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venerdì 11 marzo 2016

Un graffio in più

Sul finire del pomeriggio, una palla gialla sopra un prato verde rotola mestamente verso la porta. Tuttavia, prima di finire in fondo alla rete, ha ancora il tempo per girarsi indietro, osservare la scena e ridere.
A qualche metro di distanza dall’attaccante già a mani alzate, gentaglia in mutande arranca in un goffo e disperato tentativo di recupero, privo di convinzione e privo di cattiveria.

Quella gentaglia, oltre ai mutandoni, indossa una maglia molto particolare, ma purtroppo non pare accorgersene; o se lo fa, non lo dà a vedere. Rimango attonito a guardare lo schermo del pc; troppo distante Foggia e troppe cose da fare il martedì. 
Il cicalio del cellulare rompe il silenzio dell’ufficio deserto: sul display compare un numero che non vedevo da tempo. Il messaggio è breve, conciso, quasi timoroso di arrecare disturbo: "Che avete combinato a Foggia?". Sorrido amaro di fronte a quel plurale. Già, "Cosa HANNO combinato?", penso, prendendo mentalmente le distanze dai responsabili. Non lo so e non voglio saperlo. Rispondo breve: "Niente. È soltanto “un graffio in più”!". 
Poso il telefono sulla scrivania e ritorno a fissare lo schermo. Ho delle faccende da sbrigare e spero che il lavoro possa contribuire a lenire il fastidio. Il telefono vibra ancora: "Come? Dopo un po’ non fa più male?". Esatto, penso fra me e me, lasciando morire la conversazione. Domani mi scuserò, oggi non ho voglia di parlare. 
Rileggo velocemente lo scambio di battute e qualcosa cattura la mia attenzione. Quel “graffio in più’” buttato là, non è farina del mio sacco. Quasi ringraziando il cielo, ho finalmente la possibilità per smettere di rimuginare. Controllo la cartella “musica” del computer e alla fine la trovo: Sanremo 1998, Liliana Tamberi, "Un graffio in più". A voce alta esclamo: "Questa in Italia la ricordiamo solo io, Red Ronnie e Platinette". Non è certamente un pezzo famoso o forse non ha avuto la fortuna che meritava, tuttavia già al primo accordo una scarica di malinconia colpisce il cervello nella sua parte più intima. I peli delle braccia si drizzano e il cuore perde un battito. La musica si propaga nella stanza, spengo la luce e continuo a lavorare colpendo con forza le lettere della tastiera, illuminata soltanto dalla luce del monitor. Come fosse posseduta da un autistico loop, la canzone finisce e ricomincia per un numero imprecisato di volte. 
Nella mente prende vita l’immagine di un pugile suonato, ferito nel fisico e provato nello spirito che tenta disperatamente di rimanere in piedi fino al suono della campana. Ha già perso, lo sa, ma non vuole concedere il k.o. all’avversario. E allora sta lì, chiuso in un angolo, incassa e prova a difendersi. I colpi lo martellano al volto, aprendogli piccole ferite sugli zigomi e sulle sopraciglia. Ma non fanno male, la soglia del dolore è stata superata da tempo. Quelle ferite non bruciano e non dolgono: sono soltanto “un graffio in più”. Ma il gong non arriva e il tempo pare dilatarsi e inghiottire tutto, come un enorme buco nero senza fondo, dal quale a sorpresa esce un pugile fighetto vestito di bianconero, che perde senza nemmeno provare a lottare. 
La canzone continua, le parole, sempre le solite, confondono la realtà e distolgono l’attenzione. “… in un tombino di questa città, da buttar via, da buttar via…”. Mai tale affermazione mi sembra reale come adesso. Facendo forza sui braccioli della sedia mi alzo in piedi e comincio a girare per l’ufficio. Esco in corridoio e mentre aspetto che i miei occhi si abituino all’oscurità, penso… 
