Caduto l’Impero Romano e superati i secoli bui immediatamente
successivi, con la città pressoché cancellata dalle cartine
geografiche e ridottasi ad un piccolo castello fortificato, a partire
dall’età longobarda Siena intraprese quel cammino che tanta
fortuna e lustro le porterà nel pieno Medioevo.
Cammino sì, perché
non c’è dubbio che un aiuto decisivo al decollo della città lo
dette proprio quella Via Francigena, balzata così prepotentemente
agli onori delle cronache negli ultimi anni. Durante i quali molti di
voi avranno pensato che questa attraversasse solo il territorio di
Monteriggioni; invece no, vi garantisco che passava anche da Siena.
Tanto che la sua fisionomia urbana, così particolare e detta
comunemente ad ipsilon rovesciata, si deve proprio al fatto che i
borghi di Camollia e San Martino si formarono intorno al Mille
seguendo il tracciato di questa fondamentale via di comunicazione,
che appunto dall’epoca longobarda divenne il principale
collegamento tra il nord e il sud della penisola, segnatamente con
Roma.
E quando i pellegrinaggi “ad limina Petri” cominciarono ad
aumentare, provenienti soprattutto dal nord Europa, la Francigena
divenne la via dei “romei”, assumendo così anche il nome di
“strata romea”.
Dunque per la prima volta nella storia, che
purtroppo rimarrà anche l’ultima, Siena si trovò al centro del
mondo (di allora), su un percorso lungo il quale, specie dopo il
fatidico anno Mille, passavano in quantità genti, cultura, sapere,
merci, denaro. Flusso benefico da cui seppe trarre l'impulso decisivo
alla sua crescita demografica e urbanistica, al suo dirompente
sviluppo economico, finanziario, culturale, al boom che la portò,
nel giro di poco tempo, ad essere uno dei principali centri del
Duecento e Trecento europeo. Per questo è stata ribattezzata, con
slogan assai abusato, “figlia della strada” dall’insigne
storico Ernesto Sestan.
In effetti la strada aiutò, ma sarebbe miope
sottovalutare che i senesi di allora seppero brillantemente cogliere
l’imperdibile occasione offertagli dalla storia. Non a caso la
nostra fu, di fatto, l’unica città, tra le innumerevoli località
toccate, che davvero sfruttò gli innegabili vantaggi insiti nel
trovarsi “sulla strada” per eccellenza!
Così dopo il Mille, ad
una base sociale quasi esclusivamente costituita da guerrieri ed
ecclesiastici, si aggiunse un ceto dedito all’attività mercantile
e artigianale, ma ancor più all'esercizio dell'ospitalità e del
cambio di denaro; insomma la vocazione turistica e bancaria della
città ha origini molto, molto lontane.
Tra l'altro, al principio le
sue fortune derivarono più dall'attività alberghiera che da quella
di cambiavalute. La fama acquisita da Siena per la bontà delle sue
strutture ricettive e assistenziali, nonché per l’ospitalità
della sua gente, ben conscia, allora, di quanto ciò contribuisse
alle proprie fortune e, di conseguenza, a quelle dell’intera
comunità, è testimoniata dagli accenti elogiativi rintracciabili
nelle memorie e nei diari dei viandanti antichi.
Ad esempio, l’abate
islandese Nikulas di Munkathvera vi sostò nel 1154 e si espresse
favorevolmente sulla città e soprattutto sul suo emisfero femminile:
“Siena è una bella città, con sede vescovile presso la chiesa di
Santa Maria; qui ci sono le donne più avvenenti”. Più o meno gli
stessi attestati di stima si ritrovano nella celebre “Chanson de
geste” anglo-normanna “Ami et Amile”, risalente sempre a
quell’epoca.
La socievolezza, affabilità e cortesia verso i
forestieri è rimasta per secoli una peculiarità dei senesi,
trovandone notevoli e prestigiose attestazioni nei numerosi diari di
viaggiatori del cosiddetto “Grand Tour”.
Per ricordarne solo una,
intorno alla metà del Seicento Richard Lassels, cui si deve questa
fortunata definizione, sostando a Siena scrisse, tra l'altro, che “la
gente qui è molto educata e anche socievole; la quale cosa, unita
alla salubrità dell'aria, ai buoni esercizi dei gentiluomini, alla
purezza della lingua e ai grandi privilegi, fa sì che molti
stranieri tirino le briglie qui e trascorran l'estate a Siena,
l'Orleans d'Italia”. E ancora nel 1860, mentre la città si
preparava ad accogliere il futuro Re d'Italia Vittorio Emanuele II,
il giornale “L'Indicatore senese” affermava che “noi Senesi
riputati per l’antica ospitalità, noi lo accoglieremo con quello
slancio d’affetto, che meritano le sue virtù e quanto ha fatto per
l’Italia”.
Accanto agli elogi, ovviamente, non sono mancati
neppure coloro che hanno gettato discredito sulla città, rimarcando
anch'essi, comunque, che le antiche fortune senesi dipendevano
soprattutto dalla Francigena e dall'attività alberghiera, nel
Medioevo, però, considerata poco nobile e decorosa.
A inventarsi di
sana pianta una leggenda dai toni decisamente denigratori fu per
primo Giovanni Villani, fiorentino (ma guarda, chi l’avrebbe mai
detto...), che nella “Cronica” redatta intorno alla metà del
Trecento, tentò di ridicolizzare le origini di Siena. Questa sarebbe
stata “un assai nuova città” perché fondata appena nel 670 d.
C. da Carlo Martello, che avrebbe lasciato proprio qui “tutti li
vecchi e quelli che non potevano portare arme” del suo poderoso
esercito in marcia verso la Puglia. E siccome il racconto non era
sufficientemente oltraggioso verso il popolo senese, il cronista
aggiunse il carico da novanta: qualche tempo dopo un cardinale legato
del Papa, di ritorno dalla Francia, si sarebbe fermato a Siena
albergando presso una ricca e famosa ristoratrice, Madonna Veglia,
che l'onorò di tutte le attenzioni possibili (con un fondo di
ambiguità nemmeno troppo velato) e soprattutto non gli presentò il
conto. Colpito favorevolmente, il cardinale chiese alla donna se
voleva una qualche cortesia; ella rispose “devotamente” che
avrebbe desiderato per la sua città che diventasse sede di
vescovado. Il cardinale acconsentì, facendo assurgere Siena al rango
di diocesi e quindi di città vera e propria.
Nel Trecento, peraltro, non fu solo Giovanni Villani a vergare parole
così sgradevoli sui senesi...
Roberto Cresti
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