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martedì 6 febbraio 2018

La sottile differenza

Escludendo dal mio ragionamento i campioni assoluti, domenicali Dei pagani baciati dalla fortuna geneticamente ereditata da casuali miscele di cromosomi, rispetto ai quali il popolo non può che pagare il biglietto, sedersi ai bordi del campo e strabuzzare gli occhi ad ogni giocata, la stragrande maggioranza dei calciatori credo sia gente assolutamente normale.

E se i primi fanno parte di un Olimpo dorato, fatto di comparsate a pagamento, gonne cortissime e auto sportive alte 80 cm, scendendo di categoria credo che le cose tendano grosso modo a normalizzarsi. Naturalmente anche nelle serie minori non vengono meno tatuaggi bizzarri, assurdi tagli di capelli o barbe incolte, ma grosso modo la vita riprende il suo corso regolare e la differenza tra la gente in campo e quella sugli spalti si assottiglia parecchio. Ragazzi normali, magari un po’ più fortunati degli altri, che hanno saputo sfruttare tutte le circostanza favorevoli della vita e trasformare in lavoro una passione, autoescludendosi dalla ressa delle 7 e 30 di mattina, dal pendolarismo convulso dei mezzi pubblici e dal timbro del cartellino, per regalarsi un brandello di vita unica e irripetibile. Troppi ne ho visti in questi anni, tra le liste dei convocati in Serie C, di mezzi giocatori arrivati qua più che per caso che per altro e tanti altri ne ho conosciuti seduti in curva vicino a me, intenti a fumare nervosamente lunghe sigarette francesi, mentre rimuginavano a quel legamento saltato un giorno prima del provino o a quei quindici anni vissuti senza pensare al futuro. A volte la differenza tra sognare di giocare al calcio ad alti livelli e trasformare quel sogno in realtà è veramente sottile.
La domenica pomeriggio di fine febbraio offre qualche minuto di luce in più rispetto alle precedenti. Le giornate stanno piano piano allungandosi: non siamo ancora fuori dall’inverno, ma diciamo che forse la strada è quella giusta. Ai bordi della città la gente rincasa da chissà dove, mentre dai campi l’umidità sale verso il cielo, portando verso l’alto un’aria frizzante che sa di erba fradicia e terra smossa. In attesa della cena, cammino in silenzio rasentando i muri. Il cervello galoppa impazzito verso la sorgente di ragionamenti incerti, dove il condizionale è l’unico modo possibile per coniugare i verbi di un passato appena trascorso. "È inutile andare a Roma se non vedi il Papa", amava ripeterci il Mister ai tempi dei Giovanissimi, quando per tre mesi di fila mancammo l’aggancio alla prima in classifica. Aggancio che in verità non avvenne mai. "Avete tutta la vita davanti per vincere un campionato", ci disse il presidente della società a fine stagione, mentre gli altri - gli odiati avversari - stavano festeggiando la vittoria, facendosi beffe di noi. Erano gli anni di Savoia-Siena e della Ferrari col numero 27, ma a ripensarci oggi ancora non mi è passata.
Con una pesante malinconia scesa sul cuore, continuo la mia passeggiata. Lungo i marciapiedi incontro altre persone. Uno sguardo, un sorriso, un cenno del capo: magari ci riconosciamo immediatamente, o forse sono solo io a pensarlo. Forse anche loro avvertono in fondo allo stomaco un profondo senso di delusione. E mal comune non è mezzo gaudio. Ripenso a quel campionato di tanti anni fa, perso per un punto o giù di li. Mi riviene in mente la fatica fatta per difendere il mio numero 1 dagli assalti dell’altro portiere, la paura di sbagliare nascosta dietro ad ogni calcio d’angolo, la soddisfazione di sentire il mio cognome uscire per primo dalla bocca del Mister alla domenica mattina, mentre il profumo di olio canforato irritava le narici. "Perché gioca lui e non io?", chiese un giorno il mio secondo. "Non c’è un perché", rispose il Mister. "Lui non para più di te, semplicemente sbaglia di meno". Francamente a quattordici anni non riuscii a cogliere la profondità di quell’affermazione, che incassai più come un complimento che altro. Poi però, con l’esperienza del tempo che passa, la verità di quella frase si fece sempre più largo in me, fino a diventare una piccola pietra miliare, intorno alla quale far girare qualsiasi ragionamento: perché nella vita, come nello sport, è essenziale ridurre al minimo gli errori. Per i miracoli invece ci stiamo attrezzando.
Tra i tanti sogni che avevo da piccolo, quello di difendere un giorno la porta dell’AC Siena era sicuramente quello più ricorrente. Giocare nella squadra per la quale fai tifo deve essere una cosa da far accapponare la pelle: per questo ancora mi emoziono se ripenso al Biagiotti di San Sepolcro. Ma è proprio vero che anche nella vita vince chi sbaglia di meno? Quali sono gli errori che ognuno di noi non deve fare? Sono sicuro che tutti ne commettiamo, soltanto che alcuni si limitano a quelli da matita rossa, mentre altri esagerano e rovinano tutto, lasciando una brutta riga blu su cose che magari un giorni rimpiangeranno. Cos’hanno in comune Paolo Mancini, Marco Fortin e Pasquale Pane? Forse niente, o forse tutto. Tutti e tre sono uomini normali, che hanno deciso di giocare al calcio utilizzando anche le mani, costringendosi per questo a vestire una maglia diversa da quella dei compagni. I portieri sono tutti strulli, mi hanno sempre detto. Certo, le pressioni di un mondo cattivo sempre pronto a gettarti sulla graticola, la solitudine dei lunghi minuti passati a ripensare allo sbaglio, la mancanza di una seconda possibilità, condizionano pesantemente la loro esistenza. E forse è vero: i portieri sono tutti strulli, perché uno sano di mente, giocherebbe altrove. Ma Paolo, Marco e Pasquale (li chiamo per nome soltanto per darmi un tocco d’importanza), oltre ad essere portieri della Robur e ad essere un po’ svitati per il ruolo scelto, hanno qualcos’altro in comune? Sì e no. O meglio, i primi due sì: entrambi hanno vinto un campionato, rispettivamente uno di Serie C e uno di B. Il terzo no, ci sta provando, ma le cose non vanno come dovrebbero. Una cosa che accomuna entrambi, in verità, ci sarebbe: nessuno dei tre è un fenomeno puro. I Buffon, i Donnarumma, i Perin sono fatti di un'altra pasta e anche i Pegolo sono lontani anni luce. Tuttavia, a noi comuni mortali, col bianconero tatuato sulla faccia interna del cuore, poco importa. Per noi conta soltanto il risultato scritto nel maxi schermo sopra alla gradinata. 
Ripensando al mio mister credo che ventisei anni fa avesse già capito tutto: Paolo e Marco vinsero un campionato perché sbagliavano molto di rado. Attraverso la loro sufficienza costante gettarono le fondamenta per una base solida, sulla quale i Ghizzani e i Tiribocchi costruirono un’altezza inarrivabile per gli altri. Pasquale Pane invece non sta avendo il solito destino. "Gioca lui perché sbaglia meno". Ecco la sottile differenza! Le parole del mio Mister mi tornano alla mente ogni dieci passi. Il sole sta scendendo dietro le colline. L’aria adesso è pulita e il cielo verso oriente sembra terso. La Robur invece è ancora seconda. Per alcuni minuti addirittura è stata a soli tre punti dal Livorno. Poi tutto è tornato com’era, perché anche i campionati li vince chi sbaglia di meno.

