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giovedì 5 aprile 2018

Romanzo criminale

Ormai da mesi, il dibattito sulla vicenda David Rossi sembra essersi arenato in una sterile contrapposizione tra sostenitori della tesi dell’omicidio e chi invece si batte per l’ipotesi del suicidio.
Questa polarizzazione così netta, che a mio avviso offusca un po’ la sostanza del problema, è forse conseguenza anche di una guerra di posizione venutasi a creare negli ultimi tempi tra la grande comunicazione massmediologica esterna alla città e i cosiddetti narratori “dal basso”, i blogger di Siena.
E’ noto come la grande comunicazione nazionale (lasciamo stare quella interna …) non abbia mai affrontato in modo critico il “Sistema Siena”, quando questo, alcuni anni fa, appariva incrollabile. Si sprecavano anzi le apologie della piccola “città modello” in cui tradizione e modernità si coniugavano in modo virtuoso. All’epoca, solo alcuni blogger ben noti a livello cittadino avevano il coraggio di denunciare il carattere fallace di questa perfezione. 
Dopo la crisi del Monte dei Paschi ed il suicidio/omicidio di David Rossi (vero evento spartiacque della fresca storia di Siena, o “evento periodizzante” come lo ha definito in modo impeccabile Raffaele Ascheri in una recente trasmissione), l’approccio dei media nazionali nei confronti della città è radicalmente cambiato. Dall’apologia si è infatti passati alla critica, e di lì all’aggressione scandalistica: molti (forse troppi …) instant-book o libri d’inchiesta scritti su MPS e David Rossi; Carolina Orlandi, figliastra di David Rossi, che esordisce a sorpresa nella saggistica martirologica, genere molto fiorente nell’ambito della grande editoria, con un libro maledettamente simile a quelli scritti da Benedetta Tobagi o da altri figli di vittime del terrorismo o delle mafie; infine l’epopea a puntate sul suicidio/omicidio di Rossi - e da ultimo sui festini gay dei potenti senesi - tirata su dalle Iene. Le intromissioni, le forzature, le manipolazioni spettacolarizzanti non sono certo mancate. 
Inutile negare che negli ultimi anni - e soprattutto dal 2013 ad oggi - pool di professionisti della grande comunicazione si siano impadroniti in modo violento e disinvolto di quanto prima solo un club ristretto di lettori ricavava con difficoltà da blog o libri ritenuti scomodi, spesso acquistati clandestinamente. L’omertà dei senesi, tanto per non andare lontani, da motivo di riflessione per quei pochi che frequentavano coraggiose autopubblicazioni si è trasformato in un must da proscenio scandalistico, alimentato dalla potenza di fuoco dei media tradizionali. 
Tutto questo, però, ha visibilmente prodotto un cortocircuito nella galassia comunicativa della città, con alcuni effetti paradossali e di rovesciamento di ruolo, che merita un po’ di attenzione. Da tale punto di vista, il dibattito sulla morte di David Rossi fornisce indicazioni molto significative. In questo caso, ad assumere una posizione sostanzialmente conservativa ed in fin dei conti coerente con le conclusioni raggiunte dalla magistratura, ossia con l’ipotesi del suicidio, sono proprio i blogger più agguerriti, quelli che all’epoca della grandeur del Sistema Siena sperimentavano sulla propria pelle le aporie, le parzialità, le strumentalizzazioni del potere giudiziario. Al contrario, è la grande comunicazione che cavalca l’ipotesi più eversiva e complicata dell’omicidio; ipotesi, senza dubbio, estremamente sgradevole (più sgradevole dell’ipotesi del suicidio, per intenderci) a quanto rimane ancora oggi in piedi del Sistema Siena. Insomma, a proposito del caso più delicato e grave della storia cittadina del nuovo secolo, che al di là di improponibili rivalutazioni etiche della vittima dovrebbe perlomeno gettare una luce persuasiva sulle connotazioni anche CRIMINALI del cosiddetto Sistema Siena, l’opinione dei blogger più noti (di coloro che parlavano quando tutti tacevano e che hanno pagato in prima persona la rottura dell’omertà imperante) coincide in modo allarmante con quella in fondo gradita alla parte più conservatrice - ed ancora viva - dei poteri forti della città. Quella parte che minimizza o addirittura definisce, con arrogante supponenza, “tutta una minchiata” o “cazzata” quel sommerso e quel rimosso morale (ma anche criminale) assai ingombrante che ha avuto una parte non equivocabile nel recente passato senese. Curioso, molto curioso per un osservatore esterno. 
Ma come? All’epoca della “Siena da bere” si costruivano inchieste clandestine, artigianali, intuitive, basate sullo scandaglio di quanto le magistrature, i giornali non riportavano o su testimonianze anonime e talvolta interessate; inchieste vitali, di grande apertura, ma non certo impeccabili sul piano scientifico. Vitali forse proprio perché non impeccabili. Adesso, invece, a proposito di Rossi, si studiano con scrupolo e metodo scientifico le dichiarazioni sui quotidiani, le carte della magistratura, assumendoli come unica fonte attendibile per la ricostruzione della sua morte (sic…). Si sottovalutano invece immagini abbastanza eloquenti tratte da riprese interne, lacune ed omissioni, perizie condotte per conto della famiglia sulla dinamica dei fatti che dovrebbero indurre almeno qualche cautela prima di approdare a conclusioni definitive. Qual è, dunque, il motivo per cui