A noi non serve soltanto “venire” a lavorare per portare a casa la pagnotta. Il lavoro lo dobbiamo fare bene, altrimenti avanti un altro. Voi invece, cari giocatori professionisti, no. Siete dei miracolati dal signore: a voi è richiesto soltanto di allenarvi due ore al giorno scarse e scendere in campo la domenica. Avete firmato un contratto, nessuno vi potrà mai dire niente se perdete. Tanto a giugno un buon procuratore vi piazzerà da qualche altra parte. Non siamo calciatori professionisti, noi. La gente vi chiama per nome di battesimo quando vi riconosce, a noi invece soltanto per cognome. Per vivere non vi tocca faticare: niente levatacce, niente straordinari, nessun mal di schiena da postura sbagliata. Se avete un doloretto al polpaccio, andate subito allo studio del fisioterapista, saltando la fila e trovando sempre posto. Noi aspettiamo settimane, in silenzio. A voi, cari atleti, spesso viene offerto tutto e pagate raramente. Il perché non l’ho mai capito. Noi paghiamo sempre fino all’ultimo centesimo e nessuno ci regala niente. E quando ci invitano a cena o riceviamo un dono, è solo perché finiamo gli anni. Le ragazze vi girano intorno come orsi al miele. Non importa la categoria, basta il fascino “della divisa”. Noi invece possiamo soltanto guardarle e se va bene dir loro: “Ciao!". Non siamo calciatori professionisti noi. Poi vi vedo caracollare al 90° come Dorando Petri nella maratona di Londra e mi fate pena. 
Non siamo calciatori professionisti noi, ma nemmeno voi lo siete! E smettetela d’illudervi, per diamine! Voi siete soltanto un “graffio in più” nella faccia ferita del SIENA, un cancro, una macchia, un difetto, un incubo dal quale svegliarsi in fretta... Domani passerai, come le nuvole… Ma la colpa non è solo vostra, perché a voi qualcuno qui ci vi c’ha chiamato. E quel qualcuno è ancora qui. Ma perché in questo paese non si dimette mai nessuno? Aspetto con ansia il momento in cui quel qualcuno ci dirà: "Che volete da me, non sono mica un direttore tecnico io?". E allora giuro che sarò il primo a sostenerlo, dicendo a tutti: "Che volete da lui. Ha gli occhi buoni. Pesti, neri e gonfi, ma buoni!". Se potessi utilizzare l’accordo di Schengen all’incontrario, gli vieterei (a vita, mister compreso) di rimettere piede sull’intero territorio provinciale. Un bel Daspo ci vorrebbe, altro che ruoli dirigenziali. E i provini la prossima volte glieli farei fare a Cinecittà. 
Presidente vecchio e nuova proprietà: che si fa? Il primo dice sia disposto ad incontrare i tifosi, per dire cosa: ti sei delegittimato da solo, l’hai capito o te lo devono mettere per scritto? Nel momento in cui ha preso i soldi di altri (se mai sono arrivati quei soldi, perché a questo punto non credo più a niente!), ti sei autoescluso; quindi occhio ad incontrare i tifosi: vediamo se alla fine qualcuno paga per tutti e ne busca. Dopo Ancona ruggisti spocchioso: il campo ha parlato! Ecco bravo: guarda che bel lavoro hai fatto. E quell’altri invece? Mettono i soldi e stanno alla finestra? Come dire davanti alla pizzeria: voi andate a mangiare che io vi aspetto in macchina e dopo passo a pagare. Ma mi chiedo: certe cose sono normali o succedono solo a Sienina? Di questo passo arriveremo a rimpiangere perfino Gigi Simoni…

Siena – Pontedera: soltanto scriverlo mi fa ribrezzo, ma d’altra parte questo è e non possiamo far niente per cambiarlo. Mancano 6 punti: salviamo rapidamente la stagione e smettiamo di perdere la faccia. Prenderne 4 (o peggio) di continuo non è affatto piacevole. Tira, tira (tira, tira, tira), la corda si spezza.


Tutti uniti insieme avanzeremo… Anche, e soprattutto, senza di voi!


Mirko

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