Alessandria - Siena: di tutte queste belle favole non ci piace mai il finale. E ancora, ancora, ancora. Il Livorno è arrivabile: lo abbiamo capito, vero? E lassù, secondo me, cominciano ad avere paura. Avanti Robur!

Tutti uniti insieme avanzeremo.


Mirko

3 commenti:

  1. Paragonare portieri come Fortin e Mancini ad un disastro come Pane mi sembra molto ingeneroso nei confronti dei primi due… offensivo direi

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  2. Vabbè di cazz@te quest'anno se ne son viste parecchie. Iapichino, Rondanini, D'Ambrosio, Neglia, ci hanno fatto prendere diversi gol oppure ne hanno sbagliati diversi. Nessuno mi sembra li abbia messi alla gogna. Pane ha fatto si 3 o 4 c@zzate, però in alcuni frangenti ha salvato pure il risultato (vedi contro l'Arezzo che ha parato 2 (nostri) tiri in porta difficilissimi. E allora. Anche Sbraga, che è il giocatore che ci regge la difesa col Gavorrano ha fatto una c@zzata. Dai, girare pagina e Avanti Robur. Lo 0-2 di Cuneo è colpa di Pane? Personalmente credo che abbia arrecato + danni Iapichino messo in un ruolo non suo....Forza Forza, fino al 90mo!!!

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  3. Difendere Pane vuol dire meritarsi la serie C! Il buonismo non porta a niente! Totale mancanza di rispetto nei confronti di Crisanto... Accettare di fare il secondo a Pane non esiste!

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