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mercoledì 14 dicembre 2016

Felicità, tempismo, coincidenze e unità di misura

Ci sono dei momenti nella vita di ognuno di noi in cui ci sentiamo prigionieri del destino, imprigionati dietro sbarre invisibili o incastrati tra le rughe di una vita troppo stretta e spigolosa.
In entrambi i casi lottiamo quotidianamente contro noi stessi, mentre con la mente sognamo essere altrove, in uno spazio o in un tempo diverso.
Ed è proprio la frequenza o la carenza di questi momenti a definire la qualità della vita. La cui unità di misura, effimera ed impalpabile, si chiama ‘’felicità’’ Ma questa felicità che cos’è? Tante volte ho provato a inseguire una risposta, cercando nei versi dei poeti le parole che dentro di me non riuscivo a trovare. Crescendo mi sono accorto che le certezze non sono eterne e che le barricate dietro le quali nascondiamo le nostre convinzioni assolute, basta una ventata giusta, di quelle capaci di gonfiare le vele e sollevare le gonne, a tirarle giú. E poi, la saggezza degli uomini non si vede anche dalla loro capacità di cambiare idea e ammettere i propri errori? Ok, ma allora, questa felicità che é? Dopo un lungo peregrinare musicale, durante il quale partendo dagli Articolo 31 e passando per i Luna Pop sono arrivato agli ACDC (no, non sono impazzito, é soltanto un'allegoria per rendere l'idea), credo di aver raggiunto finalmente un discreto compromesso, capace di placare parte dei miei dubbi e arricchire il mio scarso vocabolario da aperitivo. A mio modo di vedere la felicità è quel fantastico stato fisico ed emotivo di benessere, avvertibile soltanto nel momento in cui ti accorgi di essere contemporaneamente al punto giusto, al momento giusto e vicino alla persona giusta. O in altre parole ‘’in pace con il mondo e soprattutto con te stesso’’.
In un pomeriggio dove niente è andato per il verso giusto, mi sono reso conto di non essere mai stato cosí tanto lontano dalla felicità. Sarà stato il tempo, il colore del cielo, i selfie dei turisti sorridenti davanti all’albero decorato in Piazza Salimbeni, ma già pochi minuti dopo il fischio finale avvertivo dentro di me i presagi dell’arrivo di quell'immancabile e bruttissimo senso di vuoto che, al calar del sole di ogni santa domenica in cui la Robur perde senza lottare, bussa non invitato alla mia testa per poi montare la tenda all’altezza dello stomaco. La musica natalizia proveniente dall’interno del grande magazzino di Piazza della Posta, un tempo chiamato romanticamente UPIM, era veramente troppo allegra per il mio umore, duramente provato dai “90 minuti e spiccioli di non calcio più brutti della storia ultracentenaria della Robur”. E la ghigliottinata di aria caldissima che spettinava i clienti sulla soglia della porta stonava terribilmente con tutto. Anche con il buon senso: ma è proprio necessario tenere le porte aperte ed i fan coil al massimo?
Che quello di Natale poi dicono sia un periodo meraviglioso, durante il quale ci si scambia i regali , si prende le sbornie – anzi, quest’ultime meglio prenderle prima, almeno non c’è bisogno di preoccuparsi della qualità del dono ricevuto – la gente non è mai triste e tutti sono più buoni. E invece dalle facce che vedevo camminare fra gli scaffali dei negozi, non mi pareva di scorgere niente di simile. Bimbetti di pochi anni, imprigionati all’interno di giacchetti pesanti, tentavano disperatamente di liberarsi dalle catene del passeggino, sotto gli occhi pochi attenti di babbi impegnati a spippolare con il telefono, mentre coppie di signori di mezza età litigavano sui gusti del vecchio nonno e per regalo da fare alla zia di Grosseto. E più il bimbo piangeva, più la massaia alzava la voce. Schiere di commesse distrutte dall’idea delle centinaia di pacchetti da confezionare, nel risentire per la decima volta Last Christmas degli Wham si guardavano intorno in cerca di un’arma contundente. "No signora, la taglia più grande di quella minigonna non ce l’abbiamo", diceva la ragazza bionda con un sorriso finto come le sicumere di Mister Colella, anche se in realtà stava pensando: “Signora sia gentile, per favore; mi lasci in pace. Là dentro non ci sarebbe entrata neanche a venti anni. Figuriamoci adesso, che se si mette in testa un cappello di paglia, sembra un fiasco a capo di sotto! Il madonnaro davanti ai pensatoi aveva appena terminato la sua opera, ma considerando le gocce che stavano iniziando a cadere dal cielo, non so se poteva reputarsi baciato da un tempismo perfetto, grazie al quale non si sarebbe bagnato la giacca, o vittima di una coincidenza nefasta, visto che in pochi minuti l’acqua avrebbe cancellato un lavoro durato parecchie ore.
Felicità, tempismo e coincidenze. Credo che queste tre parole possano descrivere alla perfezione il pomeriggio del nostro mister, che avvolto in una casacca arancione sembrava un caco maturo (pomo, per chi legge da fuori Siena). Felicità perché, nonostante le parole, Lei non da l’impressione di essere un uomo felice, nè tantomeno di trovarsi al posto giusto. Tempismo perché la contestazione è arrivata proprio contro un monumento come Michele Mignani, elegantissimo, a differenza sua. Coincidenze, perché se è vero come vero che anche tecnici del calibro di Lippi e Conte da queste parti sono stati contestati e poi hanno vinto tutto, ce ne sono almeno un altro paio di dozzine (tra i quali addirittura Papadopulo al tempo della prima serie B di De Luca, anche se poi lui ha vinto, eccome se ha vinto) che hanno preso le offese senza arrivare mai a niente. Quindi non sempre le coincidenze sono ben auguranti. A volte sono solo semplici, tristissime, analogie.

Siena – Olbia 0 – 1: la sconfitta ci fa bene, la vittoria ci fa male. Ma allora pareggiamole tutte, no? Nello squallore di un pomeriggio natalizio, durante il quale nemmeno il video fritto e rifritto dell’intervallo viene proiettato al tempo giusto, due piccoli lampi hanno illuminato il grigiore collettivo: l’immagine statuaria della graziosa guardalinee fiera ed eretta accanto alla bandierina (o il contrario, non saprei) ed il mio simpatico vicino di posto in curva, che analizzando la sconfitta arriva a teorizzare un assioma incontrovertibile: "Se il loro negretto (quello che ha segnato) correva per tre Mendicini, vol dire che loro erano 2 in piú...". Tutto il resto è stata una lenta e dolorosa agonia, durante la quale abbiamo rimpianto i tempi d’oro del nostro grande, grandissimo capitano.


Tutti insieme uniti avanzeremo. 


Mirko

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