Viaggetto estivo in Albania quest'anno. Lo avevo nel mirino da diverso tempo ed infine il piccolo sogno è stato coronato.
Terra di eccezionali contrasti l'Albania del 2018. Ecco, se dovessi riassumere in una immagine l'idea che mi sono fatto di questa aspra terra, essa sarebbe data da una foto panoramica di Piazza Skanderbeg a Tirana, che pare oggi uscita dal set dello psichedelico "Brazil". Da una parte un grattacielo storto non finito, la statua dell'eroe nazionale a cavallo come Garibaldi alla Lizza, giardini rigogliosi; dall'altra palazzi fascisti, costruzioni realiste, una chiesa ed una moschea. In mezzo, un brulicare di persone, chi a piedi, chi in bici, chi a cavallo di un ciuco, chi in suv.
No, probabilmente non ho ben capito quale logica esista in Albania in questo istante storico.
Diceva Pasolini che lo sviluppo è un concetto di destra, voluto da chi produce beni superflui, ma che avviluppa anche i consumatori, la massa portatrice dei valori legati al consumo. Ed invece il progresso lo vuole chi lavora e dunque è sfruttato, gli operai, i contadini, gli intellettuali.
Dovessi semplificare, l'Albania è in questo momento in uno stato di forte tensione fra questi due estremi, ma saldamente spostata verso l'idea e la voglia (a tratti sfrenata) di sviluppo.
La stessa tensione la si nota benissimo nei tratti antropologici e sociali degli Albanesi contemporanei: tanto bestiali e fuori regola per alcuni tratti (esempio: l'uso deregolamentato delle automobili), quanto dolci e candidi in altri (esempio: la gentilezza nell'accoglienza dello straniero).
Scramble verso l'utopia degli investimenti stranieri (le aziende che delocalizzano pagano solo il 15% di tasse) e rimandi ai dettami di sangue del codice Kunun. Affollate spiagge caraibiche ed aspre vette montane a picco sui paesini diroccati. Città storiche ottomane ed orgia di cemento spalmato a casaccio.
Questi ed altri esempi compongono il puzzle dell'incoerenza, dell'impermanenza, del non finito.
Ma un minimo comune denominatore, probabilmente, esiste: l'odio violento verso l'ex regime comunista.
Enver Hoxha è riconosciuto (forse con Ceausescu) come il più folle dittatore dell'Est Europa del dopo guerra. Intelligente ma deviato, aveva disseminato sul territorio 170.000 bunker (ma avrebbero dovuto essere 700.000) nella sicurezza che con essi avrebbe vinto la guerra contro USA e URSS, che egli designava come nemici allo stesso livello. Tirana oggi è il contrario di ciò che egli aveva imposto: case colorate contro il compulsivo utilizzo del bianco e nero, grattacieli contro edifici bassi, chiese e moschee contro l'iconoclastia religiosa, unione dei territori albanesi contro il divisionismo più estremo. Oggi, davanti alla ex casa di Hoxha (che lo Stato tiene chiusa, con cancello sigillato), nel quartiere un tempo di appannaggio delle elite di partito ed oggi diventato il più trendy della capitale, si staglia l'unico franchising americano in terra albanese, quello del Kentucky Fried Chicken, cacofonico come non mai. Un cazzotto nell'occhio messo lì, a sfregio, come contraltare della rigorosa residenza del dittatore. Simbolo di un Albania giovane che fa le corse verso l'ingresso in Europa, come un treno senza freni e forse senza conducente. Un Albania che gira in vertiginose minigonne e cellulari ultramoderni, che mangia porzioni pantagrueliche di cibo, quasi a compensare la fame dei genitori, che fino alla metà degli anni '90 non sapevano neppure cosa fosse una banana.
Insomma, mai come stavolta la sensazione è stata di procedere verso il viaggio, in assenza del fattore tempo. Fra una pannocchia venduta a bordo strada dai contadini ed un caffè nel grattacielo dello Sky Bar girevole a Tirana. Fra architetture psichedeliche ed un vecchio tassista, che rimpiange i due anni di corso per la patente imposti durante l'epoca comunista.
"Un lavoratore vive nella coscienza l’ideologia marxista, e di conseguenza, tra gli altri suoi valori, vive nella coscienza l’idea di «progresso»; mentre, contemporaneamente, egli vive, nell’esistenza, l’ideologia consumistica, e di conseguenza, a fortiori, i valori dello «sviluppo»".
(P. P. Pasolini, "Scritti corsari", 1973)
Ti faccio sinceramente i complimenti almutanabbi per il tuo reportage.
RispondiEliminaCon pennellate d'autore, hai rappresentato le contraddizioni di una societa' che, uscita fuori da una dittatura, sta per entrare a pieno titolo in un'altra: quella del consumismo sfrenato al soldo del pensiero unico di un'oligarchia mondiale globalista e liberticida.
Il pericolo oggettivamente esiste. Certo è che è comprensibile che ciò avvenga, sia come reazione a ciò che c'è stato solo qualche anno fa, sia perché la comunicazione di chi ora gestisce il potere è netta e perentoria: UE!
EliminaMolto interessante. Complimenti!
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