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sabato 17 settembre 2016

La solitudine del sicario

Il cucchiaino di metallo satinato scivolò dalle mani della signora con lo scacciapensieri tatuato sul braccio sinistro e, tintinnando sul legno levigato del bancone, finì la sua corsa accanto ad un paio di decolté di vernice rossa.
Il “bracconiere” osservò la scena seduto ad un tavolino dall’altra parte del locale, mentre finiva di consumare distrattamente il suo frugale pasto. Dettagli.

Erano i piccoli dettagli a fare le grande differenza nel mondo. E lui sapeva coglierli; esattamente come le tante sfumature che contraddistinguevano le persone. Controllando il costoso orologio portato sotto il polsino della camicia di marca, strizzò l’occhio alla cameriera e chiese il conto.
Nonostante la modesta cifra, richiesta pagò con la carta di credito e uscendo dalla squallida tavola calda girò la testa verso l’obiettivo della telecamera puntata verso l’ingresso, affinchè il suo volto venisse inquadrato e rimanesse impresso nel video della sorveglianza. Raggiungendo l’auto, parcheggiata a pochi decine di metri di distanza, si concentrò su ciò che avrebbe dovuto fare prima di partire per la piccola città toscana, meta del suo nuovo incarico.
Qualche ora prima, controllando la segreteria telefonica del telefono della lavanderia a gettoni che utilizzava come copertura, aveva trovato un messaggio. Il suo contatto lo informava che in una cassetta di sicurezza dell’agenzia numero 3 del Banco di Santa Regina in via dei Martiri 45 avrebbe trovato le indicazioni per la sua prossima missione. Raggiunta la banca, elegantemente ospitata al primo piano di una sofisticata palazzina del '700, aveva trovato all’interno della cassetta numero 58 una busta di carta marrone indirizzata al “bracconiere”. Al suo interno, una foto, un nome ed un indirizzo.  
Il suo contatto aveva utilizzato il codice con il quale il sicario era conosciuto nell’ambiente. Nessuno sapeva in realtà chi fosse o che faccia avesse. Di contro lui non conosceva il nome dei suoi mandanti, nè tanto meno il motivo delle sue prestazioni. Donava la morte per soldi, un mucchio di soldi. Lasciandosi dietro una scia di silenzio e dolore. Ma nel farlo non provava piacere. Al cospetto della vittima si limitava a scegliere il modo più veloce e soprattutto più indolore. Non traeva eccitazione nel porre fine all’esistenza terrena di un suo simile e non rimaneva mai ad osservare l’anima volar via dal corpo. Ma al tempo stesso non aveva rimorsi. In fondo era soltanto il destino che altri avevano scelto per lui. Il “bracconiere” era un devoto cristiano. 
Lasciandosi dietro le luci della capitale raggiunse il piccolo borgo di Ariccia e parcheggiò in divieto di sosta. La multa del vigile urbano avrebbe certificato la sua presenza in paese. Col telefono cellulare chiamò un call-center in modo da agganciare il suo apparecchio alla cellula locale e salì quattordici gradini che separavano il piano stradale dal piccolo abbaino affittato mesi prima con un nome falso. Una volta all’interno, accese il piccolo computer estratto da una valigetta di pelle nera portatile e avviò internet. Dettagli.
Tutto doveva testimoniare la sua presenza in quel paese, lontano centinaia di chilometri dalla sua vera meta. Prima di uscire di casa riempì la ciotola del piccolo persiano grigio che aveva adottato qualche mese prima e collegò il cellulare al caricabatterie inserito nella presa. Durante la sua missione avrebbe fatto a meno del telefono. Una volta tornato al pian terreno, anziché uscire dal portone principale e tornare nuovamente in strada, aprì una porticina di legno marrone consumata dai tarli, dalla quale si accedeva in uno stretto ballatoio illuminato da una lampadina gialla appesa al soffitto e imboccò uno stretto corridoio senza pavimento. Dopo qualche passo nel buio, cercò alla sua sinistra l’interruttore nel muro e, premendo sulla plastica fredda, pose fine al buio. L’auto era esattamente dove l’aveva lasciata l’altra volta. Al suo interno avrebbe trovato un piccolo astuccio in pelle con documenti falsi e una licenza di noleggio inventata. "Nessuno ferma mai una classe S 5000", pensò. E dallo specchietto retrovisore vide un sorriso gelido comparire sulle sue labbra.
Il tragitto fino al Grande Raccordo Anulare fu rapido, ma una volta arrivato nei pressi di Trigoria il caso della metropoli lo costrinse a rallentare. Senza perdersi d’animo raggiunse l’uscita numero 25 e attraversò tutta la città in direzione nord, saltando volutamente un semaforo rosso all’altezza della Cristoforo Colombo. 
Piano piano le case iniziarono a diradarsi e la campagna prese il sopravvento. La giornata sulle colline della Tuscia scivolava via pigra, proprio come l’inverno che stava per finire; almeno sul calendario. La pioggia picchiettava il vetro con insistenza, come a ricordare al mondo che la primavera avrebbe dovuto sudare per prendere il sopravvento. Raggiunta la Toscana, interruppe tutti i pensieri e prestò attenzione al traffico ed al codice stradale. Nelle poche ore a disposizione aveva studiato il percorso senza sottovalutare nulla. Ancora dettagli. Sapeva perfettamente quanto contasse sottovalutare i dettagli nel suo lavoro.  
Raggiunta la piccola città situata nel punto in cui le crete incontrano il Chianti, parcheggiò l’auto in un grande piazzale in mattoncini vicino a quelle che dovevano essere delle mura medioevali e alzandosi il bavero della giacca indossò una paio occhiali con le lenti spesse. Finti. Controllando nuovamente l’orologio vide che era giunto il momento di entrare in azione e si avviò verso il centro della città. Un ragazzo e una ragazza tenendosi per mano gli passarono accanto, sfiorandolo, senza badarlo. "L’amore rende ciechi", pensò. E mestamente ripensò a quando bastava la presenza di una certa persona a far sparire di colpo tutto il resto. "Il bracconiere è una creatura solitaria", pensò. "La solitudine è la mia condanna. L’equa punizione per il male che faccio".
Senza trovare resistenza entrò nel bellissimo palazzo con la facciata di pietre chiare che ospitava la società per la quale lavorava la sua vittima ed in pochi attimi individuò il suo ufficio. Senza bussare, entrò. "Qui finisce la storia", pensò, "e comincia la cronaca".

