
Il Covid19 è un virus democratico, lo definirei socialista perché non fa distinzioni fra classi ed è soprattutto un nemico subdolo ed astuto. Così dopo qualche giorno di baldoria, lungo lo stivale le bandiere sono state riposte assieme alle chitarre e le trombette ed i paesi che credevano d’essere immuni si sono trovati pieni di contagi anche loro. Non eravamo fessi noi e non erano furbi gli altri. Déjà vu, anche loro hanno assalito i supermercati con le stesse scene di panico, anche loro hanno adottato le nostre misure e si ritrovano rinchiusi con la stessa sensazione di sconforto.
Adesso si vive con la paura che lo Stato ci abbandoni o che lo abbia già fatto. Mentre molti italiani sono in attesa di ricevere i primi sussidi, il popolo dei social trascorre il tempo postando meme ironici per convincere i boccaloni che tedeschi e francesi avrebbero già incassato cifre da capogiro, garanzie d'assistenza ed aiuti economici. Lo fanno con lo scopo di seminare zizzania, farci sentire gli ultimi della classe e far passare gli sforzi del nostro governo come una paghetta settimanale se non una forma d’elemosina. Sono fra le tante bufale che girano in rete, per gli amanti del complottismo e delle fake news: d'altronde una situazione del genere è irripetibile, specialmente se si considera l’esercito di follower d’analfabeti disfunzionali che hanno al loro seguito.
La mia vita prima del virus scorreva fra due mondi, l’Italia, dove vivo e gli Stati Uniti, il paese con cui lavoro. Per cui è normale se dedico loro più tempo piuttosto che concentrarmi su ciò che accade in altre nazioni. Gli americani hanno visto arrivare l’emergenza da lontano sintonizzati sui canali che rimandavano le farneticazioni ampollose del loro Presidente tronfio e negazionista. Lo hanno osservato come fosse uno tsunami avanzare da oriente per poi abbattersi sull’Europa prima di riprendere il proprio cammino. Hanno avuto più d’un mese di vantaggio ma, anziché correre al riparo, è come se fossero rimasti in piedi sulla spiaggia ad aspettare che l’onda li travolgesse senza fare nulla. E’ stato sufficiente soltanto una settimana ed in un batter d’occhio l’America si è trovata ad essere la nazione con più casi e più decessi. Anche i loro cittadini sono entrati a far parte del club universale di chi deve mettersi in fila. Mentre noi entrando a scaglioni facciamo scorte di pasta e pummarola, loro la fanno per comprare armi e munizioni. Ad accomunare i paesi di ogni latitudine, l’ossessione ad accaparrare scorte di carta igienica. Se moriremo tutti, almeno lo faremo con i sederi puliti.
Ad aprile, quando inizia a calare il sole, la luce pare squagliarsi sui rami degli alberi in fiore, come se la natura la stesse coccolando con tenerezza e contrizione preparandola al sopraggiungere delle tenebre. Rimango ancora un po’ a respirare i profumi, riconosco l’essenza della liquirizia rilasciato dall’elicriso e la finocchiella selvatica che si mescola ai primi fiori di ginestra che rimandano un effluvio pungente. E’ un potpourri d’essenze famigliari che scivolano tutto intorno e che donano quel confortante senso di completezza. Ripongo penna e Moleskine perché fra poco farà buio ed è l’ora di rientrare nella mia quarantena.
Dario Castagno
Bellissimo. Un concentrato di primavera ed umanità (quella migliore).
RispondiEliminaAB
Grazie. Si vede che un briciolo d'umanità lo posseggo anche io dopo tutto.
EliminaDario, bello! Io invece sto in centro e non ce la faccio più, anche col Povereskine. Leggo i dati e non capisco perché devi stare ancora agli arresti se la mia regione presenta numeri beassissimi, e la mia provincia addirittura prossimi agli zero nuovi casi. Non credo di mancare di rispetto a nessuno se dico che, laddove si può, si debba riaprire tutti i negozi e consentire spostamenti almeno nella provincia, se non nella regione.
RispondiEliminaRoberto S.
Il non capire mi pare un denominatore comune che accumuna anche coloro che dovrebbero capirci qualcosa.
EliminaC'è chi ha il dono della narrativa e tu sei uno di loro, l'ho riletto più volte.
RispondiEliminaTi ringrazio.
EliminaBravissimo davvero complimenti hai veramente un dono
RispondiEliminaAlice e Sonia