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martedì 23 settembre 2014

Le antiche vocazioni di Siena


Caduto l’Impero Romano e superati i secoli bui immediatamente successivi, con la città pressoché cancellata dalle cartine geografiche e ridottasi ad un piccolo castello fortificato, a partire dall’età longobarda Siena intraprese quel cammino che tanta fortuna e lustro le porterà nel pieno Medioevo. 


Cammino sì, perché non c’è dubbio che un aiuto decisivo al decollo della città lo dette proprio quella Via Francigena, balzata così prepotentemente agli onori delle cronache negli ultimi anni. Durante i quali molti di voi avranno pensato che questa attraversasse solo il territorio di Monteriggioni; invece no, vi garantisco che passava anche da Siena. 
Tanto che la sua fisionomia urbana, così particolare e detta comunemente ad ipsilon rovesciata, si deve proprio al fatto che i borghi di Camollia e San Martino si formarono intorno al Mille seguendo il tracciato di questa fondamentale via di comunicazione, che appunto dall’epoca longobarda divenne il principale collegamento tra il nord e il sud della penisola, segnatamente con Roma. 
E quando i pellegrinaggi “ad limina Petri” cominciarono ad aumentare, provenienti soprattutto dal nord Europa, la Francigena divenne la via dei “romei”, assumendo così anche il nome di “strata romea”. 
Dunque per la prima volta nella storia, che purtroppo rimarrà anche l’ultima, Siena si trovò al centro del mondo (di allora), su un percorso lungo il quale, specie dopo il fatidico anno Mille, passavano in quantità genti, cultura, sapere, merci, denaro. Flusso benefico da cui seppe trarre l'impulso decisivo alla sua crescita demografica e urbanistica, al suo dirompente sviluppo economico, finanziario, culturale, al boom che la portò, nel giro di poco tempo, ad essere uno dei principali centri del Duecento e Trecento europeo. Per questo è stata ribattezzata, con slogan assai abusato, “figlia della strada” dall’insigne storico Ernesto Sestan. 
In effetti la strada aiutò, ma sarebbe miope sottovalutare che i senesi di allora seppero brillantemente cogliere l’imperdibile occasione offertagli dalla storia. Non a caso la nostra fu, di fatto, l’unica città, tra le innumerevoli località toccate, che davvero sfruttò gli innegabili vantaggi insiti nel trovarsi “sulla strada” per eccellenza! 
Così dopo il Mille, ad una base sociale quasi esclusivamente costituita da guerrieri ed ecclesiastici, si aggiunse un ceto dedito all’attività mercantile e artigianale, ma ancor più all'esercizio dell'ospitalità e del cambio di denaro; insomma la vocazione turistica e bancaria della città ha origini molto, molto lontane. 
Tra l'altro, al principio le sue fortune derivarono più dall'attività alberghiera che da quella di cambiavalute. La fama acquisita da Siena per la bontà delle sue strutture ricettive e assistenziali, nonché per l’ospitalità della sua gente, ben conscia, allora, di quanto ciò contribuisse alle proprie fortune e, di conseguenza, a quelle dell’intera comunità, è testimoniata dagli accenti elogiativi rintracciabili nelle memorie e nei diari dei viandanti antichi. 
Ad esempio, l’abate islandese Nikulas di Munkathvera vi sostò nel 1154 e si espresse favorevolmente sulla città e soprattutto sul suo emisfero femminile: “Siena è una bella città, con sede vescovile presso la chiesa di Santa Maria; qui ci sono le donne più avvenenti”. Più o meno gli stessi attestati di stima si ritrovano nella celebre “Chanson de geste” anglo-normanna “Ami et Amile”, risalente sempre a quell’epoca. 
La socievolezza, affabilità e cortesia verso i forestieri è rimasta per secoli una peculiarità dei senesi, trovandone notevoli e prestigiose attestazioni nei numerosi diari di viaggiatori del cosiddetto “Grand Tour”. 
Per ricordarne solo una, intorno alla metà del Seicento Richard Lassels, cui si deve questa fortunata definizione, sostando a Siena scrisse, tra l'altro, che “la gente qui è molto educata e anche socievole; la quale cosa, unita alla salubrità dell'aria, ai buoni esercizi dei gentiluomini, alla purezza della lingua e ai grandi privilegi, fa sì che molti stranieri tirino le briglie qui e trascorran l'estate a Siena, l'Orleans d'Italia”. E ancora nel 1860, mentre la città si preparava ad accogliere il futuro Re d'Italia Vittorio Emanuele II, il giornale “L'Indicatore senese” affermava che “noi Senesi riputati per l’antica ospitalità, noi lo accoglieremo con quello slancio d’affetto, che meritano le sue virtù e quanto ha fatto per l’Italia”. 
Accanto agli elogi, ovviamente, non sono mancati neppure coloro che hanno gettato discredito sulla città, rimarcando anch'essi, comunque, che le antiche fortune senesi dipendevano soprattutto dalla Francigena e dall'attività alberghiera, nel Medioevo, però, considerata poco nobile e decorosa. 
A inventarsi di sana pianta una leggenda dai toni decisamente denigratori fu per primo Giovanni Villani, fiorentino (ma guarda, chi l’avrebbe mai detto...), che nella “Cronica” redatta intorno alla metà del Trecento, tentò di ridicolizzare le origini di Siena. Questa sarebbe stata “un assai nuova città” perché fondata appena nel 670 d. C. da Carlo Martello, che avrebbe lasciato proprio qui “tutti li vecchi e quelli che non potevano portare arme” del suo poderoso esercito in marcia verso la Puglia. E siccome il racconto non era sufficientemente oltraggioso verso il popolo senese, il cronista aggiunse il carico da novanta: qualche tempo dopo un cardinale legato del Papa, di ritorno dalla Francia, si sarebbe fermato a Siena albergando presso una ricca e famosa ristoratrice, Madonna Veglia, che l'onorò di tutte le attenzioni possibili (con un fondo di ambiguità nemmeno troppo velato) e soprattutto non gli presentò il conto. Colpito favorevolmente, il cardinale chiese alla donna se voleva una qualche cortesia; ella rispose “devotamente” che avrebbe desiderato per la sua città che diventasse sede di vescovado. Il cardinale acconsentì, facendo assurgere Siena al rango di diocesi e quindi di città vera e propria.
Nel Trecento, peraltro, non fu solo Giovanni Villani a vergare parole così sgradevoli sui senesi... 


Roberto Cresti

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