Il canale youtube di wiatutti!

sabato 15 ottobre 2016

Le parole scritte a mano

Fuori piove, silenzio dentro.
Lo scroscio della doccia suona differente dal rumore ipnotico delle gocce di pioggia che dal cielo s’infrangono per terra. L’uomo nello specchio guarda e sorride.

Un filo di barba incolta gli inspessisce i lineamenti, accentuando le piccole rughe sopra gli zigomi. La pelle lucida del cranio rasato risplende sotto la luce fredda del faretto appeso al parete del corridoio, che nel riflesso sembra una sfera galleggiante di luce gialla, ferma a mezz’aria fra il giorno e la notte. Agli angoli degli occhi, alcuni raggi sottili si perdono nei resti di un’abbronzatura che giorno dopo giorno se ne sta tornando nella foto del mare appoggiata sulla mensola, vicino ad un post- it quadrato, con la frase “Ti chiamo quando esco” scolorita dal lento incedere dei giorni.
L’uomo di fronte all’uomo nello specchio si ferma ad osservare quelle quattro parole scritte da una mano che arrotonda le lettere con il rosso della penna perso nel giallo della carta e l’ultima vocale leggermente sbaffata, come se l’autore avesse scritto di fretta o mentre pensava ad altro. O peggio ancora, lo avesse fatto senza convinzione, con il chiaro intento di depositare una bugia soltanto per prendere tempo.
L’uomo di fronte all’uomo nello specchio adora le parole scritte a mano, perché la loro calda bellezza risente del passare del tempo mentre l’inchiostro sbiadisce, invecchiando assieme al destinatario. Adora i numeri di telefono appuntati velocemente su di un pacchetto di Diana Blu dure in una calda sera d’estate e gettato via senza pensarci. Le annotazioni riportate sul retro di una foto, le cartoline scritte a tarda notte con la bic nera, appoggiati al davanzale di una finestra aperta sui silenzi di una città addormentata. La lista delle cose da comprare elencata su di una banconota da 20 euro, la firma nel diario dei compagni delle superiori un secondo prima dell’ultimo minuto dell’ultima ora dell’ultimo anno. La ricetta della ribollita estorta alla zia, il risultato della partita col Livorno diligentemente riportato sul calendario dei Fedelissimi. Il “ti amo” tracciato sulla condensa della finestra di cucina, la data e i chilometri dell’ultimo cambio dell’olio sulla portiera dell’auto e il certificato del dottore durante un'influenza, grazie al quale l’assenza all’imminente compito di matematica sarà giustificata. Anche una contravvenzione dei vigili urbani, presa di giovedì grasso nei pressi di Santa Caterina, assume tutto un altro sapore, se compilata a mano. 
Le parole scritte a mano, con la loro calligrafia sfuggente e poco leggibile, colorate d’inchiostro denso e amaro (basta assaggiarlo per verificare), non hanno bisogno dell’energia elettrica per vivere. Come immobili testimoni, raccontano un pezzetto di vita di qualcuno, che improvvisamente si mischia con quella degli altri. Il nome della donna amata dipinto con la bomboletta verde sul muro di una podere diroccato poco fuori città, una pagina di libro sottolineata con l’evidenziatore e ricamata di note a margine, la lettera per Babbo Natale scarabocchiata dalla mano incerta di un bambino e conservata nel cassetto del comodino della nonna. Le parole scritte a mano, senza “copia/incolla”, senza “aumenta paragrafo”, senza “riduci margine” sanno di vissuto e raccontano un mondo che piano piano sta sparendo, perso nei meandri di chat impazzite, allarmi impostati ed eventi salvati sull’agenda del pc. Un luogo dove scrivere è diventato frenesia mentre il bisogno di essere connessi preme sul buonsenso e la voglia di “far sapere agli altri senza mai raccontare”, prevarica la ragione.
Il bello delle parole scritte a mano, stava nell’attesa che intercorreva fra la formulazione e la presa visione, in quel meraviglioso lasso di tempo, successivo alla scrittura e precedente alla lettura, in cui mittente e destinatario erano separati da un muro invisibile fatto di minuti, ore, settimane, oggigiorno spazzato via da sms e messaggistica istantanea. La scelta delle cose da dire mescolata assieme alla ricerca di una decenza estetica - perché in un messaggio scritto a mano forma e sostanza albergano sotto lo stesso tetto, senza possibilità di “controllo ortografico completato” – a quella del colore della carta, spesso strappata da un quaderno o da un blocco, al fruscio della busta, al francobollo attaccato in alto a destra, alla corsa alla buca delle lettere, non facevano altro che amplificare la paura del momento della verità, nel quale tutti i pensieri sarebbero stati svelati. E la vita, fino allora scandita dal lento scorrere di giorni lunghi ed interminabili - come i 35 secondi iniziali di Don't Stop Me Now dei Queen (scritta tra le altre corse di pugno da Freddy Mercury immerso in una vasca da bagno colma di acqua calda e sapone pregiato) durante i quali lo stesso Mercury (che se fosse stato italiano si sarebbe chiamato Federico Mercurio e avrebbe risieduto a Cremona insieme ai genitori originari di Somma Vesuviana) se la prende comodissima, per poi esclamare “I'm a shooting star leaping through the sky” e dare alla canzone una brusca accelerata - diventava frenetica e velocissima, alimentata dalla speranza di aprire la porta di casa e trovare sopra al tavolo una busta vaniglia proveniente da un indirizzo conosciuto: la risposta. E ci sono state volte che la risposta non è mai arrivata, ma soltanto per un problema delle poste. O così è sempre stato meglio credere, per non angosciarsi la vita nel rimuginare su come essa sarebbe cambiata, se un giorno o l’altro quell’agognato pezzo di carta scritto a mano, avesse fatto capolino dalla borsa di cuoio della postina.

