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giovedì 15 novembre 2018

Raccontarsi e raccontare il Palio

Il Palio Straordinario è ormai alle spalle. Ognuno lo ha vissuto sulla propria pelle, in modo totalmente anomalo. Diversi i colori, diversi i tempi, diversa la realtà consolidata. E diversa, a mio avviso, oramai l'esigenza di narrarci per ciò che (non) siamo.

Come spesso accade, Wiatutti parla degli eventi in tempi lontani da essi. Sia per farli rivivere, sia per sedimentare le opinioni. E oggi, dopo un mese di tempo, cosa è rimasto del Palio Straordinario di ottobre?
Vivendo quei giorni in contrada, una sensazione era rimarchevole (almeno nella mia): è stato bello aver scompaginato una consuetudine a volta imposta. A me piace l'imperfezione, della quale non solo non ho timore, ma anzi verso la quale provo attrazione. Il Palio Straordinario è stato imperfetto, a parte qualche particolare non da poco (le condizioni meteo clamorosamente propizie, ad esempio). Imperfettissimo nella genesi, imperfetto nello svolgimento, drammaticamente imperfetto nel finale (la morte di Raol). Ma imperfetto per chi e per cosa?
Già... Esiste una regola nel designare la perfezione del Palio? Forse sì. Ed è quella che semplicemente scegliamo di accettare, sviluppata da Noi ma anche - sempre di più - dagli Altri. Ed in questi ultimi anni, come questo blog ha tentato di chiarire, le regole della perfezione sono state dettate spesso dagli Altri; Noi per lo più abbiamo dovuto adattarci. Perché un po' è vero che gli Altri si sono avvicinati, ma tanto è stato un falso racconto che ci siamo fatti e ci hanno fatto. Finché, un bel giorno, nell'utopistico ideale della perfezione imposta dagli Altri, ci siamo ritrovati un conto salatissimo da pagare.
Il mondo degli Altri era entrato in casa nostra, stavolta senza più bussare ed anzi pretendendo. Pretendendo cose che un giochino anticontemporaneo, oggettivamente, non poteva dare. E per un po' è scattata la corsa all'adeguamento, dato che l'imperfezione era enorme. Dai e dai, a forza di correggere e migliorare, ci siamo creduti sani e bravi, abbiamo ipotizzato di normalizzare una cosa non normalizzabile (forse la vita si può normalizzare?) e ci siamo semplicemente consegnati nelle mani degli Altri.
Ma gli Altri hanno occhi solo per gli smartphone, seguono gli influenzer, mangiano cucina molecolare e fanno le vacanze alternative a Capalbio. Insomma, difficile che capiscano. Quando poi, mangiando un hamburger di carne di plastica da Mc Donald's, si indignano per una caduta di un cavallo.
E allora, cosa abbiamo pensato? Di raccontarci. Anche io c'ho creduto, lo ammetto. Anche io, a un certo punto, ho pensato che la migliore difesa sarebbe stata l'apertura, il dialogo, la narrazione di ciò che siamo, di ciò che sentiamo. "Non ci capiscono, allora bisogna spiegarci meglio".
E ci sono stati anni di racconto. Racconto onesto, per lo più. Ma a questo racconto è mancato un aspetto fondamentale.
Sì, è mancato l'ascolto degli Altri. Perché, se avessimo ascoltato, forse ci saremmo fermati subito. Avremmo difatti sentito il nulla, il silenzio, le recriminazioni, gli insulti. Gli Altri, a parte poche e sparute eccezioni, non hanno voglia e piacere di capire; e perciò non ascoltano. Ed hanno anche ragione. Il Palio, per noi, è roba intima, al pari di un amore o di un sentimento familiare. Tutti noi teniamo dentro ricordi indelebili, che a malapena confidiamo anche agli amici. Perché in fondo è così, la felicità non la si può mai compiutamente esprimere con le parole, scritte o verbali. Gli Altri, alla nostra felicità legata alla vita di contrada o di Palio, semplicemente non sono interessati. Ed anzi qualcuno ci odia. Facciamocene una ragione, rapidamente.
E prendiamo le opportune difese. Perché, di fronte agli Altri, non siamo niente e quindi siamo vulnerabilissimi. Ma dobbiamo essere coscienti di un fatto, che ci deve dare forza: abbiamo noi in mano il pallino del gioco, perché il Palio attira come mosche i curiosi, che però non sanno decriptarlo. Nostra quindi deve essere la prima mossa. Andiamo ad eliminare chi non ci ama, senza se e senza ma. Andando in culo alle consuetudini (???), ai soldi, agli interessi. Via le TV nazionali, via i giornalisti indesiderati. Tuteliamo la nostra identità, che non ha eguali. Difendiamoci attaccando, consci della nostra bellezza.
Non è un discorso di chiusura, non è un discorso di pancia, non è un discorso da senesone. Non siamo soli, inutile nasconderlo. Non si fa più come ci pare, inutile nasconderlo. Ma ora dobbiamo essere noi che scegliamo chi è degno di ascoltare. Gli altri, che se lo vadano sonoramente in culo.