Como – Siena: tanti anni fa si vinse, segnò Passoni e il destino, fino ad allora triste e beffardo, cominciò a sorriderci. Avanti Robur! Riprendiamoci il futuro!

Tutti uniti insieme avanzeremo.



Mirko

4 commenti:

  1. "Tutti uniti insieme avanzeremo".

    ??????

    Ma tutti uniti dove,scusatemi?

    Non ci si può vedere,tra noi,e siamo ad un passo da mettersi le mani nel muso!(basterebbe qualche PENSIONATO del cazzo ritrovasse le palle e si risvegliasse dopo un letargo di ANNI e non appena gli PSEUDO ultrà faranno ciò che DOVREBBERO fare).

    Io cambierei il refrain...poi fate vobis.

    VERITAS

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    Risposte
    1. Vabbuò, calma e sangue freddo...
      Mirko ha costantemente concluso i suoi articoli con questa citazione (come si saprà, è una strofa di uno dei cori a mio avviso più belli lanciati in curva in questi anni), per cui penso sia un'incitazione ed un'esortazione più che un'analisi dello stato dei fatti.
      Comunque grazie del consiglio, vedremo se sarà accolto o meno.

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    2. Hai ragione Veritas. Ma lo scrivo, e se non è di grande disturbo, continuerei a farlo, proprio per il motivo che hai descritto tu. A parte il fatto che mi piace come firma, credo che possa essere visto come una provocazione bella e buona, figlia del brutto momento che stiamo vivendo. Purtroppo non solo siamo divisi come non mai e ci guardiamo tutti in cagnesco - e penso ad un episodio particolare visto a Pontedera, di fronte al quale rimasi esterrefatto (Primo sa di cosa parlo) - ma la cosa più grave è che da queste parti non esiste più niente. Ricordo i tempi (anche prima della B), quando in curva c'erano striscioni, sigle, gruppi. Pochi numericamente magari, ma colorati, allegri e rumorosi. Mi viene in mente per esempio la Robur Alcool (1997, ben prima di Sala e Beretta). E adesso, dopo 15 anni di calcio a livello nazionale, che c'è rimasto? Niente. Tutti uniti insieme avanzeremo quindi, non tanto per sperare nel futuro, ma per ricordare, almeno, ciò che eravamo. Perché un qualcosa, tempo fa, lo siamo stati.
      Mirko (che ringrazia per il commento, perchè il confronto civile è sempre piacevole).

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    3. A me non disturba affatto, la firma... anzi!... La trovo ottima: memoria, incitazione e provocazione tutto in una frase... indubbiamente all'altezza stilistica dell'autore, che leggo con piacere quasi sempre (Mirko, il "quasi" è messo lì per stimolo... un vorrei che poi "ti monti il capo" e dopo la qualità ne risente :-D ).
      Devo anche dire, però, che VERITAS fotografa una situazione reale... e triste!!!
      Mi par d'assistere a quelle scene dove congiunti e parenti si scannano tra loro dopo una sventura che ha colpito la famiglia... così... per sfogare la rabbia, la delusione, la tristezza e per cercare qualche emozione intensa che ricordi a tutti d'essere ancora vivi, nonostante tutto... Peccato che... questo tipo di reazione rischi di rovinare i rapporti in famiglia... ma tant'è... non sarebbe ne' la prima ne' l'ultima volta...
      A mio modo di vedere, fino a che i sedicenti "tifosi a bestia" (e qui comprendo tutti quelli che sono li a puntarsi... ognuno con la propria verità e con la propria delusione e ognuno, guarda caso, sempre un po'ino più tifoso "di quell'altri!") continueranno a comportarsi come quei gruppetti di anziani inaciditi dalle delusioni e dalla vita, tutti in fila dietro alle transenne sul bordo dello scavo, intenti a litigare tra loro su come gli operai, dentro alla buca, dovrebbero fare questo o quel lavoro... finchè va così, dicevo, c'è da star sicuri che la perduta unità non sarà ritrovata (... un dipenderà mi'a dal fatto che quando le cose vanno - in un modo o nell'altro ma vanno - va' bene a tutti e allora si va tutti d'accordo???... Mmmmaaah... speriamo di no)
      Un'ultimo inciso: quelli che leticano sul bordo della buca, magari, qualche cosa di giusto la dicono anche... ma certamente se li pare d'ave' ragione altre' loro, unn'ascoltano senza neanche ascoltassi tra di se e li par d'esse' anche "da più di 'uell'altri", a prescindere, allora un po'ino gli si sta' dietro, ma poi basta...
      (e che nessuno si meravigli se la curva "unn'è più quella!!")

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