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venerdì 12 ottobre 2018

Il BAR, il VAR, il TAR

Una delle cose più tristi del calcio moderno è che la gente ha sempre meno voglia di parlarne. Chi ancora va allo stadio e non rimane invischiato nelle terre paludose del tappeto di sala arriva sui gradoni, guarda la partita, roga un pochino se le cose vanno male e poi scappa a casa. E nemmeno arriva in Piazza della Posta che pensa già ad altro. Le trasferte, poi, sono diventati polverosi frammenti di un passato remoto, da rievocare il sabato sera in pizzeria, ma solo dopo la quarta grappa. 

Allo stadio siamo sempre i soliti e lo spettatore occasionale lo riconosciamo subito, anche perché spesso o non conosce i nomi dei giocatori o si siede proprio quel preciso seggiolino che occupi con orgoglio da Siena - Sangiovannese di Serie D, quando subito dopo il fallimento dell’amata Robur, insieme a molti altri, decidesti di cambiare aria e zona, per provare a seguire le partite con una visuale nuova, come se mutando la prospettiva, si modificasse anche il panorama. Ultimamente poi anche i ragazzi stranieri in gita a Siena hanno smesso di venire in curva. Peccato, perlomeno facevano volume. Brutta cosa il tempo che passa. 
Belle invece quelle discussioni del lunedì mattina dentro al BAR della scuola o in quello vicino casa, durante le quali si discuteva con enfasi di una vittoria acciuffata per i capelli al 94’ o si rimuginava delusi sull’ennesima sconfitta. Perché il tifoso plasma e modella la propria esistenza sulle sorti della squadra e non ce la fa proprio a separare le due cose. Ecco che di riflesso un bel risultato farà apparire la lunga settimana lavorativa sopportabile, leggera e quasi piacevole, mentre un riscontro avverso tenderà ad ammassare brutti nuvoloni neri sul cielo già reso plumbeo dall'idea di lunedì. Rigori, fuori giochi, somma di ammonizioni; e le ripartenze si chiamavano contropiedi. Il posto per le donne e la politica non c’era e forse non c’è mai stato. Di solito il discorso cominciava sempre dal solito stolto che attaccava una noiosa tiritera su Juve, Milan, Inter, Savicevic, Dino Baggio e Cinciripini per poi finire immancabilmente sulla Robur, rispetto al quale però uno parlava (l’unico che andava allo stadio, spesso considerato sfigato) e tutti gli altri ascoltavano. Anche perché diciamoci la verità, prima del 2000 essere tifosi del Siena non è che fosse granchè di moda; un po’ come ora, ma d’altra parte si sa, la storia è ciclica e spesso si ripete. Per questo aspetto con fiducia che questi decenni che ci separano dalla prossima Serie B trascorrano in fretta. 
B come BAR. Il BAR era il luogo deputato ad ospitare i migliaia di processi del lunedì, tempio unico e imparziale nel quale cimentarsi sugli esiti degli appuntamenti calcistici domenicali. Perché, è bene ricordarlo, al calcio si giocava la domenica! E tutti al solito orario: dalla terza categoria alla Serie A. Solo agli amatori e all’under 18 era concesso il sabato pomeriggio, mentre tutte le altre categorie giovanili erano confinate alle prime luci dell’alba del dì di festa. E giocare a San Prospero di mattina a gennaio, quando ancora il sole non aveva fatto capolino da sopra Fortezza e le pozzanghere di acqua erano sempre gelate, più che un divertimento sembrava una condanna. Il BAR era una seconda casa o forse la casa era un secondo BAR. Non contava se fosse una società di contrada o il circolo ARCI: nascosti dietro quella coltre di fumo azzurrina, che coloriva i muri di giallo (e anche i polmoni) e immersi nell’odore di caffè appena macinato, ci sentivamo protetti e al riparo dai tanti guai di un mondo che iniziava a cambiare a ritmo di PIL e tripla A. Crescendo invece, proprio quando avremmo avuto la possibilità di entrare finalmente in quei discorsi da BAR che facevano i grandi e addirittura prendere la parola per dire la nostra, la televisione ha rovinato tutto! Sempre meno tifosi allo stadio, sempre più divani affollati. Con il dilagare degli abbonamenti poi, la gente ha anche smesso di andare al BAR, col risultato che in molte vie dopo le 20 di sera sembra essere tornato il coprifuoco nazista. Guardare una partita anziché viverla, non è affatto la stessa cosa, ma vuoi mettere la comodità? Poco importa se mancano i profumi dello stadio, che ad ogni incontro sembra rinascere, i suoni di un mondo parallelo troppo spesso filtrato dalle telecamere, e persino i colori appaiano opachi e trasparenti in confronto alle tonalità sgargianti dei tanti super spot tutti nastrini e paillettes, che accecano senza far vedere.