"Lo Sviluppo non è in nessun modo rivoluzionario, neanche quando è riformista. Esso non dà che angoscia."
(P. P. Pasolini, "Scritti Corsari", 1974)

4 commenti:

  1. Approvo in toto. Anche io come te ho creduto che avremmo potuto farci capire ma, come dice il proverbio, non c'è peggior sordo...."
    E allora vadano nel centopelli, via le tv, via i giornalisti stronzi, via lo streaming web, WIA TUTTI!
    Tanto più che ogni giorno si rafforza in me la convinzione che questi che ci attaccano così aspramente e incondizionatamente, siano mossi da pura invidia, l'invidia di non poter far parte di una cosa così unica (non aggiungo giudizi di valore, ma unica il Palio lo è indiscutibilmente).
    Della serie o gioco anche io o rompo il giochino...

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  2. Grazie per averlo detto così bene. Condivido ogni parola.
    Basta con la diffusione selvaggia e “piatta”, il cosiddetto “broadcasting”. Mà sarà un caso se la stragrande maggioranza di chi viene qui, di chi cerca di vivere la festa, forse non capisce ma rimane comunque stregato, mentre la stragrande maggioranza di chi ci vede da lontano (TV nazionale in primis) non capisce assolutamente nulla, e anzi è portato a giudizi totalmente sbagliati (oltre che spesso in malafede)?
    Che ci vengano a cercare. Noi siamo qui, e apriamo il cuore anche più delle nostre porte (come ci obbligarono a scrivere i Medici, ma oggi è verità).

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  3. Sono totalmente d accordo. Forse speravamo che ci capissero lasciandoci liberi di vivere la nostra senesita. Ma purtroppo ho visto che tutti salgono sul carro dell invidia attaccandoci solo quando succedono disgrazie come al povero cavallino della Giraffa. Dimenticando quanto Siena ha e fa per i cavalli. Credo che si sia gli unici che quando un cavallo si fa male lo mandiamo in" pensione" a spese del Comune. Che imparino e dopo parlino

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  4. Capisco tutto, condivido quasi tutto quello che dici ma ancora non riesco a levarmi dalla testa che questo Palio Straordinario non solo sia stato imperfetto ma anche e soprattutto inopportuno (escluso per quelli della Tartuca) perché ha avuto il demerito di accendere i riflettori proprio quando non ce n'era davvero bisogno. E purtroppo ho avuto anche ragione e mai come questa volta, credimi, avrei voluto avere torto. Il "si fa quel che ci pare" veramente non ce lo possiamo permettere più se ci vogliamo bene, condivido quasi sempre quello che scrivi, anche questa volta direi il 99%, ma veramente l'1% non è ribellione come pensi ma masochismo. Poi spero di sbagliarmi ... Cordiali saluti

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