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giovedì 11 luglio 2019

Un bagno in burqini

Caldo. Afa. Spiaggia. Sole. Piscina. Acqua. Ciaff! Ah bene... ma quale costume mettersi?
A fine giugno mi ha assai colpito una notizia proveniente da Grenoble. Alcune dimostranti femministe francesi hanno effettuato un bagno in piscina nella città francese indossando anche il "costume integrale" denominato burqini, tipico di certa cultura e società araba, come atto di disubbidienza civile per protestare contro i regolamenti delle piscine pubbliche, che vietano assolutamente l'utilizzo di tale foggia. Ed indirettamente per rivendicare il diritto delle donne di utilizzare il costume che esse vogliano.
Solo qualche anno fa, durante le manifestazioni delle cosiddette primavere arabe, gruppi massicci di donne, in Algeria, Tunisia e Marocco, avevano osato sfidare la società araba andandosi a fotografare sulle spiagge mediterranee in bikini, assolutamente vietato in loco per questioni morali. Tutte dovevano andare in spiaggia indossando il burqini, in questo (e tanti altri) caso esempio di repressione verso la donna araba, costretta ad incastrarsi in qualcosa di innaturale, soprattutto se visto dagli occhi di un occidentale.
Burqini, burqa, niqab: capi di vestiario, ma anche simboli.
Il velo totale non ha radici islamiche, questo deve essere ben chiaro. Le radici sono pastorali, trattandosi di uso che le società preislamiche mediorientali avevano già prescritto alle donne, impossibilitate ad una vita paritaria rispetto all'uomo-padrone. Nel racconto (spesso artefatto) della storia occidentale e di parte del mondo islamico "integralista" (termine improprio, ma proposto per farci meglio capire), il burqa è poi divenuto simbolo per eccellenza dell'Islam intero, giusto per avvelenare i pozzi della conoscenza.
In ogni caso, il niqab ha rappresentato il fulcro della lotta delle prime formazioni che puntavano all'emancipazione della donna nel mondo arabo. Perché proprio dietro ad esso venivano perpetrate violenze fisiche e psicologiche, rappresaglie morali, repressioni culturali. Il primo femminismo arabo, soprattutto, puntò il niqab come essenza di tutti i mali della società patriarcale araba; molte donne furono punite con la violenza, alcune furono uccise per rimuovere questo pastrano, che allora come oggi allontana fisicamente ed emotivamente molte donne dal contatto con la realtà ed il tempo che scorre.
In molti paesi arabi, ancora oggi, le donne non hanno possibilità di scelta: Arabia Saudita, Pakistan Afghanistan, mondo salafita, mondo wahabita... in questi casi in milioni devono coprirsi integralmente, senza opzione alternativa.
Mi chiedo quindi se l'appello delle femministe francesi - che pure lanciano un giusto messaggio (la libertà di scelta da mettere in mano alle donne) - sia consono all'utilizzo proprio dello strumento massimo di tortura per chi tale scelta proprio non la ha avuta e non la ha. Mi chiedo poi se tutto ciò non sia altro che l'ennesimo tilt in cui ricadono sempre più frequentemente, stante la complessità della realtà che ci circonda, certi paladini dei diritti civili ad oltranza, che rischiano di fare le femministe, come in questo caso, con il niqab delle altre.

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