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giovedì 24 marzo 2016

Appesa a Pisa

…Sciaccaluga nel mezzo. Tutto il Pisa all’indietro, parecchio Siena in avanti… 
Il sogno inizia così, con un ricordo sfuocato di un grigio pomeriggio di dicembre, dove il freddo non riusciva a pungere ed il cielo sembrava l’Inghilterra.
Le nuvole basse parevano incapaci di contenere tutta la tensione accumulata in quasi cento anni di storia ed allo stadio non c’era un posto libero: dopo Ferrara, era finalmente scoppiata la Robur-mania. Mancava una settimana a Natale e presto l’anno sarebbe finito: in Piazza stavano già montando il palco per Gianni Morandi. Non era una domenica come le altre: l’ultima partita in casa dell’anno, del secolo e del millennio. Roba da scriverci un romanzo!
Non ricordo bene come fece la palla ad arrivare nei pressi dell’angolo sotto la curva ospite, nè tantomeno che cosa indusse l’arbitro a fischiare fallo, o chi lo subì. Ricordo soltanto che sullo stadio calò un silenzio surreale, mentre il nostro numero 10 sistemava con cura il pallone per terra. Una espulsione nella seconda metà del primo tempo lo aveva costretto a correre il doppio e lui – da sempre più avvezzo a cantare che a portare la croce – adesso risentiva i postumi della fatica insinuarsi fastidiosi dentro i muscoli delle gambe. Con le ultime forze prese la rincorsa e calciò forte…
Erano da poco passate le 16 ed il vecchio tabellone luminoso della gradinata risplendeva chiaro in mezzo ai cartelloni pubblicitari, con i suoi numeri rossi al neon. Nel momento in cui la palla si staccava dal piede, capimmo subito che qualcosa stava cambiando. L’aria venne improvvisamente risucchiata fuori dai polmoni e tutto lo stadio rimase in apnea. Il tempo parve fermarsi, il cuore smise di battere e in testa si accavallarono mille pensieri. Attimi, minuti, ore, nessuno ricorda più quanto tempo impiegò la palla per compiere il suo tragitto. 
Ci sono alcuni momenti nella vita di ognuno che il tempo non può scalfire. Istanti impressi a fuoco nella nostra mente, intorno ai quali il passato prende vita e ti saluta sorridendo. Come il primo bacio serio, l’esame di maturità o Siena – Pisa del ’99: piccole molliche di pane lasciate cadere lungo il cammino della nostra esistenza, seguendo le quali è possibile interrompere il lento scorrere del tempo, prendere fiato e ricordarsi di com’eravamo un secolo fa.
La palla salì in alto e riscese dolcemente verso un punto preciso, che il destino aveva volutamente tenuto nascosto a tutti, tranne che a lei, che sapeva esattamente dove andare. Poco prima di toccare terra, incocciò con violenza la testa di un altro eroe bianconero. Di mestiere faceva il difensore e il suo compito principale era proteggere il portiere, tuttavia saliva spesso in avanti e quella volta – se lo sentiva – era quella buona. Senza pensare al domani, seminò tutti gli avversari e volò altissimo per colpire la palla con la fronte incrostata di capelli sudati. Come sparata da un lanciarazzi della marina militare, la palla ripuntò nuovamente verso il cielo, compiendo una seconda parabola, più piccola della precedente ma assai più importante. Non incontrò nessuna resistenza lungo il suo percorso e mentre feriva l’aria parve lasciarsi dietro una lunga coda dorata. La nostra stella cometa aveva finalmente iniziato il suo viaggio e non lo avrebbe interrotto per nessuna ragione al mondo. Indicava un punto preciso alle spalle del portiere avversario: lì si sarebbe ricongiunta con la storia. 
Quando finì la sua corsa, in fondo ad una rete troppo piccola per contenere tutta la gioia, avemmo la certezza che la nostra vita era cambiata per sempre. Un boato squarciò la quiete domenicale, destando dal torpore gli scettici pentiti per la loro assenza e umiliando gli invidiosi. In realtà quello fu soltanto il tuono che annunciava il tornado, che in breve tempo si sarebbe abbattuto su Siena. Il dado era tratto e le carte finalmente scoperte: la palla che oltrepassava la linea di porta fu il primo tassello di un qualcosa di immenso, che anni dopo fu chiamato “lucida follia"! Tutto iniziò così, quasi per caso una domenica pomeriggio di fine autunno, mentre la gente passeggiava per il centro in cerca di qualcosa da regalare. 

Appesa a Pisa non c’è soltanto la dignità di una stagione da salvare, una ferita da ricucire o una classifica da compensare. Appesa a Pisa c’è una fetta della nostra vita, fatta di trionfi e cadute, sorrisi e lacrime, vittorie e amarezze. Appesa a Pisa c’è la voglia di invertire questa pericolosa deriva, tornare grandi e riprendere a volare lassù, dove osano le aquile.

Siena – Pisa: 16 anni dopo ma con la stessa voglia di gridare al mondo “E SIENA TRIONFA IMMORTALE!”.

Tutti uniti insieme avanzeremo.

Mirko

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