Seduti sul precipizio abbiamo visto la nostra passione cominciare l’inesorabile caduta verso un buco nero, attratta da una forza di gravità alimentata da fiumi di denaro. E così, anno dopo anno, mentre la televisione da pay tv diventava pay per view - anche se non ho mai capito la differenza - e la vecchia Koper Capodistria passava da Tele + per arrivare a Sky, abbiamo visto prima il campo entrare prepotentemente nelle TV e poi addirittura le TV entrare in campo. E pensare che doveva essere una rivoluzione positiva. 
Dal BAR al VAR il passo è stato lento ma automatico. Le discussioni alla fine sono state stroncate sul nascere, in una sorta di democrazia perfetta, nella quale un manipolo di eletti osservano decine di volte una singola azione, per garantire la massima imparzialità e trasparenza agli azionisti di maggioranza, ovvero quell’esercito di disperati abbonati/scommettitori incalliti, che ad ogni fine settimana riversano nei conti di chissacchì centinaia di migliaia di euro sotto forma di promesse di felicità, puntualmente disattese. Per me, romantico incallito del "ma non era fuorigioco?" sapere che dopo ogni goal c’è un tizio dotato di potere temporale e spirituale, manco fosse il Papa nel medioevo, in grado di sovvertire il normale ordine delle cose ed il loro naturale scorrimento, in grado quindi di frustrare le gioie dei tifosi, o comunque di diluirle, sterilizzando le emozioni, mi atterrisce. Odio il calcio moderno, perché aspettare ad esultare dopo un goal è maledettamente assurdo, come un pezzo dei Guns and Roses durante una lezione di yoga. 
Per fortuna, noi gente poco seria di Serie C non abbiamo di questi problemi. O meglio, ce l’avremmo avuti (ma c’è il VAR in Serie B?), se tutto fosse andato come doveva. Invece domenica prossima torneremo di nuovo ad Alessandria, ancora una volta in Serie C, a causa delle colpe evidenti di un tribunale "occulto" che brigando nelle penombre dei corridoi nascosti dei palazzi importanti ha impedito alla giustizia di fare il proprio corso e rendere dignità a chi si era meritato giorno dopo giorno il proprio pezzetto di felicità.
BAR deserti, Tv, scommesse e tribunali: se penso a che brutta fine ha fatto il gioco più bello del mondo, capace di scaldare i cuori e aggregare persone appartenenti a classi sociali distinte, etnie, religioni e contrade diverse, con storie e passati distanti, mi viene da piangere. 
Il calcio sta morendo, e la mutazione del BAR in VAR prosegue inesorabile verso il TAR e nessuno sembra in grado di arrestarla. E forse altro non è che il primo passo di una cancrena dilagante, nella quale i soldi conteranno sempre di più dei sentimenti. Il progresso, mitologica chimera degli ottimisti, non si potrà certo arrestare - giammai! - perché la vita è così che dovrà andare. I furbi ingrasseranno alla faccia degli stolti, che confinati nella loro miseria stenteranno. Dal BAR al TAR passando per il VAR, come una triste filastrocca, è la parabola discendente di un calcio sempre più lontano dalla persone di tutti i giorni (quelle che fanno la storia e vanno in pensione con la Fornero). Se una volta potevamo parlare di calcio appoggiati ad un bancone scartando un boero, con la speranza magari di vincerne al massimo un altro, adesso possiamo soltanto aspettare che un tizio davanti ad un monitor valuti per noi se essere felici per una sera o se un altro tizio chiuso dentro un tribunale (non) decida per noi se essere felici per sempre. E intanto a noi non c’è rimasto nulla. Morto il BAR, viva il TAR. E a niente servirà il VAR, se non a farci rivedere migliaia di volte le nefandezze commesse da esseri ignobili in tre mesi di scempi. Così è, anche se non vi pare, perché in fondo tutto va, come deve andare.

Alessandria - Siena: andiamo a riprenderci quei due punti lasciati a cazzo di cane lo scorso anno, contro una delle squadre più antipatiche della Serie C. Portiamo un po’ di colore in quel triste grigiore! Torniamo a vincere, per noi e per controvertire un destino avverso.

... tira in porta e marca il gol!


Mirko

4 commenti:

  1. Mercoledì 17 Siena - Cuneo. Non si vuole spostarla via ......
    Meno spettatori , meno polemiche....

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  2. Cosa ci fa Pasquale Pane ad allenarsi con la squadra? Se ne deve andare!

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    1. Ha il contratto anche per quest'anno...la legge prevede che si debba far allenare...

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  3. Mr SNAI vattene! Venduto!

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