alcuni blogger da battaglia hanno imboccato questa direzione tutto sommato tranquillizzante e normalizzante proprio sulla vicenda Rossi, la madre di tutti i misteri senesi? Francamente rimaniamo un po’ spiazzati e senza risposte. La loro è forse una comprensibile e naturale reazione all’invadenza dei grandi media perché, un po’ come ne L’asso nella manica di Billy Wilder, hanno visto schiere di reporter foresti e spregiudicati o mandrie di giornalisti d’inchiesta portati dalla piena invadere quel territorio che si erano ritagliati rischiosamente negli anni del silenzio e dell’omertà? O forse il grande intrattenimento scandalistico non c’entra nulla ed a muoverli è semplicemente la legittima preoccupazione che una morte violenta possa in qualche modo riabilitare David Rossi? Non riesco, però, a trovare convincente neanche questa seconda ipotesi. Indubbiamente nella vicenda di David Rossi i fanatici del martirio esistono, più o meno interessati, più o meno in buona fede, sicuramente pericolosi, ma questo non deve comportare che farsi venire dei dubbi sul carattere violento della morte di Rossi equivalga automaticamente a riabilitare lui e quello che rappresentava. Perché su questo punto, su questa separazione di ambiti, non si riesce ad essere lucidi? Perché si è giunti a questo facile schema? A chi giova creare ed alimentare un’equazione tanto semplicistica? Forse ai chiassosi media nazionali, ma non certo a chi contribuisce eccome a formare l’opinione dei senesi, vista anche l’imminenza di elezioni amministrative che dovrebbero rappresentare un’occasione storica per voltare pagina davvero sul piano politico e lasciarsi alle spalle un sistema che non basta solo denunciare.
La storia di David Rossi, da qualsiasi parte la si osservi o a qualunque ipotesi si voglia prestare fede, gronda violenza, c’è poco da fare. Che si tratti di omicidio, o di induzione al suicidio, non si può certo riportare quella morte alla categoria in fondo tranquillizzante della patologia psichica, la depressione, l’autolesionismo, scatenata da un concorso di fattori straordinari (l’inchiesta su MPS, il timore di perdere la propria influente posizione, la recente morte del padre, i problemi di salute della compagna, un mutuo ancora da pagare per una sontuosa abitazione, ecc.). Chiunque abbia anche solo una conoscenza sommaria di queste patologie, sa benissimo quanto possano innescare comportamenti autodistruttivi non necessariamente in presenza di occorrenze negative della vita. Sono infatti patologie fisiologiche, quasi invalidanti, che possono sconvolgere chi ne soffre persino nei momenti di massima felicità e realizzazione. Perché, dunque, avrebbero dovuto avere la meglio su Rossi, proprio nel momento in cui voleva “liberarsi di alcuni pesi” e sosteneva di sentirsi seguito? C’era un clima violento ed intimidatorio attorno a David Rossi, questa è la verità, e lui era percepito come l’ “anello ormai debole” di una catena che aveva molto da nascondere. Questo non lo riabilita affatto, beninteso, perché di quella catena lui aveva fatto e faceva parte integrante. Ma è proprio l’immagine, la memoria di quella violenza, di quell’atmosfera criminale che non dovrebbe andare smarrita, che forse si dovrebbe tentare di ricostruire anziché soffermarsi punitivamente e puntigliosamente sulle reazioni o i comportamenti della famiglia che ha fatto riaprire il caso. Il tentativo di normalizzare una morte violenta che, suicidio o omicidio, ha comunque trovato le sue ragioni all’interno di una galassia sommersa e criminogena - e che ha avuto come vittima volontaria o involontaria chi a quella galassia doveva in ogni modo la sua legittimazione - rappresenta un danno enorme per una comunità che ha il diritto di capire meglio, e dunque di valutare anche sul piano politico, l’ambiente in cui si è trovata a vivere negli ultimi anni. Lo stesso tentativo concede invece un estremo vantaggio a quei poteri che hanno tutto l’interesse a ridimensionare - a far passare in fin dei conti come accettabile - il loro passato tossico, per proporsi ancora come le uniche forze credibili a livello politico.
Ci dovrebbe, dunque, essere una terza via per avvicinare il caso David Rossi. Forse occorrerebbe cominciare a dimenticare la sua persona, ancora capace di generare risentimenti sterili o vuote rivalutazioni, per concentrarsi sulla funzione che svolgeva all’interno del sistema, su quel ruolo e quella posizione che non rivestiva certo per meriti personali o professionali, ma che gli preesistevano, che il sistema stesso, che è sempre entità collettiva e mai individuale, aveva predisposto. Varrebbe semmai la pena di chiedersi come si fossero create certe funzioni e quali vie siano state percorse per eliminarle nel momento in cui una fragilità soggettiva ne ha compromesso l’efficacia, mettendo probabilmente in discussione un tutto che doveva tenere, a dispetto della tempesta che si stava addensando sulla banca e sulla città. Più che insistere sulla questione del suicidio o dell’omicidio, sarebbe utile pertanto ricostruire quei meccanismi criminali rivestiti di rispettabilità che creano e poi distruggono i David Rossi. Perché questi meccanismi funzionano e possono nuocere ancora. Ed il resto se lo divori pure la società dell’intrattenimento.

Folagra

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