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giovedì 29 ottobre 2015

Tu chiamali se vuoi... tiri in porta

Nonostante sia sempre stato abbastanza cinico da considerare la vita e la morte come due pesi della stessa bilancia, nella quale tutto è in equilibrio, fin da piccolo ho sempre avuto il terrore di svegliarmi una mattina e di non essere più in grado di provare emozioni. Ho sempre pensato: ok, si viene al mondo, si cresce, si muore, non fatevi prendere dal panico, è tutto sotto controllo! Ma smettere di emozionarsi proprio no, perché in quel caso niente avrebbe più senso. Un essere umano che non prova emozioni è come una scatola vuota. E le scatole vuote servono soltanto per i traslochi o per riporre le cianfrusaglie in soffitta.



A volte basta poco per emozionarsi. Guardare il panorama quotidiano e accorgersi di un particolare nuovo, ascoltare meglio un testo di una canzone e capirne finalmente il significato, alzare la cornetta e chiamare quella persona che da troppi mesi non senti, o riassaporare il profumo del risotto agli asparagi dopo aver smesso con il tabacco. Spesso l’emozione sta nella sorpresa! 
Crescendo ci accorgiamo che piano piano la vita comincia lentamente a cambiare: le giornate si inseguono una uguale all’altra, la monotonia spesso si allea con la malinconia ed il cuore batte sempre troppo regolare; tuttavia basta un'emozione per farci sentire improvvisamente vivi. E può capitare che una mattina di metà ottobre, affacciandoci in cima a Via Tegliacci, ci sia il tempo di soffermarsi un secondo a guardare la grande villa del Park Hotel troneggiare sulla sommità della collina di fronte. Il sole non ha ancora oltrepassato il tetto della grande costruzione e dalle finestre è possibile scorgere i raggi dorati che trafiggono il palazzo da parte a parte, come se al centro ci fosse un sistema solare in miniatura e le mura splendessero di luce propria. Un castello fatato visibile soltanto per pochi minuti al giorno. Sì, le emozioni aiutano a vivere meglio.
Storicamente l’uomo è sempre stato corroso dalla voglia di capire cosa ci fosse dietro all’orizzonte. Spinti da una disumana follia, molti uomini hanno stravolto le loro vite pur di arrivare a placare la propria curiosità. Ma chiunque abbia tentato l’impresa, si è sempre dovuto confrontare con un’amara realtà: raggiunto un orizzonte, se n’è sempre trovato di fronte un altro e poi un altro e un altro ancora, fino all’infinito. La vita è impregnata da punti di arrivo che diventano di partenza e viceversa. Di orizzonte in orizzonte, anni dopo anni.
L’essere umano, nel bene o nel male, si è sempre emozionato di fronte all’orizzonte. Quante volte ce ne siamo rimasti fermi immobili a guardare il mare dalla spiaggia e domandarci cosa ci sarà più in là? Il mistero dell’ignoto, la speranza nel futuro, la paura del cambiamento. 
Domenica scorsa, entrando allo stadio verso la fine di una domenica sconvolta dall’ennesimo (ed inutile?) avvento dell’ora solare, dove l’orologio dice una cosa ed il cervello un’altra, avevamo proprio voglia di vivere una serata speciale. E ricominciare a emozionarci. È buffo come le circostanze della vita ci portino a modificare velocemente i nostri orizzonti: lo scorso anno il nostro traguardo era la Lega Pro ed avremmo fatto carte false pur di arrivarci. A distanza di qualche mese, questa categoria ci va già stretta, perché in cuor nostro sogniamo altri scenari. D’altra parte ci hanno insegnato a pensarla così: dopo anni passati a sentirci dire: "La C1 è il massimo che Siena si può permettere", arrivò dal nulla un signore partenopeo e nel giro di qualche mese stravolse tutto. E forse il termine “stravolgere” rende poco l’idea. Emozioni e orizzonti, lui sì che sapeva di cosa parlava. Appena raggiunto un obiettivo, indicava subito il successivo. Dopo la salvezza di Genova parlò apertamente di Serie A. Ancora mi viene il ciccio di pollo nelle braccia se ci ripenso. 
Ed invece dopo tanto tempo, durante il quale la ruota della vita ha fatto più volte il giro, risiamo esattamente allo stesso punto di prima. Come se quindici anni non fossero mai esistiti, o appartenessero ad un'altra dimensione. Cambiare tutto per non cambiare niente. A volte ho il sospetto che il Gattopardo sia nato a Siena. 
Dopo una brutta sconfitta casalinga – e diciamo la verità, per favore – dove abbiamo dato l’impressione di essere una banda di giocatori rassegnati al fato, tipo “la butto su, se va bene bene, se va male pace”, abbiamo davanti un compito difficile (ma non impossibile). Nella notte delle streghe (festa straniera incomprensibilmente adottata dal nostro paese) avremo il difficile compito di rialzare immediatamente le testa. È inutile girarci intorno: le cose non vanno nel verso giusto. La squadra non gira, il mister non ha carisma (mi smentisca per favore), in società mancano i professionisti. Anche in curva, senza un vero orizzonte, stiamo lentamente smettendo di provare emozioni. E se diventiamo apatici, torneremo velocemente ad essere in pochi. Dopo sì che i nostri detrattori avranno avuto ragione. A Pontedera per invertire la marcia, per cambiare ritmo, per dare un senso al nostro campionato. Troppe ne ho sentite dire in questi giorni. Io direi a Pontedera per fare almeno cinque tiri nello specchio della porta e sporcare i guanti al loro portiere. Domenica sera, guardando i tifosi della Maceratese fare (giustamente) festa, ho avuto un attacco di invidia mista a nostalgia. Osservandoli mi sembrava di essere tornato indietro di quindici anni. Altri scenari, altre emozioni, altri orizzonti.
Non so cosa ci riserverà il futuro, ma immagino che dovremo essere in grado di farci trovare pronti nel caso arrivasse una chiamata dal destino. Stiamo affrontando un campionato mediocre, dove basterebbe un minimo di normalità per emergere e puntare in alto.

Siena – Pontedera: la porta è quella bianca. Tutti uniti insieme avanzeremo. Nonostante tutto e tutti, nonostante i comunicati, le promesse, le menzogne e i 13,00 euro + diritti di prevendita.

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