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mercoledì 19 novembre 2014

SPQS: Sono Pazzi Questi Senesi


Dopo aver parlato dell’affabilità e senso di ospitalità, riprendiamo il filo del discorso su come erano i Senesi del passato, per dire che il tratto peculiare con cui erano maggiormente conosciuti al di fuori della città fu di gran lunga la loro pazzia, stranezza e atipicità, che per qualcuno scadeva fino a vera e propria insensatezza, nomea tanto persistente nei secoli che ad un certo punto i Senesi stessi sembrarono accettarla, se non addirittura usarla con una discreta dose di malizia. 



Come si sia originata questa fama è difficile da comprendere: in parte traeva le proprie fondamenta da episodi di “cronaca” dell’epoca, su cui magari ci soffermeremo un’altra volta, che in qualche misura la avvaloravano. In parte si trattava di mera calunnia verso una città che stava cominciando a rompere un po’ troppo le uova nel paniere a chi da tempo voleva conquistare l’intera Toscana, considerato che quasi tutti i principali protagonisti di tanta acredine verso i Senesi erano di provenienza fiorentina. D'altro canto, è anche probabile che sia stato solo un fine gioco letterario, fatto di più o meno raffinate denigrazioni, cui in risposta si contrapponevano panegirici sulla nobiltà e le virtù dei Senesi. 
Di sicuro possiamo affermare che tale reputazione cominciò a diffondersi tra Trecento e inizio Quattrocento, e probabilmente il primo a descrivere così il nostro carattere fu un calibro da novanta come Dante Alighieri, nientemeno nella “Divina Commedia” e addirittura non una ma ben due volte! Ma Dante è Dante, si sa, per cui conviene dedicargli uno spazio tutto suo. 
Tuttavia, sulla scia del Sommo Poeta altri testimonial d’eccezione picchiarono duro sui Senesi, arrivando a raffigurarli come stolti e sciocchi, nonché di umili ascendenze. 
Come già detto in una precedente occasione, in quest’ultimo filone va inserito Giovanni Villani che nella “Nuova Cronica”, proseguita dopo la sua morte dal fratello Matteo e dal nipote Filippo, screditò pesantemente Siena, sia inventandosi di sana pianta il racconto di come era divenuta sede vescovile, sia attribuendogli un’origine “bassa e non molto lontana dai suoi tempi”, essendo stata fondata appena nel 670 d. C. da Carlo Martello; ma sull’inconsistenza storica del racconto, è perfino inutile soffermarsi. 
Più o meno in quegli stessi anni, a cavallo della metà del Trecento, fu poi Giovanni Boccaccio a far riferimento alla “bessaggine de’ sanesi” nella decima novella della settima giornata del “Decameron”, che sarebbe risultata evidente nel terzo racconto narrato da Elissa in quella stessa giornata. Si tratta della novella in cui frate Rinaldo da Siena, “un giovane assai leggiadro e d’onorevole famiglia”, viene sorpreso dal marito di lei mentre per l’ennesima volta si sta “trastullando” con Madonna Agnesa; la donna, tuttavia, con grande prontezza di spirito, invece di confessare l'adulterio, apre la porta della camera, inventando su due piedi una scusa clamorosa al consorte: l’amico frate si era precipitato a casa perché il loro piccolo figlio aveva dei “vermini in corpo” che in poco tempo sarebbero giunti al cuore, provocandone la morte. Per fortuna Rinaldo conosceva alcune orazioni per liberarlo dal malessere, e così il bimbo era subito guarito. Il marito abbocca alla grande e in segno di eterna riconoscenza nomina il frate come padrino del figlioletto, organizzando una festa in suo onore con “buoni vini e confetti”. Ora, nella novella l’uomo senese non spicca certo per scaltrezza, e la definizione di “besso” che gli affibbia perfidamente Boccaccio non fa una grinza; il termine “bessaggine”, infatti, significava dabbenaggine, stoltezza, scempiaggine, e quindi l'aggettivo “bèsso”, o “bèscio”, va inteso come sciocco. Lo scrittore fiorentino non lo dice, ma chissà, magari il povero marito aveva bevuto troppa acqua di Fontebranda, mentre Rinaldo e Agnesa, anch'essi senesi, ma tutt'altro che sprovveduti, anzi piuttosto vispi, non se ne erano abbeverati così in abbondanza! 
Che c'entra ora Fontebranda, direte voi; c'entra, perché secondo Boccaccio il principale responsabile della pazzia e dabbenaggine dei Senesi sarebbe stato proprio il prezioso liquido che sgorgava dalla fonte più famosa della città, detta Branda, o meglio Blanda come la ribattezza lui stesso, proprio per la “blandizia” del suo zampillare. 
Leggenda, anch'essa, talmente celebre, che diversi secoli dopo addirittura Vittorio Alfieri si incaricò di sfatarla nel CXII sonetto, quando scrisse che “Fontebranda mi trae meglio la sete, parmi, che ogni acqua di città latina”. 
La scanzonata denigrazione boccaccesca, comunque, aveva ormai preso piede e qualche decennio dopo un altro fiorentino, il barbiere Domenico di Giovanni, meglio noto come il Burchiello, autore di vari sonetti beffardi e strampalati, la riprese per lanciare diverse invettive verso i Senesi, additati come pazzi o giù di lì (“Se vuoi far l'arte dell'indovinare, togli un Sanese pazzo, e uno sciocco, un'Aretin bizzarro e un balocco, e fagli insieme poi tutti stillare”; oppure: “Che non è besso a Siena che ’l credesse”; e ancora: “Però che vagheggiando gli Orvietani viene loro nell'ugna tanti patereccioli quanti ha in Siena cervellin balzani”). La sua cattiveria, però, aveva radici personali, che rendono i giudizi espressi poco credibili: i Senesi, infatti, erano solo rei di averlo imprigionato per sette mesi nel 1439, periodo in cui Domenico si era trasferito nella nostra città; e saranno stati anche pazzi, ma i documenti dell'epoca parlano di ben tre pene pecuniarie “guadagnate” dal barbiere per ingiurie e percosse, mentre la condanna al carcere gli fu inflitta per uno strano furto di indumenti femminili, che quando chiese la grazia con una petizione al Consiglio Generale tentò pietosamente di giustificare, qualificando l'episodio come un equivoco nato da una sua avventura galante. Ottenuta la libertà, rimase tra i “pazzi” senesi fino al 1445, quando cercò miglior fortuna a Roma, che peraltro non trovò, morendovi quattro anni dopo in precarie condizioni economiche.
Dunque, finora le accuse di pazzia rivolte verso i Senesi non sembrano particolarmente credibili o motivate, ma prima di tirare le conclusioni dobbiamo senz’altro attendere il giudizio dell’Alighieri….


Roberto Cresti

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