Siena – Livorno: come disse Capello dopo un Siena – Roma di un secolo fa, a volte è soltanto questione di erba. Alta in quella circostanza, ma anche bassa, seminata, condita, mangiata, essiccata, calpestata, estirpata, avvelenata. A volte contrabbandata, fumata, sequestrata, sollevata, strappata, ferita, del giardino del re, del vicino, di Grace, della provincia di Como. Altre abbandonata, ingiallita, bagnata, rigata di gesso, cresciuta, accudita e pettinata per anni da mani sapienti che ad un certo punto smettono di occuparsene e volano via, lasciando a chi rimane ad osservare il campo verde dall’alto della curva, soltanto il piacevole ricordo di un lavoro orgogliosamente ben fatto. 

Avanti Bianconeri, contro di loro conta sempre di più!

Tutti insieme uniti avanzeremo


Mirko

5 commenti:

  1. vediamo se a sto giro ho beccato qualcuno dei papabili ad esse i meno smartosi della partita Robur-Livorno.
    1) Icardi
    2) Murilo
    3) Colella con le sue dichiarazioni sull aceto balsamico nell insalata e l acqua bollita a 90 gradi
    4) Bomber Trani e la sua scaramanzia nel vestirsi uguale quando si vince, mutandoni compresi

    Secondo me almeno un paio li ho presi

    RispondiElimina
  2. A me piaceva strappare il cosiddetto foglio protocollo dal centro del quaderno. Era una specie di rito,sull'ultima pagina del quaderno provavo tutte le penne che avevo,per il colore,per il tratto,per sentire come scorrevano sul foglio e trovare la prescelta. Era una cosa impensabile dover cambiare penna a metà lettera,rischiando di usare due blu o due neri diversi.Poi c'era la posizione perfetta,il giusto appoggio. I riti fanno la differenza.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. [...]"Che cos'e' un rito?" disse il piccolo principe. Anche questa e' una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore[...]. All'inizio non capivo cosa volesse dire, poi Brizzi scrisse "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" ed in molti riuscimmo finalmente a coglierne il significato...
      Forse è' veramente tutta questione di riti. E anche di colori del grano.
      Mirko

      Elimina
  3. "Ciò che dobbiamo fare adesso è trovare tutti e due un posto fuori dal libro."
    Su Urano, tipo.
    (Grazie Enrico!)

    RispondiElimina